«L’ho già conosciuto?» domandò Ken.
«No… è morto vari anni fa. Era già vecchio quando abbiamo scoperto questo posto. Io ho ereditato la nave e ho dato inizio all’attuale commercio.»
«E Feth, quando si è unito a voi?»
«Un anno o due dopo l’inizio… tra tutto il personale, è quello con la massima anzianità. Lui potrà spiegarvi ogni cosa, per ciò che riguarda i nostri guai di ordine tecnico, mentre io non ne sarei capace. Fareste meglio a parlarne con lui, ammesso che abbia voglia di chiacchierare.» Senza spiegare questo commento conclusivo, Drai sparì lungo il corridoio. Ken non diede molta importanza alle parole di Drai; si era già accorto che Feth non era certo una persona loquace.
Il meccanico non pareva avere molto da fare, in quel momento. Era ancora disteso sulla spalliera posta davanti ai comandi della sonda, e sembrava sprofondato nei propri pensieri. Si alzò quando Ken entrò nella stanza, ma non disse niente, e si limitò a fargli un cenno di saluto con la testa. Non notando niente di inconsueto nel suo comportamento, Ken cominciò subito a esporgli le sue idee. Feth lo lasciò finire senza interromperlo.
«Le vostre osservazioni mi sembrano giuste» ammise poi, quando Ken ebbe finito «e certo non sarei in grado di spiegare perché le cose non funzionano come dovrebbero. Posso solo dire che, nonostante tutto, quei tubi si rompono. Se volete far atterrare sul pianeta un’armatura piena di termometri e di manometri, io non ho niente in contrario, ma penso che vorrete scusare il mio pessimismo. Ho già rovinato un mucchio di ottime attrezzature video in quell’atmosfera.»
«Certo, ammetto che la vostra esperienza è superiore alla mia» rispose Ken «ma credo che valga la pena di provare.»
«Se gli strumenti ci danno dei valori accettabili, chi scende poi giù con l’armatura, la volta dopo? Al solo pensiero mi sento irrigidire le ginocchia. È un’idea che mi mette paura, e non ho esitazioni a confessarlo.»
«L’idea mette paura anche a me.» A Ken ritornarono in mente le emozioni incontrollabili che si erano impadronite di lui quando aveva visto per la prima volta il Pianeta Tre. «È un luogo spaventoso, non c’è dubbio, ma vorrei sapere lo stesso come stanno le cose laggiù, e per saperlo sono anche disposto a rischiare.»
«Rischiare… uh! Diventerete il vostro monumento alla memoria nel giro di cinque secondi, una volta che si sarà fatto nella tuta il primo forellino» replicò il meccanico. «Mi sembra addirittura un’eresia spedire laggiù dei buoni strumenti, anche se so che possono resistere alla temperatura. D’accordo, vi preparerò una tuta corazzata, se avete davvero intenzione di provare. Ci sono sonde a sufficienza.»
«Come pensate di infilarla nella sonda? Nel vano di carico non c’è spazio sufficiente.»
«No, non nel vano» rispose il meccanico. «Ci sono degli anelli sullo scafo, e possiamo legare la tuta agli anelli. Basta fare attenzione, e attraversare più lentamente l’atmosfera.» Scivolò fino al fondo del laboratorio, e apri un armadietto. Dal suo interno, prelevò una delle tanto discusse tute corazzate.
Anche alla ridotta gravità di Mercurio, la tuta era difficile da spostare. A causa delle peculiari caratteristiche della struttura fisica sarriana, dall’interno della tuta ci si poteva muovere agevolmente; ma pur essendo al corrente di questo particolare, Ken si chiese come avrebbe fatto a muoversi, una volta raggiunta la superficie del massiccio Pianeta Tre in quel mostro di metallo, con una gravità che era circa il quadruplo di quella attuale. Questo pensiero destò in lui una curiosità.
«Feth, secondo voi, che razza di chimica organica possono avere quegli indigeni? Riescono a muoversi… almeno, noi pensiamo che riescano a farlo… sotto una gravità assai elevata, in condizioni di temperatura che congelerebbero qualsiasi materiale organico. Avete mai pensato a questo particolare?»
Il meccanico rimase in silenzio per qualche istante, come per riflettere sulla risposta da dargli. «Sì» disse alla fine. «Ammetto di averci pensato. Ma non ho molta voglia di parlarne.»
«Perché? Quel posto non può essere così repellente.»
«Non si tratta di questo. Ricordate le minacce di Drai? Ricordate cosa ha promesso di fare a chi vi fornisce delle informazioni sulla merce che otteniamo dal pianeta?»
«Sì, vagamente. Ma cosa c’entra?»
«Forse non c’entra, forse c’entra. Se l’è avuta a male perché vi ho detto il nome della merce. E non ve lo avrei detto, se ci avessi pensato un attimo. La situazione pareva richiedere una risposta rapida, e io ve l’ho data.»
«Ma le vostre idee sulla biochimica degli indigeni» disse Ken «non possono rivelare niente di segreto… o forse possono rivelarlo, già. Comunque, Drai sa benissimo che non ho mai lavorato per un’altra compagnia commerciale, e che non ho interessi commerciali personali… perché dunque continua a trattarmi come una possibile spia? Non ho nessun interesse per la vostra merce: a me interessa il pianeta.»
«Non ne ho alcun dubbio. Tuttavia, se dovesse scapparmi di nuovo qualcosa di simile, vi prego di tenere per voi l’informazione. Mi aspettavo una sorta di esplosione nucleare, quando Drai è entrato mentre voi gridavate «tafacco!» al microfono.»
«Comunque, non può fare molto.» Era una sorta di domanda; Ken aveva ripreso a ragionare.
«Be…» Feth fu molto cauto nel dare la risposta «il padrone è lui, e questo lavoro non è poi così brutto. Consideratelo un favore personale, se non vi dispiace.» Tornò a occuparsi dell’armatura, con un’espressione che indicava che per il momento non aveva più voglia di parlare. Ken non riuscì a ricavare niente di sicuro dalla risposta del meccanico.
Non stette ad almanaccarci sopra, però, perché l’altro problema era troppo interessante. Feth era certamente un ottimo meccanico: non aveva niente da invidiare a molti ingegneri conosciuti da Ken. Aveva completamente aperto l’armatura e aveva tolto tutti i portelli della manutenzione, e aveva cominciato il lavoro effettuando una completa ispezione delle parti interne. Compiuta l’ispezione, aveva di nuovo riempito il sistema di riscaldamento a circolazione di zinco, aveva richiuso ermeticamente i portelli, ma aveva lasciato aperta l’armatura. Poi aveva rivolto a Ken uno sguardo interrogativo, e per la prima volta dopo due ore di silenzio, aveva parlato.
«Avete qualche idea sulla collocazione degli strumenti? Siete voi che dovete dirmi che cosa volete cercare.»
«Be, quello che dobbiamo sapere è se la tuta è effettivamente in grado di mantenere costanti la temperatura e la pressione. Penso che un singolo manometro, in un qualsiasi punto all’interno, e alcuni termometri alle estremità siano sufficienti. Possiamo usare degli strumenti con lettura a distanza, o dobbiamo aspettare il ritorno della tuta?»
«Temo che dovremo aspettare» disse il meccanico. «Il problema non sta negli strumenti, che sono facili da installare, ma nel trasmettitore vocale che c’è nella tuta, il quale non può inviarci i loro dati. Posso mettere all’interno della tuta un multiregistratore, collegandolo agli strumenti in modo che registri i loro dati, e far sì che voi possiate accenderli e spegnerli a distanza: mi limiterò a collegarlo a uno dei comandi della tuta. Suppongo che vogliate poter comandare anche i riscaldatori della tuta, vero?»
«Sì» rispose Ken. «Se occorresse la piena potenza dei riscaldatori per mantenere una temperatura accettabile, sarebbe meglio saperlo. Suppongo che si potrebbero installare degli altri riscaldatori, se fosse necessario?»