«Davvero ottimo. Accetto il lavoro, e vedrò di fare il possibile.» Ormai, Ken si sentiva un po più rassicurato, in parte perché il lavoro in sé si presentava abbastanza interessante, e in parte grazie ad alcune affermazioni che l’altro si era lasciato scappare inavvertitamente. Se il prodotto che quella gente si procurava sul pianeta sconosciuto era di origine vegetale, come pareva stando a quello che aveva sentito, c’era una sia pur minima possibilità che lui si fosse imbattuto nella pista giusta. Alla necessità di refrigerare il materiale, naturalmente, non si era fatto cenno… E, in base a quanto si era detto, il pianeta poteva essere o troppo freddo o troppo caldo per scendervi di persona; ma lo spettacolo che lui aveva visto dal portello della sua cabina, quando gli era apparso il sole di quel sistema, lo faceva propendere per la prima ipotesi. Inoltre, il suo datore di lavoro aveva parlato di riscaldare il pianeta più interno… e dunque non poteva esserci nessun equivoco, il pianeta era freddo. Indubbiamente. La possibilità di essere sulla pista giusta diventava sempre più alta. Ma all’improvviso dovette distogliere la sua attenzione da questo filo di pensieri perché si accorse che il suo datore di lavoro… ammesso che si trattasse veramente del capo dell’impresa… aveva ripreso a parlare.
«Ero certo che avreste accettato il lavoro. Potete ordinare tutto quello che vi occorre, a partire da questo istante. Potete usare questa nave come desiderate, a meno che non ci siano obiezioni da parte di Ordon Lee, se riterrà che la nave possa correre dei rischi.» Nel pronunciare questo nome, indicò con l’estremità di un tentacolo la figura del pilota. «Tra l’altro, io sono Laj Drai. Voi lavorate per me, e sono certo che staremo più tranquilli tutti e due tenendo bene in mente questo particolare. Che cosa ritenete che si debba fare, tanto per cominciare?»
Ken decise di non dare peso alle pretese di superiorità di Drai, e rispose alla domanda con un’altra domanda. «Avete qualche campione dell’atmosfera e del terreno del pianeta?»
«Dell’atmosfera, no. Non siamo mai riusciti a conservarne dei campioni; probabilmente non li abbiamo raccolti nel modo giusto. Uno dei cilindri che abbiamo usato per prelevare i campioni perdeva, e nella nostra atmosfera il contenuto è bruciato, se la cosa può avere qualche interesse per voi. Abbiamo vari campioni del terreno, ma prima o poi sono stati tutti esposti alla nostra atmosfera, e forse la loro composizione chimica è cambiata. Dovrete controllarlo voi. L’unica cosa che so con certezza è che l’atmosfera di questo pianeta ha una pressione che è circa due terzi di quella sulla superficie di Sarr, e che al livello del suolo la temperatura è tanto bassa da congelare gran parte dei gas presenti nella nostra atmosfera normale… credo che giunga addirittura a congelare il potassio. Il nostro meccanico diceva che è successo appunto questo a una delle nostre apparecchiature che ha smesso improvvisamente di funzionare quando l’abbiamo fatta scendere sul pianeta.»
«E la dimensione del pianeta?» domandò Ken.
«Più grande di Sarr: i dati li troverete tutti alla nostra base sul Pianeta Uno; laggiù sarà più facile consultarli. Non pretendo di ricordarmeli tutti con precisione… anzi, a dire il vero, non ne conosciamo nessuno con precisione. Lo scienziato siete voi, almeno per quello che ci riguarda; i miei uomini sono soltanto i vostri occhi e i vostri tentacoli.
«Abbiamo delle sonde telecomandate, come dicevate voi prima. Ma forse sarebbe meglio avvertirmi, prima di usarle; delle prime venti che abbiamo fatto scendere sulla superficie del pianeta, ne abbiamo perse diciannove. Nel punto dove la ventesima ha toccato terra abbiamo collocato un radiofaro, e adesso ci orientiamo sempre sul suo segnale quando inviamo una sonda sul pianeta. Non sappiamo con esattezza che cosa sia successo alle altre sonde, anche se possiamo formulare delle ipotesi abbastanza convincenti. Vi riferirò tutti i particolari quando esaminerete anche il resto del materiale. C’è qualcosa che vorreste fare, prima che ci allontaniamo dalle vicinanze del pianeta e ci dirigiamo verso Uno?»
«Allontaniamo dalle vicinanze? Mi pareva di avere capito che non è quello, il pianeta che ci interessa.» Ken sollevò un tentacolo in direzione della falce piena di crateri.
«No, non è quello… quello è un satellite di Tre, il pianeta che interessa a noi.»
Ken si sentì accapponare la pelle. Il satellite era spaventoso; il pianeta non poteva essere molto più caldo, dato che si trovava alla stessa distanza dal sole. La presenza di un’atmosfera poteva leggermente migliorare la situazione; ma… una temperatura talmente bassa da solidificare il potassio, e il piombo, e lo stagno! Quando Drai glielo aveva detto, Ken non aveva dato peso alle sue parole. Lui aveva sempre goduto di una buona immaginazione: fin troppo buona, forse, visto che adesso, da quei pochi elementi che gli aveva comunicato Drai, riusciva a costruirsi l’immagine di un mondo raggelato fino all’osso. Un mondo coperto di rocce taglienti, su cui batteva un gelido vento di tormenta, mentre sulla sua superficie, sotto una luce rossastra, niente si muoveva. Un pianeta della morte.
Ma quell’immagine non poteva corrispondere alla realtà: c’erano degli indigeni. Ken cercò di immaginare che tipo di forma vivente potesse sopravvivere in quelle condizioni estreme, ma non riuscì a raffigurarselo. Forse Laj Drai si era sbagliato sulla temperatura; in fin dei conti, aveva detto che quei dati non erano sicuri. Erano solo le congetture di qualche meccanico.
«Vediamo il posto, allora, visto che siamo così vicini. Tanto vale prepararsi al peggio» disse, giunto a questo punto delle sue fantasticherie. Laj Drai fece un cenno al pilota, e lo scafo della Karella cominciò lentamente a ruotare. Il satellite privo di atmosfera scivolò fuori dallo schermo visivo, e al suo posto comparve la luce delle stelle. La nave ruotò di almeno centottanta gradi, finché il Pianeta Tre non si fermò in mezzo allo schermo. La nave doveva trovarsi esattamente tra il pianeta e il satellite, pensò Ken. Cosa non molto saggia, se gli indigeni possedevano cannocchiali.
Poiché adesso il sole era alle loro spalle, il disco del grande pianeta era totalmente illuminato. Diversamente dal satellite spoglio, ai bordi del pianeta era visibile un alone che rivelava la presenza di un’atmosfera, anche se Ken non riusciva a immaginare di che gas potesse essere composta. Nonostante la luce solare decisamente rossastra, la maggior parte della superficie aveva una tinta azzurrina. Era impossibile distinguere i particolari; l’atmosfera era estremamente nebbiosa. C’erano delle visibili chiazze bianche, e altre verdi, o marrone, ma non c’era modo di capire che cosa rappresentasse ciascuna di esse.
Eppure, nebbioso com’era, c’era qualcosa nell’aspetto del pianeta che fece di nuovo rabbrividire lo scienziato. Forse dipendeva da quello che gli aveva detto Drai, e da quello che aveva dedotto dall’aspetto del sole; forse non era niente di reale. Ma, qualunque fosse il motivo, la sola vista di quel mondo lo faceva rabbrividire, e Ken si affrettò a distogliere lo sguardo.
«Andiamo su Uno, e diamo un’occhiata a quei dati» disse, cercando di controllare il suo diaframma vocale. Il pilota obbedì senza fare commenti.
Ma la Terra, in realtà, non era così brutta come se la dipingeva lui. Anzi, c’erano delle persone a cui piaceva molto. Ken, naturalmente, aveva dei pregiudizi, come capiterebbe a chiunque, quando si tratta di un mondo dove l’acqua è allo stato liquido… chiunque, beninteso, sia sempre vissuto respirando vapori di solfo, e bevendo, ma solo di tanto in tanto, cloruro di rame fuso.
2
Roger Wing, per esempio, sarebbe rimasto sorpreso dall’atteggiamento di Ken, se avesse potuto conoscerlo. Lui era decisamente a favore della Terra, o almeno della parte relativamente piccola che gli era nota. Non aveva tutti i torti, del resto, in quanto il territorio che circonda il Lago Pend’Oreille vale la pena di essere visto, soprattutto in primavera e in estate. La prima occhiata che dava al lago tutti gli anni, a giugno, era da lui attesa con ansia per tutto l’inverno. Ogni anno e per tutto il percorso, sulla strada statale che partiva dal Lago Hayden, i ragazzi scommettevano tra loro su chi sarebbe stato il primo a scorgere l’Orecchino.