Fenner appoggio le mani sulla scrivania e si chino in avanti. «Voglio un aggancio in questa citta. Sono andato da Carlos. Non mi va. Voi siete il secondo, nella mia lista, ed eccomi qua.»
«Da dove venite?»
«Mi manda Crotti.»
Noolen si studio le unghie nere. «Cosi Carlos non vi ha voluto? E perche mai?» la sua voce era ringhiosa.
«Carlos non mi ha visto. Ho conosciuto la sua mandria di scagnozzi e mi e bastata. Mi ha fatto venire il vomito e l'ho piantata.»
«Perche venire da me?»
Fenner sogghigno. «Loro dicono che siete un cervello di gallina. Ho pensato che potremmo sistemare questa faccenda.»
Un vago rossore copri il viso di Noolen. «Cosi dicono, eh?»
«Certo. Ma con me al fianco, vi potreste prendere qualche soddisfazione.»
«Vale a dire?»
Fenner afferro una sedia, li accanto, con un piede e si sedette. Allungo un braccio e si prese un sigaro sottile e verdastro da una scatola sulla scrivania. Prese tutto il tempo necessario per accenderlo. Noolen lo guardava, gli occhi intenti e lucidi.
«Guardate le cose da questo punto di vista» disse, allungandosi sulla sedia. «Il mio punto di vista. Mi manda Crotti. Come tutti voi, voglio avere la possibilita di far soldi in fretta e senza troppa fatica. Cretti mi ha detto, o Carlos o Noolen. La gente di Carlos si sente troppo in alto per occuparsi di me. Non sono nemmeno riuscito a vedere Carlos. Voi, invece, entro e vi trovo qui seduto con una ragazza dal seno piatto come unica guardia del corpo. Perche Cretti mi ha fatto il vostro nome? Forse una volta eravate qualcuno e Cretti non e aggiornato. Oppure siete veramente qualcuno, e questa e tutta una messinscena. Prendetela come volete, ma credo che insieme potremmo combinare qualcosa.»
Noolen diede una lieve scrollata di spalle. Scosse la testa. «Non subito» rispose. «Non conosco Crotti. Non ne ho mai sentito parlare, e non credo che vi mandi lui. Non siete altro che un pistolero qualunque che va in cerca di lavoro. Non vi voglio e spero di non aver mai bisogno di voi.»
Fenner si alzo e sbadiglio. «Magnifico» disse. «Ora posso concedermi un po' di riposo. Quando ci avrete riflettuto, potrete trovarmi al Haworth Hotel. Se conoscete Usignolo, consultatelo, lui ha un'altra opinione di me.»
Fece un cenno a Noolen e usci dall'ufficio. Scese le scale, chiamo un tassi e si fece portare all'albergo. Si fermo al ristorante e ordino una bistecca di tartaruga. Mentre stava mangiando, entro Usignolo e si sedette di fronte a lui.
«Finito di piantar chiodi nelle casse o vi vanno male gli affari?» chiese Fenner, con la bocca piena.
Usignolo era preoccupato. «Una bella idea davvero, andartene a quel modo!»
«Si? Me ne vado sempre a quel modo, quando mi fanno una pernacchia.
Perche no?»
«Stammi a sentire, Reiger non ha un bel carattere. Non si puo trattarlo a quel modo!»
«Davvero? Non dirmelo!»
Usignolo ordino pane di segale, formaggio e un bicchiere di latte. Tenne gli occhi fissi sulla tovaglia finche la cameriera non gli porto quanto aveva ordinato, e quando se ne fu andata, disse: «Questa e una complicazione per me.»
Fenner appoggio la forchetta e il coltello. «Mi piaci.» Sorrise a quell'ometto. «Tu sei l'unico che mi ha dato una mano finora. Se mi stai appresso, potrebbe venirtene del bene.»
Usignolo sbircio Fenner da sotto il cappello. Il sole, che entrava dalle veneziane, si rifletteva nei suoi occhiali. «Potrebbe venirmene anche del male» replico asciutto.
Fenner riprese a mangiare. «Diavolo!» esclamo. «Questa citta e un forno.»
Quando finirono di pranzare, Fenner scosto la sedia e si alzo. «D'accordo, amico» disse. «Ci teniamo in contatto.»
«Potremmo anche scambiare quattro chiacchiere, qualche volta» disse Usignolo, speranzoso.
Fenner si tolse il cappello e si passo le dita tra i capelli. «Non so» rispose in tono vago. «Non so.»
Saluto l'ometto con un cenno e usci. Il direttore dell'albergo era occupato dietro il banco. Alzo gli occhi mentre Fenner passava e gli fece un sorriso untuoso.
«Vado a dormire. Questa citta mi ammazza» disse l'investigatore.
Prima che il direttore potesse rispondere, sali le scale fino in camera sua.
Chiuse la porta a chiave, si tolse la giacca e il cappello e si butto sul letto.
Cadde subito addormentato, con un serafico sorriso sulle labbra.
Il telefono lo sveglio. Balzo a sedere di scatto, guardo l'orologio, vide che aveva dormito un paio d'ore e tese la mano verso l'apparecchio.
«Vieni immediatamente al Flager Hotel. Il capo ti vuole.»
Fenner strabuzzo gli occhi. «Di' al capo che sono venuto stamattina. Non vado due volte nello stesso posto» rispose e riattacco.
Si sdraio sul letto e chiuse gli occhi. Se ne stava cosi immobile, da un minuto o due, quando il telefono squillo ancora.
La stessa voce disse: «Farai meglio a venire. A Carlos non piace aspettare.»
«Di' a Carlos che se mi vuole sono qui, altrimenti puo andarsene a quel paese.» Depose il ricevitore con cura esagerata.
Non si prese nemmeno la briga di rispondere, quando il telefono squillo per la terza volta. Ando in bagno, si rinfresco il viso, si concesse una breve sorsata di Scotch, mise giacca e cappello, e scese.
La calura del pomeriggio era intollerabile. L'ingresso dell'albergo era deserto. Fenner lo attraverso e si sedette accanto all'entrata. Appoggio il cappello per terra, accanto a se, e fisso la strada. Non aveva intenzione di farla durare a lungo quella storia, se non pescava subito la sorella di Marian Daley. Si chiese se la polizia aveva trovato i due cubani e i miseri resti di Marian. Si chiese anche che cosa stesse facendo Paula. Da dove stava, teneva d'occhio la strada assolata e deserta. Una grossa automobile improvvisamente sbuco da dietro l'angolo di un edificio, punto verso l'albergo con un ruggito e si fermo.
Fenner si rilasso nella grande sedia a vimini e, allungando un braccio, raccatto il cappello e se lo mise.
C'erano quattro uomini in macchina. Ne uscirono tre, lasciando l'autista al volante.
Fenner riconobbe Reiger e Miller, ma non individuo il terzo. Salirono i pochi gradini con decisione e si guardarono in giro nella penombra. Reiger scorse Fenner quasi subito. Gli si avvicino.
Fenner alzo gli occhi verso di lui e rispose con un cenno. «Cercate qualcuno?» chiese con noncuranza. «L'impiegato sara di ritorno in un minuto.»
«Carlos ti vuole. Vieni» fece Reiger.
Fenner scosse il capo. «Fa troppo caldo. Ditegli che sara per un'altra volta.»
Gli altri due si avvicinarono, minacciosi. Reiger aggiunse, con voce dolce: «Vuoi venire con le tue zampe o ti dobbiamo portare noi?»
Fenner si alzo lentamente. «Quand'e cosi…» disse, e s'avvio con loro verso la macchina. Sapeva che Reiger aveva una gran voglia di sparargli addosso e sapeva che non sarebbe servito a niente far troppe storie. Voleva vedere Carlos, ma non dovevano pensare che gli premeva.
Arrivarono al Flager Hotel in silenzio. Fenner stava seduto fra Miller e Reiger, e l'altro uomo, che loro chiamavano Bugsey, stava davanti con l'autista.
Entrarono tutti nell'ascensore ed andarono al numero 47. Appena dentro, Fenner disse: «Potevate risparmiarvi questo viaggio se non facevate i furbi stamattina.»
Reiger non rispose. Attraverso la stanza, busso a un'altra porta ed entro.
Bugsey segui Fenner.
Carlos era sdraiato su un divano davanti a una grande finestra aperta. Indossava una vestaglia di seta color crema, con grandi fiori rossi. Vistosamente annodato al collo un fazzoletto di seta bianco, ai piedi nudi un paio di babbucce turche.
Fumava una sigaretta di marijuana, e attorno al polso abbronzato e peloso aveva un braccialetto d'oro.
Carlos era giovane. Poteva avere vent'anni, o forse ventiquattro. Il suo viso aveva il colore della pergamena vecchia, le labbra erano molto rosse.
Labbra sottili, come carta velina, e rosse come se fossero state tagliate col rasoio. Aveva il naso piccolo, con le narici grandi e le orecchie schiacciate contro la testa. Gli occhi grandi, con ciglia scure e ricurve, ma privi di espressione. Erano come pezzi di vetro nero e opaco. I capelli, sfuggenti alle tempie, neri, lucenti, e piuttosto ondulati. Con un'occhiata superficiale, si poteva pensare che Carlos fosse un bel ragazzo, ma a guardargli bene la bocca e le orecchie senza lobo non se n'era tanto sicuri. Dagli occhi, soprattutto, si capiva che era una carogna.