Gli osservatori non riuscirono a seguire nei particolari le sue azioni, ma, a quanto pareva, Ken posò un oggetto sul terreno e continuò a farlo rotolare per qualche istante, facendo evaporare la sostanza bianca. Alla fine la sostanza non evaporò più, poiché la temperatura dell’oggetto era giunta a uguagliare quella dell’ambiente circostante; a questo punto, Ken raccolse il suo oggetto e lo aprì, suddividendolo nelle due parti componenti. Nella prima di queste parti infilò una certa quantità della sostanza misteriosa, servendosi di un normalissimo cucchiaio. Poi le due parti vennero nuovamente accostate, e lo scienziato dilettante si affrettò a raggiungere la camera di decompressione.
Drai si affrettò a dirigersi verso il portello della camera di decompressione, aspettandosi di assistere a quanto stava succedendo; ma il portello rimase chiuso. Udì il sibilo dell’aria che entrava nella camera, e poi nient’altro. Attese alcuni minuti, sempre più perplesso, e alla fine fece lentamente ritorno nella cabina di comando. Durante il percorso, continuò a guardarsi alle spalle, ma il portello rimase chiuso.
Comunque, quando entrò nella cabina di comando, Lee aveva qualcosa da riferire.
«Sta di nuovo svuotando la camera di decompressione» disse il pilota, indicando una spia luminosa di colore viola intensissimo, che lampeggiava sul quadro dei comandi.
Entrambi i sarriani si accostarono all’oblò situato dalla stessa parte dello scafo sulla quale si apriva la camera di decompressione, ma Lee continuò a tenere d’occhio anche l’indicatore che segnalava l’apertura del portello. L’indicatore si accese dopo alcuni secondi, e i due osservatori si schiacciarono con ansia contro il pannello trasparente, aspettandosi di veder comparire la figura di Ken, con indosso la pesante tuta corazzata. Anche ora, però, non successe niente.
Dopo un minuto o due: «Per la Galassia, che cosa intende fare quel pazzo?» domandò Drai, rivolgendo la domanda, in generale, al mondo. Lee la considerò una domanda retorica, ma riportò sul quadro di comando una parte della sua attenzione. Anche ora trascorsero almeno cinque minuti buoni senza che succedesse niente; poi il portello esterno si chiuse di nuovo.
Richiamando l’attenzione di Drai sul fatto che il portello si era chiuso, Lee continuò a guardare con aria d’attesa l’indicatore della pressione, che presto lampeggiò segnalando che la pressione aumentava. Non attesero più a lungo, e si avviarono fianco a fianco lungo il corridoio.
A prima vista sembrava che Ken avesse davvero finito il suo lavoro; il portello interno era aperto quando giunsero laggiù. Questa volta non aveva permesso alla tuta di raffreddarsi, a quanto pareva; la superficie liscia era solamente velata da un po di vapore. Entro un minuto o due, Lee fu in grado di aiutarlo a uscire. Ken aveva un’espressione soddisfatta, che non sfuggì ai due osservatori.
«Avete trovato che cos’era!» affermò, più che chiedere, Drai.
«Ho trovato qualcosa che mi permetterà, tra poco, di scoprire che cos’è» rispose Ken.
«Ma che cosa avete fatto? Perché siete uscito due volte?»
«Dovete avermi visto mettere un campione nella bomba a pressione. L’ho chiusa e l’ho portata all’interno per far evaporare il campione e perché in questo modo la bomba si trovasse a una temperatura in cui mi potevo fidare delle indicazioni del manometro. Ho letto la pressione in corrispondenza di varie temperature, e ho pesato la bomba contenente il campione. L’avevo già pesata quando era vuota… o meglio, quando conteneva soltanto quella sorta di vuoto quasi assoluto che questo pianeta usa come atmosfera. Quando ho aperto il portello per la seconda volta, l’ho fatto per lasciare uscire il campione e per eseguire un controllo, alla stessa temperatura, con un campione dell’aria del pianeta: dopotutto, la prima volta deve avere dato il suo contributo alla pressione.»
«Ma a cosa serve, tutto questo?»
«Senza scendere in troppi particolari inutili, mi ha permesso di scoprire il peso molecolare della sostanza» disse Ken. «Non mi aspettavo niente di conclusivo, ma invece credo di avere trovato quello che cercavo: è così piccolo che gli elementi che possono essere contenuti in quella sostanza sono molto pochi… certo niente di più pesante del fluoro, e niente, credo, di più pesante dell’ossigeno. Ammetto che il mio calcolo può essere sbagliato di un’unità in più o in meno, poiché né l’apparecchio né le condizioni di osservazione sono precisamente quelle di laboratorio, ma non credo che l’errore possa essere molto superiore.»
«E quant’è?»
«Che cosa, il peso molecolare? Diciotto o diciannove.»
«Quale elemento ha un peso del genere?»
«Nessuno dei più comuni. Devo guardare nel mio manuale, come dicevo. Solo gli elementi più rari hanno peso atomico così basso.»
«Se è così rara, può darsi che quella sostanza non sia così importante per la vita, dopotutto» disse Drai.
Ken lo guardò per vedere se scherzava. «In primo luogo» disse, accorgendosi che non scherzava affatto «il semplice fatto che sia rara non significa che la vita non ne abbia bisogno. Noi usiamo quantità del tutto rispettabili di fluoro nel nostro corpo, per non citare lo zinco, l’arsenico e il rame. Può darsi che quest’altra forma di vita faccia lo stesso. In secondo luogo, il fatto che un elemento sia raro su Sarr non significa che sia raro anche sul Pianeta Tre: è un mondo molto più grande, e può darsi che abbia contenuto grandi quantità degli elementi più leggeri durante la sua formazione, anche se forse erano presenti sotto forma di gas allo stato puro.»
Il gruppo, mentre parlava, aveva raggiunto la cabina di Ken, dove era riunita la maggior parte dell’attrezzatura scientifica. Entrarono tutti. Senza scusarsi, Ken si stese sull’unica spalliera disponibile e cominciò a sfogliare le pagine del suo manuale di chimica, nella parte dedicata ai composti inorganici. Intuiva che la sua misteriosa sostanza poteva contenere carbonio, ma certo non poteva contenerne più di un atomo per molecola, e dunque non c’era il pericolo che fosse una complicata molecola organica.
In realtà, gli elementi chimici che potevano essere presenti erano soltanto otto, e le leggi della chimica limitavano notevolmente le possibili combinazioni di questi otto. Il più leggero era l’idrogeno, naturalmente; e Ken esaminò per primi i composti dell’idrogeno, poiché erano i primi di quella parte del manuale.
Drai si era messo in un punto dal quale poteva vedere le pagine che Ken stava leggendo; il meno interessato o più flemmatico Lee rimaneva accanto alla porta e aspettava in silenzio. Era più preparato del suo datore di lavoro a una lunga sosta, in attesa che lo scienziato compisse la sua ricerca; rimase quindi ancor più stupito quando Ken, dopo pochi istanti dall’inizio della sua lettura, s’irrigidì all’improvviso: evidentemente aveva trovato qualcosa d’interessante. Anche Drai se ne accorse.
«Cos’è?» domandò subito. Sia Ken, sia Lee capirono che intendeva riferirsi alla sostanza, e non al motivo dell’interesse di Ken. Senza pensarci, Drai suppose che il suo scienziato avesse trovato quello che cercava.
«Un attimo» disse Ken. «Qui c’è un particolare che non concorda… ma il resto è perfetto… aspettate un attimo…» Ken tacque per qualche istante, poi riprese: «Certo. Questo a pressione normale.» Alzò gli occhi dal libro.
«La sostanza sembra questa» spiegò. «Su Sarr è quasi sconosciuta, a causa del suo basso peso molecolare… la maggior parte di essa dev’essere sfuggita dalla nostra atmosfera intere epoche geologiche fa, sempre che sia stata presente. Secondo il mio manuale, dovrebbe essere liquida in un ampio intervallo di temperatura, ma questo alla nostra pressione atmosferica. È ragionevole che in questo vuoto passi direttamente allo stato di vapore per sublimazione.»
«Ma che cos’è?»
«Uno degli ossidi dell’idrogeno; il protossido, a quanto pare. Se risulterà essenziale per la forma di crescita che vi interessa, non sarà divertente maneggiarlo.»