La porta esterna si spalancò, ed una donna entrò nel vestibolo.
«Harriet,» disse Blaine. «Dovevo immaginare che saresti venuta. Non manchi mai alle feste di Charline, adesso me lo ricordo. Raccogli tutti i particolari di ciò che è successo d’importante e…»
Il suo sussurro telepatico gli scottò il cervello.
Shep, pezzo di stupido! Che cosa ci fai, qui (Immagine di uno scimmione con un cappelluccio da cotillon sulla testa, immagine della parte posteriore di un cavallo, immagine di un derisorio simbolo fallico).
«Ma tu…»
Certo. Perché no? (Una fila di fila di punti interrogativi sbalorditi.) Credi che lo siate solo voi dell’Amo? Solo tu? Segreto, sicuro… ma ho il diritto di avere dei segreti. In quale altro modo una buona giornalista potrebbe arrangiarsi? (Mucchi d’immondizia smossa, fluttuare interminabile di dati statistici, un orecchio enorme con un paio di labbra che si muovevano, si muovevano come per mormorare qualcosa.)
Harriet Quimby parlò con la voce, dolcemente.
«Non vorrei perdere una delle feste di Charline per niente al mondo. Si incontrano personaggi così sorprendenti.»
Pessima educazione, disse Blaine, con fare di riprovazione. Perché era veramente pessima educazione. Solo in alcuni casi era accettabile l’uso della telepatia… e mai ad una festa della buona società.
Al diavolo l’educazione. Metto a nudo la mia anima davanti a te, ed ecco la ricompensa. (Una faccia straordinariamente simile a quella di Blaine, con una mano sottile e decisa che lo schiaffeggiava.) Lo sanno tutti, in città. Sanno persino che sei qui. Arriveranno fra poco… se non sono già qui. Sono venuta prima che ho potuto, non appena ne ho avuto notizia. Parla a voce stupido. Qualcuno se ne accorgerà, se stiamo qui zitti a guardarci.
«Sprechi il tuo tempo,» disse Blaine. «Non c’è nessun personaggio sorprendente, questa sera. È l’assortimento meno entusiasmante che Charline abbia mai invitato.» Spie!!!
Può darsi. Dobbiamo correre il rischio. Tu stai scappando. Proprio come Stone. Come tutti gli altri. Sono qui per aiutarti.
«Ho parlato con un grosso affarista,» disse lui. «Uno scocciatore tremendo. Sono appena uscito per prendere una boccata d’aria.» Stone! Che cosa ne sai di Stone?
Lascia perdere, per ora. «In questo caso, me ne vado. È inutile che stia qui a perdere tempo.» La mia macchina è in fondo alla strada ma tu non puoi uscire con me. Io andrò avanti e porterò qui la macchina, con il motore acceso. Tu gironzola per un pò, poi squagliati dalla porta della cucina (pianta della casa, con una linea rossa che conduceva in cucina).
So dov’è la cucina.
Non fare pasticci. Nessuna mossa brusca, ricordatelo. Niente aria decisa e volitiva. Vattene in giro come un normale invitato alla festa, annoiato a morte. (Cartone animato di un tale con le palpebre semiabbassate, le spalle curve per il peso di un bicchiere di cocktail tenuto in una mano flaccida, le orecchie gonfie a furia di ascoltare, e un sorriso congelato impastato sulle labbra.) Ma arriva in cucina, e poi esci dalla porta di servizio che dà sulla strada.
«Non vorrai andartene… così?» disse Blaine. «Molto spesso i miei giudizi sono inesatti, ti assicuro.» Ma tu? Perché fai questo? Che cosa ci guadagni? (Una persona perplessa e arrabbiata che reggeva un sacco vuoto.)
Ti amo (Una staccionata sulla quale erano incisi molti cuori intrecciati.)
Frottole. (Una saponetta che lavava energicamente una bocca.)
«Non dirglielo, Shep,» disse Harriet. «Spezzeresti il cuore di Charline.» Io sono una giornalista, e ho in mente di fare un servizio, e tu ci sei dentro.
Hai dimenticato una cosa. Quelli dell’Amo possono aspettarmi all’uscita della strada dal canyon.
Shep, non preoccuparti. Ho già provveduto a tutto. Vedrai che li faremo fessi.
«Va bene, allora,» disse Blaine. «Non dirò niente. Ci vediamo.» E grazie.
Lei aprì la porta e scomparve, e Blaine sentì il rumore dei suoi passi attraverso il patio, giù per le scale.
Si girò, lentamente, verso le sale affollate, e quando varcò la porta, lo scoppio della conversazione lo investì in piena faccia… il suono confuso di molte persone che parlavano contemporaneamente, senza fare molto caso a quello che dicevano, senza cercare di parlare in modo sensato: chiacchieravano per il solo gusto di chiacchierare, cercando di conformarsi a quel mare di rumore.
Dunque Harriet era telepatica e questo lui non lo avrebbe mai sospettato. Comunque, se faceva la giornalista e possedeva quella facoltà era logico che non andasse in giro a sbandierarla.
Strano come anche una donna sappia tenere la bocca chiusa, pensò Blaine, e si chiese come mai fosse possibile. Ma Harriet, si ricordò, era più giornalista che donna: la si poteva considerare fra i migliori giornalisti di quel tempo.
Blaine si fermò al bar, e prese uno Scotch con ghiaccio; rimase lì, oziosamente, per un momento, a sorseggiarlo. Non doveva far capire che aveva fretta, non doveva neppure aver l’aria di dirigersi da qualche parte, eppure non poteva permettersi di farsi risucchiare in uno dei gruppetti impegnati nella conversazione… non ne aveva il tempo.
Poteva entrare nella sala del dimensino per un minuto o due: ma era pericoloso. Ci si identificava troppo rapidamente con lo spettacolo: si perdeva il senso del tempo, si perdeva tutto, tranne la sensazione creata dall’apparecchio. E spesso era inquietante, e confondeva le idee, capitare nel bel mezzo d’una trasmissione.
Non sarebbe stata una buona idea, si disse.
Scambiò un rapido saluto con un paio di conoscenti, subì le feste commosse di un tale leggermente sbronzo che conosceva da dieci giorni soltanto, fu costretto ad ascoltare un paio di barzellette stupidissime, eseguì un blando rituale di flirt con una ricca vedova tutta vezzi che lo aveva colto alla sprovvista.
E intanto continuava ad avanzare verso la porta che conduceva alla cucina.
E finalmente ci arrivò.
Si soffermò sulla soglia, poi scese le scale con aria distratta e disinvolta.
La cucina era vuota: era una stanza fredda e metallica, tutta scintillii di cromature e di elettrodomestici. Ad una delle pareti era appeso un orologio munito della lancetta dei secondi, che riempiva la stanza con il suo pesante ronzio.
Blaine depose il bicchiere, ancora pieno per metà di Scotch, sulla tavola più vicina: e a sei passi da lui stava la porta di servizio.
Fece i primi due passi, e mentre stava per fare anche il terzo un grido silenzioso di avvertimento esplose nel suo cervello. Si girò di scatto.
Freddy Bates stava ritto accanto all’enorme frigorifero, con una mano infilata nella tasca della giacca.
«Shep,» disse Freddy Bates, «se fossi in te non mi ci proverei. L’Amo ha fatto circondare la casa. Non hai la minima probabilità di cavartela.»
VI
Blaine rimase immobile, agghiacciato per un secondo, travolto dallo sbalordimento. Erano la sorpresa e lo stordimento, più che la paura o la collera, che lo tenevano lì inchiodato. Sorpresa perché era proprio Freddy Bates. Freddy non era più il perdigiorno senza uno scopo nella vita, l’incoerente uomo misterioso in una città piena di tanti individui come lui, ma un agente dell’Amo, e a quanto pareva un agente molto in gamba.