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Durante il viaggio di ritorno controllarono con attenzione il sentiero, ma non scorsero tracce che rivelassero che erano stati seguiti: quando giunsero nel punto dove c’era la frana di pietrisco che avevano deliberatamente attraversato durante il viaggio di andata, si separarono per controllare sia la parte più bassa, sia quella più alta, ma anche lì non videro nulla di allarmante. Niente di strano in questo, perché, come vennero a sapere quando giunsero a casa, Edith aveva fatto i suoi giri d’ispezione, come da accordi, e poi aveva passato il resto della giornata con i bambini più piccoli, mentre Roger si era recato in città come previsto. Se anche aveva pensato di farsi sostituire dalla sorella per darsi all’inseguimento del padre e del fratello, non ne aveva poi fatto niente. Wing padre non sapeva se ritenersi soddisfatto, oppure deluso.

5

Laj Drai trovò accanto a una delle sonde il suo insegnante di recente assunzione; con un tentacolo curvo ad anello era occupato a esaminare il contenuto del vano di carico. Elencava a uno a uno gli oggetti, e il meccanico lo ascoltava.

«Cellula di magnesio; cellula di titanio; cellula di sodio… oh, salve, Drai. Qualche novità?»

«Difficile dirlo» rispose l’altro. «Avete intenzione di iniziare una ricerca, vedo.»

«Controllo alcune ipotesi, nient’altro. Ho fatto una lista degli elementi chimici che sono gassosi alle condizioni di temperatura e pressione che regnano sulla superficie del Pianeta Tre, e dei composti che ho trovato nelle tabelle del manuale. Alcuni di questi composti sono un po dubbi, perché non ho dati esatti sulla pressione; potrebbero essere allo stato liquido. Però, se sono presenti come liquidi, dovrebbero esserci i loro vapori.

«Poi ne ho eliminato quanti più possibile, in base a considerazioni teoriche, poiché non posso compiere in una volta sola tutti gli esperimenti.»

«Considerazioni teoriche?» chiese Drai.

«Sì. Per esempio il fluoro: mentre è ancora gassoso a quelle condizioni, è troppo attivo per pensare di poterlo trovare allo stato libero. Lo stesso discorso vale per il cloro… che però forse è liquido… e per l’ossigeno. Viceversa, sembra molto probabile la presenza dell’idrogeno, dell’acido solfidrico e dei composti volatili di questi elementi. Dovrebbe esserci anche l’azoto, e certo ci saranno dei gas inerti… anche se non so come determinare la loro presenza, ovviamente.

«Ho fabbricato dei piccoli contenitori in cui ho messo le varie sostanze chimiche, e li ho muniti di un sistema di riscaldamento; intendo far scendere sul pianeta questa sonda, aprire il portello in modo che l’atmosfera locale penetri nel suo vano di carico, e riscaldare i contenitori, uno alla volta. Poi la riporterò qui da noi e controllerò l’effetto di quell’atmosfera sui miei campioni. Ho messo del magnesio e del titanio, che hanno lo scopo di fissare l’azoto; del sodio e un paio di solfuri che verranno ridotti se l’atmosfera contiene troppo idrogeno, e così via. Non verrò a sapere tutto su quell’atmosfera, ma qualcosa lo verrò a sapere.»

«Lo penso anch’io» disse Drai «da quel poco che so. Avete intenzione di far partire subito la vostra sonda?»

«Sì; mi pare che tutto sia pronto, a meno che non ci siano delle obiezioni da parte vostra.»

«Niente d’importante» disse Drai. «Stiamo per inviarne una anche noi; il nostro indigeno ci ha trasmesso il segnale convenuto. Lo abbiamo ricevuto poco tempo fa.»

«Ed è possibile guidare due sonde allo stesso tempo?» domandò Ken.

«Sì, è facilissimo. Mi viene però in mente un particolare: forse sarebbe meglio che faceste posare la vostra sonda a due o tre chilometri di distanza dal nostro consueto radiofaro, e che faceste il vostro esperimento quando quella parte del pianeta è in oscurità. Gli indigeni hanno abitudini diurne, ne siamo certi; meglio non correre il rischio di spaventarli, nel caso che una delle vostre reazioni chimiche sia troppo luminosa, o rumorosa, o puzzolente…»

«O rilevabile da qualche loro organo di senso che non possiamo immaginare» concluse Ken al posto suo. «Giusto, avete ragione. Preferite che aspetti finché non avrete concluso i vostri scambi, o posso partire prima di voi, se faccio in tempo?»

«Non credo che la cosa abbia importanza. Non ricordo se la sonda arriverà laggiù di giorno o di notte; in ufficio abbiamo una tabella per calcolarlo, e contavo di controllarla poco prima dell’arrivo. Direi di fare così: se sarà giorno, noi scenderemo e voi aspetterete, mentre, se sarà notte, toccherà a voi il primo turno.»

«D’accordo.»

«Dovrete pilotare la sonda da qui: nell’osservatorio abbiamo soltanto un’unità trasmittente. Ma la cosa ha poca importanza, perché in qualsiasi caso dovrete dirigerla alla cieca. Vado ad avvertire che tra poco ci sarà anche la vostra sonda. Abbiamo messo in orbita attorno al pianeta un’unità relè provvista di un apparato rilevatore, e se non li avverto prima, gli osservatori rischiano di credere che gli indigeni si siano avventurati nello spazio.»

«Avete rilevato attività da parte degli indigeni?»

«Non molta. Negli ultimi tre o quattro anni abbiamo rilevato delle radiazioni stranamente simili a quelle del radar, ma finora si è sempre trattato di emissioni a frequenza costante. Abbiamo messo sulle sonde una copertura di plastica da un quarto d’onda, con una pellicola di metallo che riflette in una sola direzione, e non abbiamo mai riscontrato inconvenienti. In tutto, usano soltanto una decina di frequenze diverse, e noi abbiamo già preso le nostre precauzioni per tutte: quando le cambiano, noi semplicemente usiamo un’altra sonda.

«Suppongo che prima o poi si metteranno a usare due o più frequenze nella stessa area, o addirittura la modulazione di frequenza, e a quel punto saremo costretti a procurarci delle coperture non riflettenti. Sarebbe già adesso la soluzione migliore, ma è anche la più costosa. L’ho scoperto quando ho fatto ricoprire la Karella. Mi chiedo come faremo, quando gli indigeni impareranno a rilevare gli infrarossi. Le sonde sono molto più calde del pianeta, e all’infrarosso brillano come una stella nova, al momento dalla loro partenza dall’astronave, poco al di fuori dell’atmosfera.»

«Lasciatele ferme nello spazio finché non si sono raffreddate» suggerirono in coro Ken e il meccanico. «Oppure» aggiunse quest’ultimo «fatele partire tutte da qui, come abbiamo sempre fatto.» Laj Drai si allontanò senza altri commenti.

«Quell’uomo avrebbe bisogno di un intero dipartimento universitario» commentò il meccanico, quando la porta si fu richiusa. «È così sospettoso che assume soltanto una persona alla volta, e di solito la licenzia subito.»

«Allora» commentò Ken «io non sono il primo?»

«Voi siete il primo che è arrivato fin qui. Ce ne sono stati altri due prima di voi, ma lui si è messo in testa che volevano curiosare sui suoi commerci, e io non sono mai riuscito a sapere se era vero. Io non sono uno scienziato, ma sono curioso… Su, diamoci da fare; cerchiamo di mettere nello spazio questo fuso di metallo, prima che lui cambi idea e ci rifiuti il permesso di partire.»

Ken fece un cenno d’assenso, ma si limitò a guardare mentre il meccanico sintonizzava la sonda laboratorio sul raggio del circuito generale esterno: sul raggio, due segnali multifase si potevano controllare con la stessa facilità di uno solo, e le due sonde potevano viaggiare a poca distanza tra loro, cosicché un solo raggio era sufficiente. Ken rifletté che le informazioni che gli aveva dato il meccanico erano interessanti; non aveva mai pensato che in quel lavoro poteva essere stato preceduto da qualcun altro. In un certo senso, la cosa era positiva: presumibilmente, gli altri non erano agenti della narcotici, perché, se lo fossero stati, Rade glielo avrebbe detto. Pertanto, lui era mimetizzato meglio di quanto non pensasse. C’era perfino la possibilità che Drai fosse abituato ad avere con sé degli estranei.