Reagan spiegò: — Ho incontrato Winn quando è scesa dall’Ark. Le ho spiegato come trovare il mio ufficio, visto che lei non era là a fare gli onori di casa.
— Grazie, — annuii. — Le sbarre di rinforzo sono arrivate?
— Immagino di sì. Hanno scaricato delle casse. Avevano una gran fretta di andarsene. E sono andati.
Grugnii.
Reagan disse ancora: — Be’, andrò a controllare il carico. Sono venuto soltanto a portarle la risposta. Ho pensato che volesse subito la buona notizia.
Uscì, ed io lo seguii con uno sguardo furente. Quello schifoso! Quel…
Winifred disse: — Devo cominciar subito a lavorare, signor Rand?
In qualche modo sciolsi i muscoli irrigiditi e riuscii a sorridere. — Certo che no, — replicai. — Prima vorrà dare un’occhiata al posto. Ammiri il paesaggio e si adegui al clima. Vuole che l’accompagni al villaggio a bere qualcosa?
— Certo.
C’incamminammo lungo il sentiero verso il gruppetto d’edifici, tutte casette a un piano, quadrate.
La ragazza disse: — È… è bello. Mi sembra di camminare su una nuvola, mi sento così leggera. Qual è esattamente la gravità, qui?
— Zero virgola settantaquattro, — l’informai. — Se pesa… uhm… cinquantacinque chilogrammi sulla Terra, qui ne peserà soltanto quaranta. E senz’altro le stanno benissimo.
Rise. — Grazie, professore… oh, no, lei non è più professore, adesso. È il mio principale. Devo chiamarla signor Rand.
— A meno che non sia disposta a chiamarmi Phil, Winifred.
— Se lei mi chiamerà Winn. Detesto Winifred, quasi quanto Will odia Wilfrid.
— Come sta Will?
— Bene. È assistente al Politecnico, ma non gli piace molto star lì, fra gli studenti. — La ragazza fissò il villaggio davanti a loro. — Perché tanti piccoli edifici, invece di pochi e grandi?
— Perché la vita media d’una struttura qualunque su Placet è all’incirca di tre settimane. E non si sa mai quando sta per crollare… con qualcuno dentro. È il nostro problema più grosso. Tutto quello che possiamo fare è costruire tutto piccolo e leggero, salvo per le fondamenta, che facciamo quanto più robuste possibili. Finora nessuno è rimasto ferito gravemente nel crollo d’un edificio, proprio per queste precauzioni, ma… ha sentito?
— La vibrazione? Cos’era? Un terremoto?
— No, — spiegai. — Uno stormo di uccelli.
— Cosa?
Fui costretto a ridere nel vedere la faccia che aveva fatto. Dissi: — Placet è una gabbia di matti. Un minuto fa mi ha detto che le sembrava di camminare sulle nuvole. Be’, in un certo senso è ciò che sta facendo. Placet è uno di quei rari oggetti nell’universo composto sia da materia normale che da materia pesante. Materia con una struttura atomica collassata, così pesante che non riuscirebbe a sollevarne neppure un sassolino. Placet ha un nucleo composto da quel tipo di materia; è per questo che un pianeta così minuscolo, con una superficie neppure il doppio dell’isola di Manhattan, ha una gravità che raggiunge i tre quarti di quella terrestre. C’è vita — vita animale, non intelligente — che vive sulla superficie del nucleo. Ci sono uccelli, la cui struttura atomica è simile a quella del nucleo del pianeta, così densa che, per loro, la materia normale è tenue come lo è per noi l’aria. Ci volano attraverso, come gli uccelli della Terra volano attraverso l’aria. Dal loro punto di vista, noi camminiamo sopra l’atmosfera di Placet.
— Ed è la vibrazione prodotta dal loro volo sotto la superficie che fa crollare le case?
— Sì… ma fanno anche peggio. Volano dritti attraverso le fondamenta, qualunque sia il materiale con cui le costruiamo. Qualunque sostanza con cui noi lavoriamo per loro è soltanto gas. Volano attraverso il ferro o l’acciaio con la stessa facilità con cui volano attraverso la sabbia o l’argilla. Ho appena ricevuto dalla Terra un carico di roba particolarmente compatta e dura — quella speciale lega d’acciaio di cui mi ha sentito chiedere a Reagan — ma non spero che servirà a molto.
— Ma quegli uccelli non sono pericolosi? Voglio dire, oltre a far crollare gli edifici. Qualcuno di essi non potrebbe prendere abbastanza slancio da schizzar fuori dal suolo, penetrando nell’aria per un tratto? E non trapasserebbe da parte a parte chiunque si trovi sulla sua traiettoria?
— Potrebbe, — annuii, — ma non accade. Voglio dire, magari sfiorano la superficie, dal di sotto, a pochi centimetri. Ma qualche senso sembra avvertirli quando si avvicinano al tetto della loro “atmosfera”. Qualcosa di analogo alle onde supersoniche usate dai pipistrelli. Lei sa, naturalmente, in che modo un pipistrello riesce a volare nella più completa oscurità senza mai sbattere contro un oggetto solido.
— Sì, come il radar.
— Appunto, come il radar. Salvo il fatto che il pipistrello usa onde sonore invece che onde radio. E questi uccelli sotterranei devono usare qualcosa che funziona sullo stesso principio, ma all’incontrano. Qualcosa che li fa tornare indietro non appena si avvicinano a pochi centimetri da quello che per loro sarebbe l’equivalente del vuoto. Essendo fatti di materia pesantissima, non potrebbero volare, o comunque sopravvivere, nell’aria, non più di quanto un uccello terrestre potrebbe volare o sopravvivere nel vuoto.
Mentre stavamo sorseggiando un cocktail, Winifred accennò di nuovo a suo fratello. Disse: — A Will non piace affatto insegnare, Phil. C’è qualche possibilità che lei possa fargli avere un lavoro qui su Placet?
Replicai: — Ho tempestato il Centro Terrestre perché mi mandassero un altro assistente amministrativo. Il lavoro è aumentato da morire, da quando abbiamo messo a coltivazione dell’altra superficie. Reagan ha davvero bisogno di aiuto. Io…
Il volto di Winifred irradiava tutto una luce speranzosa. Ed io ricordai. Per me era finita. Mi ero licenziato, e il Centro Terrestre, d’ora in poi, avrebbe prestato ad ogni mia raccomandazione la stessa garbata sollecitudine che avrebbero riservato a uno di quegli uccelli sotterranei di Placet. Conclusi, con voce incerta: — Vedrò… vedrò se posso fare qualcosa.
Lei disse: — Grazie, Phil. — Tenevo la mano sul tavolo, accanto al bicchiere, e lei per un attimo vi appoggiò sopra la sua. D’accordo, sarà una vecchia e stantia metafora, ma fu come se una corrente ad alto voltaggio mi avesse trapassato. E fu una scossa mentale, oltre che fisica, poiché mi resi conto, là per là, di esser cotto di lei. Ero crollato peggio di quanto avesse mai fatto un qualunque altro edificio di Placet. Il tonfo mi lasciò senza fiato. Non stavo guardando il volto di Winifred, ma dal modo in cui aveva premuto la sua mano sulla mia per un millisecondo, per poi staccarla di scatto come da una fiamma, anche lei doveva aver sentito un po’ di quella corrente.
Mi alzai un po’ scosso e suggerii che tornassimo a piedi al quartier generale.
Sì, riflettei amaramente, rivoltando la lama nella piaga, mi ero proprio cacciato in una situazione impossibile. Adesso che il Centro aveva accettato le mie dimissioni, ero privo di un qualunque sostegno, visibile o invisibile. In un momento di aberrazione mentale, mi ero conciato per le feste tutto da solo. Non ero neppure sicuro che sarei riuscito a ottenere di nuovo un posto d’insegnante. Il Centro Terrestre è una delle più potenti organizzazioni dell’universo, e ha un dito, per così dire, in ogni torta. Se mi avessero messo sulla lista nera…
Lungo la via del ritorno lasciai che Winifred parlasse per la maggior parte del tempo; avevo fin troppe cose a cui pensare. Volevo dirle la verità… e non volevo.
Fra una risposta a monosillabi e l’altra, dibattei la cosa tra me. E alla fine persi. O vinsi. Non gliel’avrei detto… fino al prossimo arrivo dell’Ark. Avrei finto che tutto fosse normale e andasse alla perfezione, per quel periodo, così avrei potuto accertare se Winifred si stava innamorando di me. Quest’opportunità, almeno, me la sarei concessa. Una possibilità di quattro giorni.