Roger aveva già visto fotografie degli scafandri per altissime pressioni che ogni tanto venivano costruiti per esplorare i fondali marini. La figura di Ken, pertanto, non lo sorprese molto: certo sarebbe rimasto più sorpreso se avesse visto un sarriano senza armatura. La corazza indossata dallo scienziato umanizzava notevolmente il suo aspetto, dato che un uomo vi sarebbe potuto entrare senza dover subire troppe distorsioni.
Le gambe, per motivi di costruzione, avevano un solo ginocchio, corrispondente all’articolazione superiore dell’arto sarriano; il corpo aveva dimensione pari, o quasi a quella del torace dell’uomo, e aveva forma cilindrica; gli arti superiori erano soltanto due. Erano più flessibili di quelli che sarebbero stati necessari a un essere umano in una tuta come quella, ma non lasciavano capire che la creatura all’interno li muoveva con due tentacoli per braccio. I manipolatori collocati alle estremità avevano un aspetto abbastanza naturale, anche se erano più complicati dei dispositivi simili a uncini che il ragazzo aveva visto nelle fotografie degli scafandri.
Da quella distanza, non poteva vedere chiaramente che cosa c’era dietro la finestrella trasparente dell’elmetto; e fu così che, nei primi momenti, non riuscì a comprendere quanto fosse diversa dall’uomo la creatura che indossava quella goffa copertura.
Per una ventina di secondi, Roger non poté fare altro che fissare a bocca aperta la creatura; poi lanciò il grido che interruppe l’«imbarco» di Ken. Lo scienziato, fino a quel momento, aveva dedicato tutta la sua attenzione al lavoro, e non si era accorto della presenza di Roger finché questi non aveva gridato; da quel momento in poi, non ebbe occhi per altro.
Ken non era rivolto nella direzione da cui era giunto il grido, ma lo era una delle finestrelle trasparenti del casco, e lui era troppo interessato agli indigeni del pianeta per dedicare la sua attenzione a qualcosa di così prosaico come girare da quella parte l’armatura, dopo la prima occhiata da lui data all’essere che piombava su di lui alla carica. Rimase fermo dov’era, e si limitò a osservare con l’unico occhio che riuscì a portare in quella direzione. Non gli venne in mente neppure per un attimo che quella creatura potesse essere ostile.
Neanche Roger pensò mai a quella possibilità. La sua mente rassomigliava troppo a quella di Ken, nonostante le enormi differenze fisiche. Rimasero fermi l’uno davanti all’altro… Ken si decise finalmente a girare l’armatura nella nuova direzione, in modo da usare entrambi gli occhi… e in silenzio assorbirono tutti i particolari concessi loro dai rispettivi sistemi ottici.
Ciascuno dei due aveva un vantaggio sull’altro: Roger per il fatto che la luce era per lui normale, Ken perché il ragazzo non era nascosto dentro una settantina di chili di metallo. Roger poteva adesso vedere la faccia del sarriano, e tutta la sua attenzione era rivolta ai grandi occhi che potevano muoversi indipendentemente, allo spazio vuoto dove si sarebbe dovuto trovare il naso, alla bocca larga, dalle labbra sottili, che aveva un aspetto straordinariamente umano. Il silenzio si prolungò.
Venne poi rotto da Feth, la cui ansia era andata aumentando di secondo in secondo dopo il grido di Roger.
«Cosa succede?» domandò il meccanico. «C’è qualcosa che non va? State bene, Ken?»
Lo scienziato ritrovò la voce. «Tutto a posto» disse. «Abbiamo compagnia, come forse avevate già capito.» Cominciò a descrivere Roger nel modo più dettagliato possibile, ma dopo qualche istante venne interrotto dal meccanico.
«Non si può continuare così. Dobbiamo portare sul pianeta una telecamera o una macchina fotografica, anche a costo di inventare qualche nuovo sistema. Lasciate perdere la descrizione della creatura… guardate se riuscite a parlare con essa!»
Roger non aveva udito questo dialogo, perché Feth non aveva dato energia all’altoparlante collocato sulla sonda. Ora il meccanico rimediò a questa mancanza, e le successive parole di Ken giunsero chiaramente al ragazzo.
«Ma che cosa posso dirgli, per la Galassia? Supponiamo che questo indigeno sia venuto a conoscenza del nostro errore dell’altra, notte… anzi, supponiamo che si tratti addirittura dello stesso individuo! Se pronunciassi la parola «Oro», si metterebbe a scappare, oppure diventerebbe ostile. Non ho paura per me, ma certo la cosa non lo spingerebbe alla collaborazione.»
«Be, avete appena pronunciato la parola fatidica. Che reazioni ha avuto? Ho collegato l’altoparlante esterno.» Ken, che lo scopriva soltanto adesso, lanciò un’occhiata stupita in direzione di Roger.
Il ragazzo, naturalmente, aveva capito solo la parola «Oro». Probabilmente non l’avrebbe notata, se Ken non l’avesse pronunciata in un tono un po particolare, come si fa con le parole straniere; ma stando così le cose, si fece l’idea che la precedente conversazione fosse stata indirizzata a lui. Non si era accorto che le voci erano due; inoltre, i suoni provenivano sempre dalla sonda, che era ferma nell’aria al di sopra della testa di Ken.
«Non voglio il vostro oro… soprattutto se è come quello dell’altra volta!» Anche ora, gli ascoltatori capirono una parola sola. Ken sentì crescere le sue speranze. Forse la creatura non era al corrente, o forse lui e Feth avevano completamente frainteso i suoni uditi durante il test dell’atmosfera.
«Oro?» domandò.
«No!» esclamò Roger, scuotendo negativamente la testa e facendo un passo indietro per dare particolare intensità alla sua risposta. Agli occhi del sarriano che lo osservava, il primo gesto non significava niente, ma il secondo era abbastanza chiaro.
«Avete registrato questo suono, Feth?» domandò Ken. «A giudicare dalle azioni, nel suo linguaggio corrisponde alla negazione.» Oro, no! «disse poi, dopo una breve pausa. Roger si tranquillizzò, ma continuò a parlare a voce molto alta.»
«Oro, no, platino, no… io no tabacco» disse il ragazzo. Allargò le mani per far veder che erano vuote e rovesciò le tasche, dando così allo scienziato sarriano il suggerimento che attendeva da tempo per capire fino a che punto fosse artificiale la copertura che portava.
«Indicate delle cose, e dite il loro nome!» li interruppe Feth, dall’alto. «In che altro modo volete imparare una lingua? Queste vostre chiacchiere sono la cosa più stupida che io abbia mai udito!»
«D’accordo… ma tenete presente un particolare. Io posso vedere, oltre che ascoltare, e la cosa è molto diversa. Se volete che ottenga dei risultati, cercate di stare tranquillo; altrimenti, questa creatura come può capire chi le sta parlando? Tutte le voci arrivano dallo stesso altoparlante. Vi chiamerò io, quando avrò bisogno di voi.»
L’osservazione di Ken era giusta, e Feth non parlò più; dopo avere atteso un istante, Ken cominciò a seguire il suggerimento del meccanico.
Dato che aveva pensato pressappoco alla stessa cosa, Roger afferrò subito il concetto, e di conseguenza il sarriano cominciò a pensare che l’intelligenza dei terrestri fosse un tantino superiore a quanto gli aveva fatto credere in precedenza Laj Drai. Le parole inglesi per dire roccia, albero, cespuglio, montagna, nuvola, e i numeri da uno a dieci vennero imparati in poco tempo. Alcuni verbi vennero comunicati senza difficoltà. A questo punto pareva probabile che le operazioni venissero sospese, e Roger si sentì un po sollevato quando un lontano richiamo gli fece cambiare argomento.
«Dio mio! Mi sono dimenticato di Edie! Crederà che sono cascato in un burrone o qualcosa di simile!» Si voltò nella direzione da cui pareva giungere la debole voce, e mise nel grido di risposta tutto il fiato che aveva in corpo. La sorella udì il grido e gli rispose a sua volta; poi, con un quarto d’ora di corsa tra i boschi, la ragazza arrivò sulla scena. Con grande sorpresa di Roger, non pareva molto intenzionata ad avvicinarsi a Ken.