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«Mi sembra una buona soluzione» disse. «Ma anche Roger ha delle sue incombenze, mi pare; sarà meglio includere anche quelle nell’elenco dei turni.»

«Giusto. Sei d’accordo, Roger? Edith? Benissimo» concluse, nel vedere che i figli facevano un cenno d’assenso «è ora di andare a dormire. Mi pare che i prossimi giorni siano alquanto impegnativi per voi.» I ragazzi fecero una smorfia, ma obbedirono. Donald e i genitori rimasero soli accanto al fuoco. Parlarono a voce bassa, di argomenti seri, ancora per molto tempo. I quattro fratelli più giovani dormivano già da varie ore, quando Donald salì infine le scale per recarsi in camera sua; pur essendo sicuro di non svegliare nessuno, cercò ugualmente di muoversi nel massimo silenzio. Non voleva passare la notte a scansare le domande di Roger su cosa si erano detti durante la sua assenza.

Anche se la giornata precedente era stata faticosa, la mattina seguente tutta la famiglia si alzò di buon mattino. Come «favore personale» nei riguardi del fratello minore, Donald si offerse di portare in città i cavalli in eccedenza: nella casa estiva ne tenevano il minimo indispensabile, perché era faticoso portare su il foraggio. Questo permise al ragazzo più giovane, dopo che ebbe staccato gli scuri anche dalle finestre del piano superiore, di dedicarsi alla preparazione della cartina topografica commissionatagli dal padre. Edith doveva però finire la pulizia delle stoviglie e delle posate, che rimanevano ancora in gran parte da lavare, poiché la sera precedente avevano sciacquato solo quelle necessarie per una rapida cena, ma Roger vinse la sua diffidenza nei riguardi dei lavori femminili e le diede una mano. Il sole non era ancora alto quando uscirono sul porticato, si consultarono rapidamente tra loro e cominciarono a esaminare la zona adiacente alla casa.

Il ragazzo portava con sé una bussola da giovane esploratore e un metro snodabile, da lui rintracciato tra le cianfrusaglie della cantina; la sorella aveva un notes con la copertina di carta, residuato scolastico che possedeva ancora qualche pagina utilizzabile. Tra gli insegnamenti del padre e quelli che gli erano stati impartiti nel primo anno passato tra i giovani esploratori, Roger era certo di poter disegnare una cartina della zona, senza necessità di altre attrezzature. Non aveva pensato al problema dell’altitudine e di come determinarla.

La casa dei Wing era situata assai in alto, ma al di sopra di essa c’era ancora molta strada da fare, prima di arrivare alla cima: quando alla fine la raggiunsero, i due ragazzi sentirono il bisogno di riposare. E di sedersi a guardare il panorama sottostante, anche se entrambi l’avevano già visto molte volte.

Le cime dei Cabinets si stendevano intorno a loro in tutte le direzioni, eccetto che a ovest. Il livello a cui si trovavano non era abbastanza alto per permettere loro di vedere molto lontano; ma a sudovest si scorgevano pezzi del Pend’Oreille e tra il sud e l’est compariva la sagoma facilmente riconoscibile del Picco Racchetta da Neve. Rigorosamente parlando, non c’era una linea di demarcazione netta tra la zona della foresta perenne e quella brulla; ma la maggior parte delle cime riusciva a cacciar fuori dal terreno, per qualche decina di metri almeno, uno spuntone di roccia. Le cime più basse erano coperte di foreste, composte soprattutto di abeti Douglas, gli alberi più diffusi nel nordovest, sulla costa del Pacifico. Dal punto prospettico in cui si trovavano i due giovani si scorgeva un paio di zone relativamente spoglie, probabilmente resto di incendi boschivi degli anni precedenti.

Entro il raggio assegnato loro dal padre, c’erano diversi punti che potevano servire come riferimento, e dopo qualche tempo Roger prese la bussola e cominciò a misurare la direzione del maggior numero possibile di essi. Edith stava già eseguendo uno schizzo a mano libera della zona circostante, e Roger se ne servì per segnarvi le direzioni dei punti di riferimento. Le distanze potevano essere aggiunte in un secondo tempo; Roger non conosceva né la propria altitudine né quella dei punti da lui misurati, ma anche se le avesse conosciute non avrebbe saputo cosa farsene. Non conosceva la trigonometria e non aveva nessuno strumento per misurare gli angoli sul piano verticale.

La cartina cominciò ad affollarsi di particolari ancor prima che lasciassero la cima della collina; e in breve i due giovani furono completamente presi dal loro lavoro. Quella sera, la signora Wing non si stupì affatto nel vederli arrivare a cena in ritardo.

3

La stazione sul Pianeta Uno era un’installazione decisamente primitiva, anche se certamente era stato necessario un grosso impegno lavorativo per renderla abitabile. Era collocata in fondo a una profonda valle, posta approssimativamente nel centro dell’emisfero meridionale del pianeta, dove la temperatura si aggirava normalmente intorno ai quattrocento gradi centigradi. Una temperatura ancora talmente bassa da liquefare i vapori di solfo che erano il principale componente dell’atmosfera adatta alla razza d’appartenenza di Ken; ma i cento gradi che ancora mancavano per raggiungere la temperatura del suo pianeta d’origine erano stati ottenuti scavando una serie di terrazze sulle pareti di roccia, tagliando secondo la giusta inclinazione i fianchi delle terrazze e coprendoli poi di lastre di ferro. La scura cupola metallica della stazione si trovava, a tutti gli effetti, nel fuoco di un gigantesco specchio concavo; e grazie alla dimensione angolare del sole e alla dimensione lineare della cupola, la librazione solare non spostava mai il fuoco in misura sensibile.

La nave interstellare si posò su una distesa di roccia nuda e liscia, accanto alla cupola. Non c’erano attrezzature per lo sbarco dei passeggeri, e Ken dovette indossare la tuta spaziale per uscire. Varie altre sagome in tuta si radunarono nel portello stagno dietro di lui, e Ken pensò che quasi tutti, se non tutti, i membri dell’equipaggio «scendessero a terra» allo stesso tempo, anche se, naturalmente, forse non erano tutti membri dell’equipaggio; bastava un solo uomo per guidare una nave della classe della Karella. Si chiese se quell’abitudine non fosse pericolosa, su un pianeta sconosciuto; ma una breve occhiata, mentre percorreva il breve tragitto dalla nave alla cupola, non gli rivelò alcun armamento difensivo, come se coloro che risiedevano nella stazione non avessero alcun timore di essere attaccati. E se, come gli avevano detto, la base del Pianeta Uno era lì da vent’anni, quelle persone sapevano cosa facevano.

All’interno, la cupola era abbastanza accogliente, anche se l’accompagnatore di Ken continuava a scusarsi per la mancanza di attrezzature. Consumarono un pasto che non aveva bisogno di scuse, e Ken venne condotto nelle sue stanze personali, belle e confortevoli quanto quelle di un buon albergo sarriano. Laj Drai gli fece fare un breve giro della stazione, mostrandogli gli strumenti che avrebbe usato per il lavoro che gli era stato assegnato.

Ken, che non si lasciava scappare di mente il suo «vero» lavoro, continuò a guardarsi attorno, alla ricerca di possibili tracce che indicassero la presenza del narcotico da lui cercato. Dopo il breve giro turistico della base, fu ragionevolmente certo che non ci fosse nessun complicato impianto chimico di raffinazione nelle vicinanze della cupola; ma pensò che se la droga era un prodotto naturale, forse non c’era bisogno di impianti come quello. Lui stesso conosceva varie sostanze che erano efficacissime già nella forma in cui si trovavano in natura: ad esempio un prodotto vegetale che veniva ancora usato da certe tribù primitive del suo pianeta natale per avvelenare le frecce.

Le attrezzature per il «commercio», invece, parevano più promettenti: cosa del resto prevedibile, se si pensava alle condizioni fisiche del pianeta con cui si effettuava lo scambio. C’erano molte sonde telecomandate, ciascuna divisa in due sezioni principali: la prima, contenente l’apparato motore e quello di pilotaggio, era dotata di apparecchiature stabilizzatrici che mantenevano pressoché normale la temperatura; l’altra era prevalentemente costituita di un vano vuoto, per il magazzinaggio, e di dispositivi di refrigerazione. Nessuna delle parti pareva isolata in modo particolarmente efficiente, né rispetto all’altra parte né rispetto all’ambiente circostante. Ken esaminò con attenzione, per qualche tempo, una delle sonde, e poi cominciò a fare delle domande.