Di quando in quando egli ripete mentalmente il proprio nome a se stesso per rammentare la propria identità, custode dei ricordi del suo passato e delle persone che un tempo amava. Talvolta fissa una delle torri vicine cercando di scorgere nello sfolgorio qualche altra persona, che abbia un nome; e lotta per reprimere le grida che minacciano di erompergli dalla gola contratta.
— Sono Rillibee Chime — sussurra fra sé e sé — nato fra i cactus del deserto, compagno degli uccelli e delle lucertole. — E raduna i ricordi di questi animali, e delle formazioni di anatre nel cielo, e il pane di mais cotto al forno, e il sapore dei fagioli piccanti, e le sembianze di Miriam, Joshua e Songbird, quali erano molto tempo fa. — Altri due anni — mormora fra sé e sé. — Altri due anni.
Devono trascorrere ancora due anni prima che abbia termine il suo servizio come accolito. Non fu vincolato dai suoi genitori come avviene per i figli dei santificati; né fu vincolato affinché sua madre ricevesse il permesso di partorire un altro figlio. Soltanto fra i santificati le donne debbono inviare i figli maschi a servire per anni la Santità, ma la famiglia Chime non apparteneva ai santificati. No, Rillibee divenne un accolito perché non gli restava nessuno che potesse opporsi agli avidi funzionari della Santità.
Ancora due anni gli rimangono, ammesso che riesca a resistere tanto. — Ma se fallirà? Talvolta Rillibee si pone questa domanda, e ne teme la risposta. Cosa accade a coloro che non resistono sino allo scadere dei termini? Quale sorte è riservata a coloro che sono incapaci di reprimere le urla, e borbottano, o gridano, o imprecano, come desidera imprecare lui?
Dannazione, disse il pappagallo molto tempo fa, facendo ridere Miriam. Dannazione. Merda. E Rillibee ora sussurra: — Dannazione.
Nessuno rise, quando il pappagallo implorò: Lasciatemi morire. E Rillibee, levando le mani verso gli angeli dalle sei ali splendenti in cima alle torri, concorda: — Lasciatemi morire!
Ma nulla accade: benché perennemente implorati, gli angeli non lo fulminano.
Ogni giorno, lasciato il proprio alloggio, Rillibee si reca al pozzo discensionale e rimane immobile a guardarlo per un momento, chiedendosi se avrà il coraggio di saltarvi. Era appena arrivato alla Santità, quando vi fu spinto più volte, e si sentì precipitare in eterno, mentre la pelle gli si accapponava e lo stomaco sembrava volergli uscire dal naso. Sono trascorsi dieci anni, eppure strilla ancora mentalmente ogni volta che immagina di affidarsi al pozzo discensionale. Però ha trovato un’alternativa accettabile: la scala di manutenzione e di emergenza, fornita di larghi e solidi gradini metallici. Sono trecento metri di discesa e altrettanti di salita: Rillibee li percorre due volte al giorno e si alza molto presto proprio per essere sicuro di averne il tempo.
Anche oggi si reca nel refettorio, come fa ogni giorno da dieci anni, ossia da quando ne aveva dodici; e come sempre deve combattere la nausea suscitata dal fetore del cibo disgustoso. Ecco perché, invece di restare a mangiare, scende subito nella sala mansioni e cerca il proprio numero fra mille altri, sul pannello luminoso.
RC-15-18809: servizio per il Prelato, corredo clericale necessario, servizio guida, livello meno tre, Stanza 409, 1000 ore.
Il Prelato. — Strano che un giovane il quale non ha neppure preso i voti, come Rillibee, sia incaricato di servire il Prelato. O forse non è tanto strano, se si considera che, per quanto riguarda la Santità, il giovane è soltanto un ingranaggio qualsiasi: non occorre aver preso i voti per far da guida a un visitatore o per usare un corredo clericale.
Giacché dispone ancora di due ore di libertà, Rillibee può salire con comodo al Vettovagliamento per ritirare un corredo clericale e acquistare qualcosa di simile al cibo autentico; quindi può anche recarsi in biblioteca. Ha paura dei luoghi molto frequentati, perché stenta a reprimere la solitudine e la frustrazione: deglutisce, cerca di inghiottire, ma le grida gli rimangono in gola come ruvidi grumi di eterno dolore.
Giacché preferisce i luoghi meno affollati, scende al livello delle cappelle e percorre lentamente un corridoio, superando una cappella dopo l’altra e ascoltando il mormorio monotono e rapido proveniente dagli altoparlanti che sovrastano ogni altare. Entra in una cappella qualunque, siede, e indossa una coppia di auricolari che gli rende comprensibile il cantilenare di una voce grave: — Artemus Jones. Favorella Biskop. Janice Pittorney.
Dopo aver ascoltato per un poco, Rillibee si toglie gli auricolari e osserva l’altare.
Come avviene ogni giorno in ogni cappella, un anziano siede all’altare, attende che un anonimo accolito gli consegni una lista di nuovi iscritti, quindi annuisce. Allora l’accolito inizia: — Sul mondo di Semling, è nata a Martha ed Henry Spike una bambina battezzata Alevia Spike. Su Vittoria, è nato a Zucchero Greggio e Speranza Perduta un bambino battezzato Suono Spezzato. Su Pentimento, è nato a Domal e Susan Crasmere un bambino battezzato Domal Vincente II.
Ad ognuna di queste informazioni, l’anziano si inchina profondamente, intonando una formula che è stata ripetuta tanto a lungo da perdere qualunque significato, e che nessuno di coloro che abitano nelle torri ascolta più: — Santità. Unità. Immortalità. — Il senso non ha importanza, poiché pronunciare semplicemente queste parole apre la sacra porta, e il puro bisbiglio delle sillabe registra il nome negli elenchi dell’umanità. Appena la formula è conclusa, l’accolito incappucciato espone per un momento i moduli e i campioni cellulari al fumo sacro, prima di inserirli nelle fessure dalle quali scendono per scivoli di pietra liscia fino ad un luogo che l’accolito stesso, al pari di quasi tutti gli accoliti in servizio limitato, non vedrà mai. Là, il nome viene registrato e il campione viene archiviato nella banca cellulare, garantendo la collocazione immortale nella storia sacra alla piccola Alevia dalle rughe rosse, allo strillante Suono, e al pigro Dom.
Un paio di volte, per servizio, Rillibee è sceso al profondo livello dei bisbiglianti elaboratori genealogici che assegnano i numeri e registrano le informazioni genetiche relative ai campioni cellulari. Se si presenterà l’occasione, queste informazioni serviranno a resuscitare il corpo di Alevia, o di Suono, o di Dom, o di chiunque altro sia mai vissuto: unico o unica, diverso o diversa da tutti i fratelli e le sorelle dell’umanità vivi o morti, egli o ella rinascerà dagli impianti di clonazione, ma soltanto nel corpo, naturalmente, perché nessuno ha ancora trovato il modo di registrare la memoria o la personalità. D’altronde, il corpo è meglio di niente, come dicono i santificati quando spediscono i loro campioni. Se vive, il corpo accumula memoria, e col tempo diviene una nuova creatura, non dissimile dalla precedente. Chi può affermare che la nuova Alevia, in certi momenti e con una sensazione di déjà-vu, non rivivrà la sua vita precedente? Chi può sostenere che Dom, quando si guarderà allo specchio, non vedrà lo spettro della sua personalità originale?
Nelle profondità della Santità è custodito il nome di ogni uomo e di ogni donna che siano mai vissuti durante l’intera storia umana. Coloro che non hanno lasciato testimonianze scritte della loro esistenza sono stati rintracciati dai ronzanti elaboratori fino ai primordi dell’umanità. Gli elaboratori hanno registrato uomini e donne, i cui nomi, pronunciati in lingue parlate all’alba dei tempi, non sono mai stati noti alla storia. Non importa che nessuno sappia più parlare la lingua dell’Homo habilis, giacché gli elaboratori la conoscono, come pure conoscono i nomi di coloro che la parlavano. Negli archivi si possono trovare Adamo, che ha appena cessato la sua esistenza arboricola, ed Èva, intenta a grattarsi una natica con una mano dal pollice divaricato. Esistono persino i loro genotipi, che gli elaboratori hanno ricostruito, assegnandovi le appropriate sequenze di DNA. Ogni persona che sia mai vissuta è registrata nella Santità, nell’Unità, nell’Immortalità.