Выбрать главу

— Fino a quando moriranno tutti? — chiese Gerold.

— No — sospirò Figor. Supponeva che bon Laupmon si riferisse a tutti coloro che erano di origine umana e non vivevano su Grass, ma sapeva che non si poteva mai essere certi che egli comprendesse appieno quello che succedeva. — Fino a quando troveranno una cura. E senza dubbio ci riusciranno, col tempo.

Gustave sbuffò: — Persino io, Gerold, devo riconoscere che i santificati sono intelligenti. — Ma fece questa ammissione in un tono tale da far sembrare che non avesse alcuna considerazione per l’intelligenza.

Ancora una volta i quattro aristocratici interruppero la conversazione per meditare. Poi Eric affermò: — Questo piano ha il vantaggio di farci sembrare del tutto ragionevoli.

Di nuovo, Gustave sbuffò, aggrondato: — Agli occhi di chi? Chi ci osserva? Chi ne ha il diritto? — E picchiò il braccio sulla sedia, arrossendo.

— Chiunque può osservarci, Gustave, che ne abbia il diritto o meno. — Sin da quando aveva subito l’incidente che gli aveva impedito per sempre di partecipare alla Caccia, Gustave era suscettibile, oltre che irascibile, perciò Figor tentò di calmarlo: — Che lo vogliamo o no, chiunque può osservarci e formarsi una opinione sul nostro conto. Inoltre, se mai dovesse occorrerci la collaborazione della Santità per qualcosa, ci troveremmo in posizione tale da poter chiedere la restituzione del favore.

Eric annuì, accorgendosi che Gustave stava per obiettare: — Probabilmente non ci servirà mai nulla, Gustave. In caso contrario, però, ci troveremmo in posizione vantaggiosa. Non sei tu a dire sempre che non dobbiamo rinunciare a nessun possibile vantaggio, a meno che sia assolutamente necessario?

L’obermun cominciò a placarsi: — Allora dovremmo essere cortesi con i loro inviati, e inchinarci, e strisciare, fingendo che uno stupido straniero di un altro pianeta sia nostro eguale?

— Ebbene, sì. Poiché sarà inviato dalla Santità, l’ambasciatore sarà probabilmente un Terrestre. Senza dubbio, Gustave, riusciremo a sopportarlo per qualche tempo. Come ho detto, quasi tutti parliamo la lingua diplomatica.

— E questo fragras, con ogni probabilità, avrà una moglie sciocca e una dozzina di marmocchi, nonché un seguito di servi, segretari e assistenti vari. E tutti andranno in giro a fare un sacco di domande!

— Li manderemo tutti in qualche luogo isolato, dove non potranno parlare con molta gente. Per esempio, Collina d’Opale. — Eric nominò con una certa soddisfazione la sede dell’ex-ambasciata di Semling. — Sì — ripeté — Collina d’Opale.

— Ah, Collina d’Opale! è lontanissima e molto isolata, oltre le paludi e le foreste sud-occidentali! Ecco perché la delegazione di Semling se ne andò: ci si sente soli, a Collina d’Opale.

— Così, l’inviato della Santità si sentirà solo e se ne andrà a sua volta. Ma in tal caso, sarà colpa sua, non nostra. Non siete d’accordo?

Era evidente che tutti ne convenivano. Figor attese un poco, nel caso che qualcuno vi ripensasse, o che Gustave si riabbandonasse alla collera; poi chiamò un cameriere affinché servisse il vino, e condusse gli ospiti nei giardini d’erba, che all’inizio dell’autunno erano nel periodo del loro massimo splendore, con gli steli che ondeggiavano come danzatori al ritmo del vento meridionale: persino Gustave si sarebbe addolcito, dopo aver trascorso un’ora nei giardini.

A ben riflettere, anche Collina d’Opale aveva giardini bellissimi, sebbene recenti. I penitenti santificati, coloro che si facevano chiamare Frati Verdi, espiavano i loro peccati proprio su Grass, disseppellendo rovine e progettando giardini. A Collina d’Opale, dove i Frati Verdi si erano davvero prodigati, i giardini non erano cambiati da quando la delegazione di Semling se n’era andata. E forse l’ambasciatore santificato si sarebbe interessato al giardinaggio; oppure, se non lui, sua moglie, ammesso che ne avesse una, o i suoi numerosi marmocchi.

Lontano da Klive, fra le erbe, Dimity bon Damfels si sforzava di resistere al dolore alle gambe e alla schiena. Nonostante tutte le ore che aveva trascorso al simulatore, e tutte le sofferenze che vi aveva patito, cavalcare davvero era ben diverso: era qualcosa di esasperante, detestabile, intimo.

— Quando ti sembra che il dolore diventi insopportabile — le aveva detto l’istruttore di equitazione — ripensa allo svolgimento della Caccia, distraiti, e soprattutto, non pensare al dolore stesso.

Così, per distrarsi, ella ripensò al percorso che aveva compiuto assieme alla comitiva fino a quel momento, lungo il Sentiero Verdazzurro, che attraversava una prateria il cui colore andava dall’indaco cupo, attraverso tutte le sfumature di turchese e zaffiro, sino al verdecupo e al verde smeraldo, culminando nell’acquamarina dell’alta erba acqua che ondeggiava incessantemente su una dorsale e, più oltre, colmava una depressione cosparsa d’isole di erba sabbia: nell’insieme, si aveva l’impressione di ammirare un paesaggio marino meravigliosamente suggestivo; e proprio perciò quella distesa era chiamata Giardino dell’Oceano. Una volta, quando aveva accompagnato Rowena alla Città Plebea a ritirare tessuti d’importazione, Dimity aveva veduto, appeso a una parete del negozio, un quadro che raffigurava un autentico oceano della Santità, e rammentava di aver commentato che quella distesa d’acqua assomigliava molto alla prateria. Alcuni altri clienti, ridendo, avevano risposto che era piuttosto l’erba ad assomigliare al mare. Ma come lo si poteva stabilire? L’oceano e la prateria erano simili in tutto e per tutto, a parte il fatto che nell’acqua si poteva annegare.

Meditando su tutto ciò, Dimity si sorprese a pensare che anche nell’erba si poteva quasi annegare: lo si poteva persino desiderare. Intanto, un dolore insopportabile le si diffuse poco a poco dal ginocchio sinistro all’inguine: Devo distrarmi, pensò ripetutamente. Devo distrarmi.

Oltre il Sentiero Verdazzurro, la muta aveva proseguito la sua corsa silenziosa sul sentiero che conduceva alle Montagne di Rubino, addentrandosi nella Foresta delle Trenta Ombre, dove giganteschi steli neri, grossi come il busto di Dimity, si urtavano con le cime nella brezza, producendo rumori cavernosi, e i prati erano vellutati come muschio intorno ad ammassi di erba roccia.

Sulle Montagne, da cui si scorgevano distese color ambra e pesca, albicocca e rosa, con striature rossocupe e chiazze sgargianti di sanguinaria, il sentiero abbandonava i giardini per addentrarsi fra le incolte, altissime graminacee della prateria di erbalta, dove non vi era nulla da vedere, se non steli che si aprivano al passaggio delle cavalcature, e null’altro da udire se non il continuo frusciare, e null’altro a cui pensare se non proteggersi dalle sferzate delle erbe, curvando la testa affinché fosse percosso il cappello imbottito e non il viso.

In base al sole, comunque, Dimity capì che la comitiva stava correndo verso settentrione, e su questo si concentrò. Le estancia erano separate le une dalle altre da almeno un’ora di volo, eppure occupavano soltanto una minima parte della superficie di Grass. Cosa sapeva, lei, del territorio a nord dell’estancia bon Damfels, dove non esisteva nessun’altra tenuta? L’estancia più vicina era quella dei bon Laupmon, che pure era molto lontana, a sud-est. Ad oriente si trovava quella dei bon Haunser, mentre il Monastero dei Frati Verdi era a nord-est. A settentrione, dunque, non vi erano altre estancia, né villaggi: nulla, tranne la prateria e una bassa vallata cosparsa di numerosi boschetti. E molti boschetti, pensò Dimity, rammentando quello che le era stato ripetuto tante volte, significano molte volpi. Senza dubbio la comitiva era diretta proprio alla vallata.