Il commissario Davis riesaminò mentalmente le proposte arrivate con gli ultimi dispacci, domandandosi se non ci fosse per caso qualche idea buona in mezzo a tante assurdità. C’era, naturalmente, la solita richiesta da parte di una compagnia TV mai sentita nominare, che voleva girare un ennesimo documentario sulla Luna, purché tutte le spese fossero a carico della Commissione Turismo. La risposta sarebbe stata: no! Se avesse accettato tutte quelle cortesi offerte, la Commissione sarebbe fallita in quattro e quattr’otto.
Poi c’era una verbosa lettera di un collega, il direttore della Commissione Turistica di New Orleans, Inc. che proponeva uno scambio di personale. Non si capiva in che modo uno scambio simile potesse giovare alla Luna, o a New Orleans, ma non sarebbe costato nulla e alla lunga poteva produrre qualche risultato. Infine, ed era una richiesta molto più interessante, il campione australiano di sci acquatico voleva sapere se qualcuno avesse mai provato a praticare quello sport sul Mare della Sete.
Sì… questa poteva essere un’idea; anzi, strano che nessuno ci si fosse ancora provato. Valeva la pena di fare un piccolo esperimento. Davis era sempre alla ricerca di nuove forme di ricreazione lunare, e considerava il Mare della Sete il suo atout migliore. Ma quell’atout, nel giro di poche ore, doveva trasformarsi in un incubo.
Davanti al Selene, l’orizzonte non era più un arco perfetto e ininterrotto; proprio sull’orlo estremo, si stagliava ora un profilo frastagliato di monti. Via via che il battello si avvicinava, i rilievi sembravano arrampicarsi lentamente su per il cielo, come sollevati da un gigantesco ascensore.
«Le Montagne Inaccessibili» annunciò Sue Wilkins. «Così chiamate perché sono interamente circondate dal mare. Noterete, inoltre, che sono molto più ripide della maggior parte delle montagne lunari.»
Sue Wilkins non approfondì oltre quel concetto, dato che, purtroppo, la maggioranza dei picchi lunari! era una grande delusione. Gli enormi crateri che apparivano così imponenti sulle fotografie prese da Terra, visti da vicino si rivelavano niente di più che colline di modeste proporzioni, dalla pendenza meno ripida di quella di certe strade di San Francisco. Ben poche avrebbero potuto offrire un ostacolo serio a un ciclista di buona volontà. I dislivelli venivano enormemente esagerati dalle ombre che le montagne stesse proiettavano all’alba e al tramonto, ma la Commissione per il Turismo Lunare cercava, s’intende, di confondere un po’ le carte, e nei suoi opuscoli pubblicitari presentava solo i picchi e i canyon più spettacolari, fotografati con sapienti giochi di prospettiva.
«Finora non sono mai state esplorate» continuò la signorina Wilkins. «L’anno scorso accompagnammo fin là un gruppo di geologi, e li facemmo sbarcare su quel promontorio, ma riuscirono a spingersi nell’interno solo di pochi chilometri. Può darsi, perciò, che lassù in mezzo a quei monti ci sia chissà che cosa. Qualsiasi ipotesi è valida: non sappiamo niente.»
«Brava Sue» pensò Pat. Quella ragazza era una guida di prim’ordine. Sapeva che cosa andava lasciato alla fantasia, e che cosa andava spiegato nei particolari. Usava un tono tranquillo, disinvolto, senza quell’enfasi cantilenante che è la malattia professionale delle guide. Conosceva perfettamente l’argomento, ed era difficile che non sapesse rispondere a una domanda. Nel complesso era una ragazza molto in gamba. Pat, che pure la trattava con molta familiarità nelle sue fantasie erotiche, segretamente la temeva un pochino.
I passeggeri fissavano affascinati i picchi ormai incombenti. Su quell’astro tuttora misterioso, ecco un mistero ancora più fondo. Le Montagne Inaccessibili, che sorgevano come un’isola dallo strano mare che le circondava, restavano una sfida per le future generazioni di esploratori. Nonostante il loro nome, ormai era abbastanza facile raggiungerle, ma poiché milioni di chilometri quadrati meno impervi erano ancora inesplorati, quei monti avrebbero dovuto aspettare il loro turno.
Ora il Selene si stava insinuando nella loro ombra; prima che qualcuno si fosse reso conto di ciò che avveniva, la Terra, che splendeva bassa nel cielo, era scomparsa alla vista. La sua luce brillante scherzava ancora sulle sommità delle montagne, ma là sotto l’oscurità era totale.
«Spegnerò le luci della cabina» disse la hostess. «Così potrete vedere meglio.»
Quando la fioca illuminazione di luci rosse si spense, ogni passeggero si sentì completamente solo nella notte lunare. Perfino la luce della Terra riflessa sulle vette stava scomparendo, via via che l’imbarcazione si addentrava nell’ombra. Pochi minuti dopo, restavano solo le stelle: freddi, immobili punti di luce contro un’oscurità così completa che la mente quasi si ribellava. Era difficile riconoscere le costellazioni tra quella moltitudine di stelle. L’occhio si confondeva tra nuovi schemi mai visti dalla Terra, e si perdeva in una confusione scintillante di nebulose e di sciami ignoti. In quel risplendente panorama, spiccava soltanto una pietra miliare inconfondibile: il raggio abbagliante di Venere, che superava come splendore tutti gli altri corpi celesti, annunciando l’avvicinarsi dell’alba.
Passarono diversi minuti prima che i passeggeri si rendessero conto che non tutte le meraviglie stavano in cielo. Dietro la veloce imbarcazione si stendeva una lunga scia fosforescente, come se un dito magico avesse tracciato una striscia di luce attraverso la faccia buia e polverosa della Luna. Il Selene lasciava una coda di cometa dietro di sé, proprio come ogni nave che si apre la via attraverso gli oceani tropicali della Terra.
Tuttavia, qui non si trattava di microorganismi che accendessero il mare delle loro minuscole lampade. Si trattava solo di innumerevoli granelli di polvere, che scintillavano l’uno contro l’altro via via che le scariche provocate dal rapido passaggio del Selene si neutralizzavano. Pur conoscendone la spiegazione, lo spettacolo restava affascinante: il turista si voltava e vedeva nel buio quel luminoso nastro elettrico rinnovarsi continuamente, come se l’intera Via Lattea si riflettesse sulla superficie lunare.
La scia baluginante si perse nella luce improvvisa quando Pat accese uno dei grandi fari. Ora, minacciosamente vicina, si vedeva una grande parete di roccia scivolare via. In quel punto il fianco della montagna saliva quasi a picco dal mare di polvere, perdendosi ad altezze incalcolabili, poiché la parete rocciosa prendeva corpo solo nei punti illuminati un attimo dall’ovale del faro.
Quelle erano montagne al cui confronto le catene dell’Himalaya, delle Ande, delle Alpi facevano la figura di neonati. Sulla Terra, le forze dell’erosione avevano cominciato a logorare le montagne fin dal primo momento della loro formazione, così che, dopo alcuni milioni di anni, quelle cime solo erano un pallido ricordo di ciò che erano state all’origine. Ma la Luna non conosceva né vento né pioggia; non c’era nulla, lassù, che potesse consumare la roccia, salvo lo sfioccarsi infinitamente lento della finissima polvere quando gli strati superficiali si contraevano nel gelo notturno. Quelle montagne erano antiche come il mondo che le aveva generate.
Pat era molto orgoglioso della propria abilità di presentatore e aveva progettato il prossimo numero con molta cura. Sembrava pericoloso, mentre non lo era per nulla; il Selene aveva percorso quella rotta un centinaio di volte e la memoria elettronica del suo pilota automatico conosceva il percorso meglio di qualsiasi pilota umano. D’improvviso, Pat spense il faro, e i passeggeri, abbacinati fino a un momento prima dal chiarore che illuminava la roccia da un solo lato, si accorsero all’improvviso che le montagne si erano andate chiudendo intorno a loro anche dall’altro.
In un’oscurità quasi totale, il Selene stava correndo lungo uno strettissimo canyon, e la rotta non era nemmeno rettilinea: di tanto in tanto lo scafo faceva brusche virate per evitare un ostacolo invisibile. Molti di quegli ostacoli, in verità, non solo erano invisibili, ma addirittura inesistenti; Pat aveva tracciato quel à rotta metro per metro, a velocità ridotta e nella piena luce del giorno, studiandola in modo da creare la massima sensazione di suspense. Le esclamazioni che arrivavano dalla cabina buia alle sue spalle gli confermarono che il suo era stato un buon lavoro.