Naturalmente la droga di Rade richiedeva un ambiente a temperatura molto bassa; benissimo, se era lì che veniva prodotta, Ken intendeva rassegnare le dimissioni, senza pensarci sopra un solo istante di più. Gli bastava guardare il pianeta per sentirsi i brividi. Si augurò che qualcuno si decidesse, finalmente, a spiegargli cosa stesse succedendo. Sulla porta della sua cabina c’era un altoparlante, ma finora lo avevano usato solo per comunicargli che gli avevano portato i pasti e che per il momento la porta non era chiusa a chiave.
Per tutta la durata del viaggio non gli era stato permesso di lasciare la sua stanza, e questo faceva pensare a qualcosa di illegale; purtroppo le forme di illegalità possibili erano numerose, e non si limitavano a quella che lui doveva investigare. Con la corrente legislazione sul commercio, quando una nave esploratrice mercantile scopriva un sistema abitato, molto spesso l’equipaggio teneva segreta la notizia per riservarsi le possibilità di sfruttamento commerciale. In quest’ottica, la precauzione di nascondere all’ultimo arrivato la posizione reale del pianeta costituiva un’ovvia misura di sicurezza.
Non foss’altro che per verificare la reazione dei suoi ignoti carcerieri, disse a voce alta le sue impressioni, pensando che, in fin dei conti, il fatto che si fossero fermati così a lungo davanti a quel pianeta dovesse pur significare qualcosa.
«È qui che volete farmi lavorare? Scusatemi se vi dico che mi sembra un posto estremamente sgradevole.»
Con una certa sorpresa, si sentì rispondere da qualcuno: una persona diversa da quella che gli aveva annunciato i pasti.
«Sono d’accordo con voi» disse la voce. «Non sono mai sceso personalmente su quel pianeta, ma davvero ha un aspetto poco allettante. Comunque, a quanto vi posso dire al momento, il vostro lavoro non prevede che vi interessiate di quel mondo.»
«E di che lavora si tratta?» domandò Ken. E aggiunse: «O non volete ancora dirmelo?»
«Ormai possiamo dirvelo senza pericolo, visto che siamo arrivati al sistema planetario di destinazione.» Nell’udire queste parole, Ken diede uno sguardo allarmato al pallido sole, ma continuò ad ascoltare senza dire niente.
«La porta della vostra cabina è aperta adesso» proseguì la voce all’altoparlante. «Uscite nel corridoio e voltate a destra, e proseguite fino alla fine… circa trenta metri. Arriverete alla cabina di comando, dove ci sono io. Sarà meglio per tutti e due, se ci parleremo di persona.» L’altoparlante tacque, e Ken fece come gli era stato detto. La Karella pareva un tipo normalissimo di nave interstellare, lunga probabilmente una cinquantina di metri, massimo settanta, e con diametro da quindici a venticinque. La forma consueta di quelle navi era cilindrica, con le estremità arrotondate. Un mucchio di posto, all’interno, da impiegare per il trasporto di passeggeri, di merce, o di quel che più pareva al proprietario e armatore…
Nella cabina di comando non c’era niente che meritasse particolare attenzione, a parte gli individui che si trovavano al suo interno. Uno di essi era certamente il pilota: era aggrappato alla sua spalliera, davanti al quadro principale dei comandi. L’altro galleggiava in caduta libera in mezzo alla stanza, e ovviamente aspettava l’arrivo di qualcuno, visto che teneva gli occhi puntati sulla porta. All’arrivo di Ken, si rivolse subito a lui: Ken riconobbe immediatamente la voce che lo aveva invitato a raggiungere la cabina di pilotaggio.
«Ero un po esitante a incontrarci di persona prima che accettaste definitivamente la mia offerta; ma in fin dei conti non vedo che rischi ci possano essere. Oggi come oggi, è molto difficile che io mi rechi ancora una volta su Sarr, e dunque la probabilità che possiate di nuovo incontrarmi è molto remota, nel caso che tra noi non si riesca a raggiungere un accordo.»
«Allora» domandò Ken «devo pensare che siete implicato in qualcosa di poco legale?» Ken pensava di poter dire senza rischi una cosa che, stando alle parole dell’altro, sembrava alquanto ovvia. Dopotutto, il suo misterioso datore di lavoro non poteva pensare che lui fosse stupido.
«Poco legale, certo, se vogliamo interpretare la legge nel modo più… ristretto» disse l’altro. «Tuttavia io ritengo… e sono moltissimi a pensarla come me… che se qualcuno scopre un pianeta abitato, lo esplora a proprie spese, instaura rapporti amichevoli con gli abitanti, ritengo che abbia il diritto morale di ricavare un qualche utile dalla sua scoperta. Questa, detta in poche parole, è la nostra situazione.»
Ken sentì un tuffo al cuore. Cominciava a temere di essere incappato proprio nel tipo di piccola illegalità da lui temuto, quello che non rivestiva alcun interesse agli occhi di Rade.
«In questo modo di vedere la cosa c’è del giusto…» cominciò Ken, senza compromettersi troppo. E aggiunse: «Ma, se la situazione è quella che dite, cosa posso fare per voi? Io non sono certamente un esperto di linguistica, e non so niente di economia, se le vostre difficoltà sono di tipo commerciale.»
«Ci sono delle difficoltà» rispose l’altro «ma non del tipo che dite voi. Nascono dal fatto che il pianeta in questione è talmente diverso da Sarr da rendere impossibile la nostra presenza su di esso, di persona. Abbiamo incontrato delle enormi difficoltà, anche solo per entrare in contatto con gli indigeni, e siamo in contatto soltanto con un gruppo di loro… anzi, può darsi che addirittura si tratti di un singolo individuo; non lo sappiamo.»
«Come sarebbe a dire che non lo sapete? Non potete mandare una sonda con una telecamera e una trasmittente? Mi sembra la prima cosa da fare, in casi come questo.»
«Ve ne accorgerete da voi.» L’individuo, che non aveva ancora dato il suo nome, gli rivolse un sorriso alquanto sgradevole. «Comunque, in un modo o nell’altro, un po di commercio con l’indigeno, o gruppo di indigeni che sia, siamo riusciti a organizzarlo, e abbiamo scoperto che ha un prodotto che ci interessa. Lo riceviamo, come avrete già immaginato, in partite piccolissime, a pezzi e bocconi. Fondamentalmente, il problema che dovrete risolvere è questo: come procurarcene in maggiore quantità? Potete cercare il modo di scendere di persona sul pianeta, se ne avete voglia, ma so che non siete un ingegnere. Piuttosto, pensavo che potreste fare una cosa come questa: analizzare attentamente le condizioni fisiche del pianeta… atmosfera, temperatura, luce e così via… in modo che possiamo poi riprodurle in una località più comoda per noi, per coltivarci da soli il prodotto che ci interessa. In questo modo, detto per inciso, eviteremmo anche di dover pagare agli indigeni il prezzo che ci chiedono.»
«Non mi pare una cosa molto difficile» commentò Ken. «Per inciso, noto che non intendete farmi sapere di che natura è il prodotto a cui vi riferite… a parte che dovrebbe essere di origine vegetale… ma la cosa non mi stupisce. Una volta avevo un amico che lavorava nel campo dei profumi, e il modo in cui cercava di nascondere certi fondamentali rudimenti di chimica che, secondo lui, costituivano dei grandi segreti, risultava leggermente patetico. Sono disposto a provare a fare ciò che mi dite… ma vi avverto, sono ben lungi dall’essere il miglior chimico della Galassia, e non mi sono portato alcuna attrezzatura di laboratorio, poiché non sapevo che cosa si desiderava da me. Avete questa attrezzatura, qui sulla nave?»
«L’abbiamo, ma non sulla nave» rispose l’uomo che non si era presentato. «Abbiamo scoperto il pianeta circa vent’anni fa, e in questo periodo abbiamo costruito una base abbastanza comoda, sul pianeta più interno del sistema. Quel pianeta tiene sempre lo stesso emisfero rivolto verso il suo sole, e siamo riusciti a concentrare su una piccola valle una grossa quantità di luce solare. Laggiù la temperatura risulta adesso abbastanza sopportabile. La base dispone di un buon laboratorio e di un’officina attrezzata, di cui si occupa un bravo meccanico chiamato Feth Allmer; e se poi vi dovesse servire qualcosa che non c’è in officina, possiamo sempre andare noi a prenderla. Cosa ne dite?»