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Ma fin dove arrivavano le conoscenze di quel meccanico? In fin dei conti, doveva essere lì da vario tempo, e Drai non aveva certo paura di parlare in sua presenza. Forse Ken poteva usarlo come utile fonte di informazioni; viceversa, forse era pericoloso fargli domande, perché era possibile che uno dei suoi compiti fosse appunto quello di tenere d’occhio la condotta di Sallman Ken. Pareva un individuo alquanto taciturno e, fino a quel momento, Ken non gli aveva prestato molta attenzione.

In quel momento, il meccanico era totalmente preso dai suoi compiti tecnici. Si era steso su una spalliera di fronte al quadro dei comandi: fece scattare con i tentacoli alcune levette e spinse avanti e indietro alcune resistenze variabili, e subito un ronzio che si faceva sempre più forte indicò che i tubi si stavano riscaldando. Dopo un attimo, girò piano una manopola, e la sonda preparata da Ken si sollevò delicatamente dalla sua slitta. Parlò senza voltare la testa: «Se mi fate il favore di spostarvi in fondo alla stanza, farò scendere la sonda laggiù e proveremo il microfono e l’altoparlante. So che non avete intenzione di utilizzarli, ma è meglio che funzionino.»

Ken seguì il suggerimento, e prima provò il microfono, poi gli altri strumenti contenuti nel vano di carico, che dovevano informarli di eventuali violente reazioni chimiche che avessero luogo al suo interno: fotocellule, pirometri, pompe aspiranti collegate a bottiglie di raccolta e a precipitatoli di particelle. Ogni cosa era in perfetto ordine ed era tenuta saldamente al suo posto da robusti morsetti.

Accertatosi che tutto fosse in ordine, il tecnico diresse la piccola nave interplanetaria verso un portello a tenuta d’aria, simile a una galleria, che si apriva in una delle pareti della stanza. La fece fermare, chiuse il boccaporto, fece il vuoto all’interno e poi fece uscire la sonda sulla superficie di Mercurio. Senza altri preamboli, la allontanò dal pianeta a tutta velocità: i controlli della sonda erano sintonizzati su un raggio portante a trasmissione istantanea che correva dalla stazione al satellite relè orbitante intorno alla Terra. La sonda non avrebbe richiesto ulteriori attenzioni finché non fosse giunta nei pressi del pianeta.

Il meccanico si staccò dal pannello e si voltò in direzione di Ken.

«Adesso vado a dormire per qualche ora» disse. «Sarò di nuovo qui prima che la sonda faccia ritorno. Se la cosa v’interessa, la vostra sonda sarà la prima a scendere. Occorrono tre rotazioni e mezza del Pianeta Tre, all’incirca, perché la sonda arrivi fino a esso quando i pianeti sono nelle loro attuali posizioni… nelle sonde non possiamo installare l’iperpropulsione… e il segnale dev’essere partito durante il periodo di luce del pianeta. Arrivederci. Fatemi chiamare dall’altoparlante se vi occorre qualcosa.»

Ken gli rivolse l’equivalente di un cenno affermativo.

«Benissimo… e grazie. Voi vi chiamate Allmer, vero?»

«Precisamente. Feth Allmer.» Senza più fare parola, il meccanico raggiunse la porta e scomparve, muovendosi con la rapidità di una persona ben assuefatta alla debole gravità di Mercurio. Ken, rimasto solo nella grande stanza, ricominciò a riflettere sulla propria situazione.

Quasi senza accorgersene, l’investigatore andò a stendersi sulla spalliera che aveva ospitato Allmer fino a pochi istanti prima e fissò con uno sguardo vacuo gli indicatori davanti a lui. Uno dei suoi guai, si disse, era la sua tendenza a occuparsi di due problemi alla volta. In un certo senso la cosa poteva essere positiva, naturalmente; un genuino interesse nei confronti dei problemi del Pianeta Tre era la migliore protezione possibile da eventuali sospetti riguardanti la sua seconda occupazione; ma non gli permetteva di concentrarsi su di essa. Da ore, ormai, non pensava praticamente ad altro che ai suoi esperimenti chimici, finché le ultime parole di Allmer non l’avevano bruscamente riportato al suo dovere.

Fin dall’inizio, Allmer gli era parso un tecnico competente; ma a causa di qualche sua prevenzione che non avrebbe saputo spiegare neppure lui, non s’era aspettato da parte sua tutto l’acume che aveva dimostrato nelle considerazioni di poco prima. Ken stesso non aveva afferrato le implicazioni delle parole di Drai, quando questi aveva parlato delle abitudini diurne degli abitanti del terzo pianeta; a quanto pareva, Drai non era stato neppure sfiorato dalla possibilità di arrivare alla risposta mediante un ragionamento.

Ma poteva davvero essere così stupido? Diversamente da Ken, Drai conosceva le distanze messe in gioco da un viaggio fino a quel pianeta, come pure la velocità delle sonde; per sua stessa ammissione, Drai commerciava con gli indigeni di quel pianeta da diversi anni. Che scopo poteva avere, cercando di sembrare più stupido di quello che era?

Una possibilità c’era certamente. Forse erano già sorti dei sospetti su di lui, e Ken era al centro di una cospirazione che voleva spingerlo a tradirsi per eccesso di sicurezza. Però, in questo caso, perché il meccanico aveva rivelato le informazioni di cui disponeva? Forse intendeva acquistarsi dei meriti presso di lui, per diventare un suo possibile confidente, nel caso che Ken decidesse di parlare. In tal caso, Feth costituiva per lui il più grave pericolo, poiché era la persona che passava più tempo con Ken, e quindi la più adatta al ruolo della spia. D’altra parte, forse il meccanico era del tutto innocente, anche se il gruppo nel suo complesso si dedicava allo spaccio, e le sue parole potevano essere dettate dal semplice desiderio di aiutarlo. Per ora, sembrava impossibile capire quale di queste ipotesi fosse la più plausibile; Ken accantonò per il momento il problema, etichettandolo come insolubile in base ai pochi dati disponibili.

E poi, l’altro problema chiedeva adesso tutta la sua attenzione. Sul quadro di comando posto davanti a lui, alcune lancette indicatrici si stavano muovendo. Negli ultimi due o tre giorni aveva imparato a leggere perfettamente i comandi, e adesso era in grado di interpretare il significato dei dati forniti dagli strumenti. Per quanto ne capiva, tanto la temperatura quanto la pressione all’interno del vano di carico della sonda, continuavano ad abbassarsi. Il fatto era comprensibile. Non c’era in funzione alcun sistema di riscaldamento, e la pressione ovviamente scendeva Con il progressivo raffreddarsi del gas. Poi gli venne in mente che la temperatura del Pianeta Tre era talmente bassa da congelare il solfo, e che i suoi contenitori di sostanze chimiche si sarebbero ricoperti di uno strato di solfo ghiacciato. Occorreva prendere qualche provvedimento.

In realtà, gran parte dell’abbassamento di temperatura era dovuta alle perdite; il portello del vano di carico, raffreddandosi, si era ristretto quel tanto che bastava a lasciar fuoriuscire lentamente un po d’aria dai bordi. A Ken, tuttavia, questo particolare non venne in mente; cercò l’interruttore opportuno e lo fece scattare, e sotto i suoi occhi la pressione calò bruscamente a zero, a causa dell’apertura del portello. La temperatura non si abbassò: anzi, forse prese a scendere più lentamente di prima, perché adesso i pirometri erano isolati a causa del vuoto, e l’espansione del solfo gassoso nello spazio interplanetario non aveva raffreddato percettibilmente il vano. Sfiorando gli interruttori che comandavano il riscaldamento delle provette, Ken controllò il funzionamento delle piccole fornaci; poi, dopo un attimo di riflessione, lasciò che i campioni di magnesio e di titanio giungessero a temperatura di fusione. Accertatosi in questo modo che fossero liberi, quanto più possibile, da contaminazioni gassose, controllò sui quadranti il loro raffreddamento. Per tutta la durata di questa procedura, la sonda continuò il suo rapidissimo viaggio nello spazio, senza subire rallentamenti a causa dell’imprevisto assorbimento di energia.

Per alcuni minuti Ken attese con un occhio puntato sui quadranti e con l’altro che si posava distratto sui vari oggetti contenuti in quell’immensa stanza. Alla fine si disse che Allmer aveva scelto il momento più opportuno per andare a riposarsi. Ken non era stanco, ma poco alla volta si convinse di dover fare qualcosa di più costruttivo. Pensava che se quella stazione serviva per lo spaccio della droga, la droga stessa non doveva essere ancora arrivata laggiù, e dunque non valeva la pena che lui si mettesse a cercarla; ma intanto che aspettava il suo arrivo, poteva predisporre qualche piano per controllare che cosa sarebbe arrivato con l’altra sonda.