«Abbiamo a disposizione dei contenitori che si possono tenere alle condizioni ambientali esterne e rimorchiare dietro la nave» fece notare Drai.
«Pensavo anch’io che li aveste» rispose Ken. «Comunque, le normali condizioni «esterne» nello spazio vicino al Pianeta Uno vaporizzerebbero quasi certamente questo materiale, proprio come è successo con la radiazione proveniente dalla mia tuta, che era relativamente debole. Occorrerà chiudere a tenuta d’aria i vostri contenitori e, come vi ho detto, non sarà facile trasferire il loro contenuto nella caverna che sceglieremo.»
Laj Drai, per alcuni secondi, sembrò stupito. Poi, evidentemente, gli venne in mente qualcosa, e sulla faccia gli comparve un’aria soddisfatta.
«Benissimo» disse «sono certo che riuscirete a trovare il modo. È a questo che servono gli scienziati, no?» Fu il turno di Ken di fare la faccia stupita, anche se ormai conosceva Drai da tempo sufficiente per aspettarsi qualcosa di simile.
«Non ve li risolvete mai, da solo, i vostri problemi?» gli domandò, in tono un po acido.
Drai annuì, lentamente. «Sì, a volte» disse. «Mi piace meditare su di essi per un certo tempo, comunque, e se si tratta di problemi scientifici non ho le conoscenze che mi occorrerebbero per meditare nel modo dovuto. È per questo che assumo persone come voi e come Feth. Grazie per avermelo ricordato… io ho effettivamente un problema da risolvere, in questo momento, e gli ho già dedicato un mucchio di riflessioni. Se mi volete scusare, mi dedicherò ora a dargli gli ultimi tocchi. Voi potete stare qui a lavorare sul vostro.»
«Per il momento» disse Ken «su questo pianeta non abbiamo altro da fare.»
«Non ne dubito. Ritorneremo al Pianeta Uno e alle vostre attrezzature di laboratorio. Venite, Lee… lasciamo lo scienziato alla sua scienza.»
Ken, che di natura non era sospettoso, non sollevò neppure lo sguardo quando i due si allontanarono dalla cabina. Aveva appena trovato l’ammoniaca sulla lista, e si chiedeva se l’errore delle sue misure poteva essere talmente alto da far sì che il vero peso molecolare fosse soltanto diciassette. Ma i dati sulla temperatura di congelamento dell’ammoniaca lo rassicurarono. Per sicurezza, comunque, controllò tutti i composti dell’idrogeno, del litio, del berillio, del boro, dell’azoto e dell’ossigeno che erano elencati nel manuale. Il debole rumore che si udì nella cabina al decollo della nave non lo disturbò affatto. E non fece nessuna impressione su di lui neppure il fatto che la porta si fosse silenziosamente aperta.
In effetti, la porta venne chiusa nuovamente con un piccolo tonfo, prima che Ken prestasse attenzione a qualcosa d’altro oltre alle pagine che leggeva. Poi una voce, nello stesso istante in cui la porta si chiudeva, infranse improvvisamente il silenzio.
«Sallman Ken!» rimbombarono le parole, dall’altoparlante posto sopra la porta: era la voce di Laj Drai. «Ho detto un momento fa, quando ci siamo lasciati, che a volte so risolvere anch’io i miei problemi. E purtroppo voi siete diventato un problema. Pare che ci sia una sola soluzione che non mi costringa a dovere rinunciare ai vostri servigi. In un certo senso mi dispiace di doverla adottare, ma in realtà voi dovete accusare soltanto la vostra curiosità inopportuna. Quando vi risveglierete, potremo riparlarne… e potrete comunicarmi le vostre impressioni sul nostro prodotto commerciale!» La voce tacque, con uno scatto che indicava che il microfono veniva spento.
Ken, allarmato, lasciò cadere il libro e si alzò in piedi… o meglio, lasciò la sua spalliera e galleggiò nell’aria, allontanandosi dal pavimento, poiché erano in caduta libera. I suoi occhi esplorarono rapidamente ogni angolo della stanza, alla ricerca di qualcosa che potesse spiegargli le parole piuttosto minacciose di Drai. Trascorsero parecchi secondi prima che lo vedesse: un mattoncino giallo rettangolare, che era sospeso nell’aria accanto alla porta. Per un momento non lo riconobbe, e, facendo pressione contro una parete, cercò di avvicinarsi a esso; poi, quando sentì il gelo che emanava da quell’oggetto, cercò inutilmente di fermare la propria traiettoria.
Il mattoncino stava già perdendo la forma, i suoi spigoli si arrotondavano al calore dell’aria e si trasformavano in vapore. Era solfo congelato: abbastanza innocuo, in sé e per sé, se si evitava di toccarlo, ma terribile se considerato alla luce delle conoscenze e dei sospetti di Ken. Battendo freneticamente i tentacoli, Ken riuscì a sollevare una corrente d’aria sufficiente a spostare l’oggetto dalla traiettoria del suo moto; ma un’occhiata altrettanto ansiosa rivolta a tutta la stanza non rivelò niente che potesse servirgli come maschera antigas.
Non riuscì a distogliere gli occhi dall’oggetto che si faceva sempre più piccolo, e che adesso era un ellissoide piuttosto allungato. Continuò a ridursi implacabilmente; e all’improvviso Ken riuscì a scorgere qualcosa d’altro in mezzo al giallo: l’estremità di un piccolo cilindro bianco. Quando svanì l’ultimo pezzetto della custodia protettiva, il cilindro divenne prima marrone e poi nero su tutta la sua superficie, e fu avvolto da una nube sferica di fumo. Per un istante, nella mente di Ken lampeggiò una selvaggia speranza: quella cosa doveva bruciare, e un fuoco non rimaneva acceso in caduta libera. Richiedeva un tiraggio. Forse quell’oggetto si sarebbe spento da solo… ma la nube di fumo continuava ad allargarsi. A quanto pareva, l’oggetto era stato impregnato di schegge di aria congelata, perché la combustione non scemasse.
Adesso i bordi della nube di fumo si sfilacciavano a causa della diffusione, che ne portava le particelle in tutta la stanza. Ken colse le prime tracce di un odore dolciastro e cercò di trattenere il respiro, ma ormai era troppo tardi. La decisione di fare questo tentativo fu il suo ultimo pensiero cosciente.
12
«Allora, hanno deciso di tenervi.» Nel tono di Feth Allmer poteva forse esserci una debole traccia di condoglianza. «Non mi stupisce. Quando Drai ha sollevato con me tutta quella tempesta di polvere perché pensava che vi avessi detto la distanza tra questo sistema e Sarr, ho capito che dovevate avere fatto qualche indagine per conto vostro. Chi vi manda, rivali commerciali oppure la narcotici?»
Ken non rispose. Non aveva voglia di parlare. Ricordava quanto bastava, del suo sonno causato dalla droga, per comprendere alcune cose di se stesso che nessuna persona ragionevole dovrebbe essere costretta a conoscere. Aveva sognato di godersi viste e piaceri il cui ricordo, ora, gli dava soltanto disgusto… eppure, al di sotto di quel disgusto, c’era l’orrenda sensazione di averne provato piacere, e di poterlo ancora provare altre volte. Non c’è una vera possibilità di descrivere le sensazioni di un tossicodipendente, né quelle che prova quando è sotto l’influsso del narcotico, né quando è in crisi di astinenza e la droga diventa una necessità fisica; ma in quel momento, a meno di un’ora di distanza da quando era stato sotto il suo influsso, lo stato mentale di Ken era forse comprensibile. Feth era certo in grado di capirlo, ma non pareva intenzionato a soffermarsi sull’argomento.
«Ormai, chi vi ha mandato non ha più importanza, e neppure il fatto che l’intera banda lo sappia oppure no» continuò, dopo avere atteso invano la risposta di Ken. «La cosa non darà più preoccupazioni a nessuno. Sanno che siete definitivamente loro, indipendentemente da quello che pensate al momento. Aspettate che vi venga la prima crisi di astinenza, e vedrete.»
La questione era abbastanza importante agli occhi di Ken da indurlo a vincere l’apatia. «Quanto ci vorrà?» chiese.
«Cinque o sei giorni. Varia da una persona all’altra. Accettate un consiglio, adesso. Non mettetevi contro Drai… né adesso, né in seguito. L’equipaggio di questa nave è completamente in mano sua. Se vi negherà il tafacco anche solo per una mezz’ora quando sarete in crisi di astinenza, non ve ne dimenticherete più. Io non sono ancora riuscito a togliermi di dosso il sospetto di avervi comunicato la nostra posizione.»