Ora il programma dell’Interplanetary si stava avviando verso il traguardo con la scorrevolezza di un’operazione militare. Di lì a una settimana l’equipaggio e tutto lo staff di più alto grado sarebbero partiti per l’Australia. Con loro sarebbero andati tutti quelli che fossero riusciti a trovare un pretesto confacente. Nei giorni che seguirono nell’edificio si vedevano circolare facce dall’aria preoccupata. Gli impiegati più giovani avevano cominciato a scoprire all’improvviso di avere zie malate a Sydney o cugini indigenti a Camberra, che richiedevano la loro immediata presenza.
L’idea di fare un party era nata, sembrava, nella mente del direttore generale ed era stata raccolta entusiasticamente da McAndrews, seccato per non averci pensato lui. Sarebbero stati invitati tutto il personale della sede centrale nonché moltissimi esponenti del mondo industriale, la stampa, le università e le innumerevoli organizzazioni con cui la Interplanetary aveva a che fare. Dopo aver sfrondato il più possibile la lista degli invitati e dopo grandi bruciori di stomaco erano stati inviati poco più di settecento inviti.
Persino il Capo Contabile, che ancora ribolliva al pensiero delle duemila sterline da segnare sotto la voce «Spese di rappresentanza», era stato ridotto al silenzio sotto la minaccia di essere escluso.
C’era chi pensava che questi festeggiamenti erano prematuri e che sarebbe stato meglio attendere il ritorno della «Prometheus». A questi critici fu fatto notare che molti di coloro che avevano lavorato al progetto dopo il lancio non sarebbero tornati a Londra, ma nei rispettivi Paesi. Questa era l’ultima occasione per riunirli tutti. Pierre Leduc riassunse il pensiero dell’equipaggio dicendo: «Se torneremo, ci faranno tante feste che ci basteranno per il resto della vita. Se «non» torneremo, allora mi sembra opportuno che ci offriate un buon commiato».
L’albergo scelto per i baccanali era uno dei migliori di Londra, ma non tanto lussuoso da far sentire a proprio agio solo pochi dirigenti e praticamente nessuno scienziato. Era stato solennemente promesso che i discorsi sarebbero stati ridotti al minimo, in modo da lasciare il maggior tempo possibile alla festa vera e propria. Ciò garbava a Dirk, che odiava i discorsi e aveva una particolare inclinazione per i banchetti e i buffet.
Arrivò dieci minuti prima dell’ora ufficiale e trovò Matthews che andava avanti e indietro per l’atrio affiancato da un paio di muscolosi camerieri. Glieli indicò senza sorridere.
«I miei scagnozzi» disse. «Se guardate attentamente potrete vedere il rigonfio nelle loro giacche. Ci aspettiamo un assalto, in particolare di quel gruppo di Fleet Street che non è stato invitato. Temo che stasera dovrete badare a voi stesso. Comunque quei tizi che hanno sul risvolto la scritta «steward» vi daranno indicazioni sugli ospiti, nel caso vogliate conoscerne qualcuno in particolare.»
«D’accordo» rispose Dirk, consegnando al guardaroba cappotto e cappello. «Spero che, mentre tenete il forte, troverete il tempo di buttar giù qualcosa di tanto in tanto.»
«Le mie riserve di emergenza sono ben organizzate. Tra l’altro, se volete bere, rivolgetevi agli uomini con la scritta «Tecnico del combustibile». Abbiamo dato alle bevande il nome di qualche propellente per razzi, quindi nessuno saprà che cosa beve finché non l’avrà bevuto… se mai berrà. Ma vi darò un consiglio.»
«E cioè?»
«Astenetevi dal toccare l’«idrato di idrazina!»»
«Grazie per l’avvertimento» ribatté ridendo Dirk. Qualche minuto dopo però fu sollevato nel rendersi conto che Matthews lo aveva preso in giro e che non erano stati usati simili mascheramenti.
Nella mezz’ora successiva l’albergo si riempì in fretta. Dirk non conosceva più di una persona su venti e si sentiva un po’ come un pesce fuor d’acqua. Di conseguenza se ne stette più vicino al bar di quanto fosse consigliabile per lui. Di tanto in tanto salutava con un cenno del capo qualche conoscente, la maggior parte dei quali però era troppo impegnata altrove per fargli compagnia. Fu piuttosto contento quando un altro invitato solo come lui gli si sedette a fianco in cerca di compagnia.
Cominciarono a parlare del più e del meno, ma di lì a un po’ la conversazione prese inevitabilmente a orientarsi verso l’imminente avventura.
«Tra l’altro» disse lo sconosciuto «non vi ho visto fino ad ora alla Interplanetary. Siete qui da molto tempo?»
«Solo da tre settimane circa» rispose Dirk. «Sono qui per un lavoro particolare per l’Università di Chicago»
«Davvero?»
Dirk si sentiva ciarliero e l’altro sembrava mostrare un interesse lusinghiero per la conversazione.
«Devo scrivere la storia ufficiale del primo viaggio e degli eventi che hanno portato ad esso. Questo viaggio sarà una delle cose più importanti che siano mai accadute e pertanto è necessario avere una registrazione completa per il futuro.» «Ma certo ci saranno migliaia di rapporti tecnici, oltre a tutti i resoconti dei giornali, no?»
«E’ verissimo, ma dimenticate che saranno scritti per i contemporanei, e si baseranno su elementi che possono essere familiari solo ai lettori odierni. Io devo cercare di star fuori del Tempo, per così dire, e di fornire un resoconto che possa essere capito appieno tra diecimila anni.»
«Fiuuuh, che lavoro!»
«Sì: è diventato possibile solo in questi ultimi tempi grazie ai nuovi sviluppi dello studio del linguaggio e del significato e al perfezionamento del vocabolario simbolico. Ma temo di annoiarvi.»
Con sua irritazione l’altro non lo contraddisse.
«Suppongo» disse lo sconosciuto in tono casuale «che avrete conosciuto la gente di qui piuttosto bene, voglio dire, vi trovate in una situazione privilegiata.»
«Questo è vero, mi hanno trattato molto bene e mi hanno aiutato per quanto hanno potuto.»
«Ecco il giovane Hassell!» esclamò il suo interlocutore. «Ha l’aria un po’ preoccupata, ma l’avrei anch’io nei suoi panni.
Siete riuscito a conoscere bene l’equipaggio?»
«Non ancora, ma spero di poterlo fare. Ho parlato un paio di volte con Hassell e con Leduc, ma è tutto qui.»
«Secondo voi, chi sarà scelto per fare il viaggio?»
Dirk stava per esprimere il suo opinabile punto di vista sull’argomento quando vide che Matthews dall’altra parte della stanza gli faceva cenni frenetici. Per un attimo gli sfrecciarono per la mente allarmanti ipotesi su eventuali pecche del proprio abbigliamento, poi un lento sospetto si fece strada in lui e, dopo aver abborracciato una scusa, si liberò dello sconosciuto.
Pochi minuti dopo Matthews confermò le sue paure.
«Mike Wilkins è uno dei migliori… un tempo lavoravamo insieme al «News», ma per amor di Dio state attento a quello che gli dite! Se aveste ucciso vostra moglie, lui riuscirebbe a cavarvelo di bocca ponendovi domande sul clima.»
«Tuttavia non penso che potrei dirgli cose che lui già non sa.»
«Non vi illudete. Ancor prima che ve ne rendiate conto vi ritroverete citato sui giornali come «un importante funzionario della Interplanetary», e io sarò costretto a mandare le solite smentite inutili.»
«Capisco. Quanti altri giornalisti ci sono tra gli invitati?»
«Ne è stata «invitata» circa una dozzina» disse cupamente Matthews. «Eviterei conversazioni confidenziali con gente che non conoscete. Ora vi prego di scusarmi… devo tornare al mio dovere di sorvegliante.» Dirk pensò che per lui la festa non doveva essere un gran divertimento. Il Dipartimento Pubbliche Relazioni sembrava ossessionato dal problema della sicurezza che, a suo parere, era stato sopravvalutato. Tuttavia riusciva a capire il terrore di Matthews per le interviste non ufficiali, delle quali aveva visto alcuni effetti raccapriccianti.