Perché con quella tecnica le stelle erano aperte, aperte fisicamente, a tutte le forme di vita dell’universo. E per la mente squilibrata di Finn questo poteva significare una cosa soltanto: che anche la Terra era aperta. E in particolare, che era aperta per il pianeta che possedeva quella conoscenza. Senza pensare all’uso che ne avrebbero fatto altre razze, senza riconoscerlo come uno strumento che la razza umana avrebbe potuto utilizzare a proprio beneficio, aveva visto quella conoscenza semplicemente come un ponte attraverso lo spazio, fra il luogo che lui aveva trovato e il pianeta che chiamava patria. E aveva lottato con tutte le sue forze per riportare il suo pianeta alla piccolezza originaria, per rompere ogni contatto con le stelle, per affamare e strangolare l’Amo spazzando via tutti i para che in futuro avrebbero potuto venire ingaggiati, o invitati a svolgere il lavoro dell’Amo.
Perché Finn aveva pensato, si disse Blaine, con il pensiero di Finn che gli stava davanti come un libro aperto, che se la Terra fosse rimasta piccola ed oscura, se non avesse attirato l’attenzione, l’universo le sarebbe passato accanto senza notarla, e sarebbe stata al sicuro.
Ma, in ogni caso, lui possedeva nella propria mente la tecnica per trasferirsi con il corpo fra le stelle… e il modo per salvarsi la vita.
Frugò ancora nella propria mente e lì, estratti dal mucchio di cianfrusaglie e catalogati in bell’ordine, stavano migliaia di pianeti che il Rosa aveva visitato a suo tempo.
Cercò e trovò centinaia specie diverse di pianeti, ed erano tutti mortali per esseri umani privi di protezione. E l’orrore crebbe… perché, quando aveva scoperto il modo di andarci, non riusciva a trovare in fretta un pianeta dove andare.
L’ululato della tempesta si insinuava nei suoi pensieri, spezzando la concentrazione rabbiosa della sua ricerca, e si accorse di essere gelato… molto più gelato di quanto avesse immaginato. Cercò di muovere una gamba, e riuscì appena a spostarla un poco. Il vento ululava, irridendolo, mentre correva lungo il fiume, e fra una raffica e l’altra sentiva lo scrosciare secco dei duri proiettili di neve che battevano sui salici.
Si ritrasse dal vento e dalla neve e dal freddo, dall’urlo e dallo scrosciò… e c’era un pianeta, quello che lui stava cercando.
Controllò due volte i dati, ed erano soddisfacenti. Tatuò le coordinate. Realizzò l’immagine nella propria mente. Poi, lentamente, poco per volta, l’alimentò con il metodo per il balzo… e il sole era tiepido.
Era disteso a faccia in giù e sotto di lui c’era l’erba e il profumo dell’erba e del suolo. L’ululato del vento era scomparso e non c’era più lo scroscio fra i salici.
Rotolò su se stesso e si sollevò a sedere.
E trattenne il respiro.
Era in paradiso.
XXXII
Il sole aveva superato il punto più alto della sua parabola e stava calando obliquamente verso occidente, quando Blaine scese a grandi passi dalla collina che sovrastava il villaggio di Hamilton, in mezzo alla fanghiglia della prima tempesta di neve della stagione.
Era lì, pensò, quasi troppo tardi… o non abbastanza presto. Perché, quando il sole fosse sceso sotto l’orizzonte, sarebbe incominciata la notte di Halloween.
Si chiese con quanti centri dei para gli abitanti di Hamilton erano riusciti a mettersi in contatto. Era possibile, si disse, che ci fossero riusciti meglio di quanto lui osasse sperare. Forse avevano avuto fortuna. Forse ce l’avevano fatta.
E pensò ad un’altra cosa, al vecchio prete che gli diceva: La mano di Dio che si è posata sul suo cuore.
In futuro, pensò, il mondo avrebbe meditato sulla follia di quel giorno, sulla cecità e sull’intolleranza e sull’odio di quel giorno. In futuro, ci sarebbe stata la rivendicazione e la lucidità. In futuro, la Chiesa di Roma avrebbe riconosciuto i paranormali non più come praticanti di stregoneria, ma come una naturale evoluzione della razza umana, in piena grazia di Dio. In futuro non vi sarebbero più state barriere economiche e sociali fra i para ed i normali… se a quel tempo ci fossero stati ancora umani normali. In futuro non vi sarebbe più stato bisogno dell’Amo. E forse, in futuro non vi sarebbe più stato bisogno neppure della Terra.
Perché lui aveva trovato la soluzione. Non era riuscito a raggiungere Pierre, ma aveva trovato la soluzione. Era stato costretto (dalla mano di Dio, forse?) a trovare la soluzione.
Ed era una soluzione migliore di quella che Stone aveva cercato. Era una tecnica migliore di quella posseduta dall’Amo. Perché liquidava completamente il concetto delle macchine. Faceva di un essere umano il padrone di se stesso e dell’universo.
Scese a passi rapidi giù per la collina e trovò il sentiero che portava al centro di Hamilton. Nel cielo poche nuvole sparse e sbrindellate sorvolavano ancora la valle: la retroguardia della tempesta. Pozzanghere di neve disciolta costeggiavano la strada, e nonostante il sole fulgido, il vento che soffiava da occidente non aveva ancora perduto le zanne.
Si incamminò per la strada che conduceva al centro del villaggio, e ad un isolato di distanza li vide: lo stavano aspettando nella piazza, davanti ai negozi. E non erano pochi come la volta precedente: erano una folla. Molto probabilmente, calcolò, c’erano tutti gli abitanti di Hamilton.
Attraversò la piazza, e la folla rimase in silenzio. Cercò Anita con lo sguardo, ma non la trovò.
Sui gradini c’erano quattro uomini in attesa, gli stessi dell’altra volta.
Si fermò davanti a loro.
«Buonasera,» disse.
«L’abbiamo sentito arrivare,» fece Andrews.
«Non sono arrivato a Pierre,» disse Blaine. «Ho cercato di arrivarci, per trovare un aiuto. Ma il temporale mi ha sorpreso sul fiume.»
«Ci hanno bloccati i telefoni,» disse Jackson. «Ma ci siamo serviti di telepatici capaci di comunicare a grandi distanze. Abbiamo raggiunto qualcuno degli altri gruppi, e abbiamo passato la parola. Non sappiamo fin dove abbiamo potuto diffondere l’avvertimento.»
«E non sappiamo neppure se siamo riusciti a farlo accettare,» disse Andrews.
«I vostri telepatici possono mettersi ancora in contatto con quei gruppi?» chiese Blaine.
Andrews annuì.
Jackson disse: «Gli uomini di Finn non sono comparsi. E questo ci preoccupa. Finn ha avuto un guaio…»
«Avrebbero dovuto comparire qui,» disse Andrews. «Avrebbero dovuto venire a mettere sottosopra il paese, per cercare lei.»
«Forse non vogliono trovarmi.»
«Forse,» gli disse freddamente Jackson, «lei non è quello che dice di essere.»
Blaine esplose.
«Andatevene al diavolo!» gridò. «Per poco non sono morto per voi! Arrangiatevi! Salvatevi da soli!»
Girò sui tacchi e si allontanò, mentre la collera saliva dentro di lui.
Non era la sua battaglia. Non era mai stata la sua battaglia. Ma l’aveva accettata. Per Stone, per via di Rand, per Harriet, per quel prete che l’aveva seguito per mezzo continente, lui aveva cercato di combattere. E forse, anche per qualcosa di indefinibile che era ignoto persino a lui stesso, per un idealismo pazzesco, per un senso profondamente radicato di giustizia, per una avversione innata verso i prepotenti e i bigotti e i riformatori.
Era venuto in quel villaggio per portare un dono… si era affrettato a ritornare lì per poterlo offrire. E loro avevano messo in dubbio l’onestà delle sue intenzioni.
Andatevene al diavolo! aveva detto.
Aveva fatto tutto il possibile. E adesso non avrebbe fatto altro.
C’era una cosa soltanto che valeva ancora la pena di fare, e lui l’avrebbe fatta e poi, a partire da quel momento, si disse, non ci sarebbe più stato nulla che avesse importanza, per lui o per chiunque altro.
«Shep!»
Lui continuò a camminare.
«Shep!»
Si fermò, si voltò.
Anita stava uscendo dalla folla.