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Per un po’ di tempo, dopo, la sua attenzione fu completamente attratta da una ragazza sorprendentemente graziosa che sembrava essere arrivata senza accompagnatore — cosa che gli parve piuttosto sbalorditiva di per sé. Dopo molte esitazioni si era deciso a farsi avanti quando gli risultò fin troppo evidente che l’accompagnatore in questione era semplicemente stato impegnato altrove con gli ospiti fino a quel momento. Dirk non aveva perso l’occasione: non ne aveva mai avuta una. Si rituffò nelle proprie riflessioni filosofiche.

Comunque il suo morale salì notevolmente durante la cena. Il cibo era eccellente e persino il discorso del Direttore Generale (e questo poneva un limite a quelli degli altri) durò solo dieci minuti. Per quanto Dirk riuscì a ricordare, si era trattato di un discorso oltremodo spiritoso, farcito di battute allusive che in certi settori della sala provocarono fragorose risate e in altri pallidi sorrisi. Alla Interplanetary c’era sempre stato il gusto di ridere di se stessi, ma solo di recente ci si era potuti permettere il lusso di farlo in pubblico.

I restanti pochi discorsi furono ancora più brevi: apparve chiaro che alcuni degli oratori avrebbe voluto avere più tempo, ma nessuno si azzardò a prenderselo. Poi finalmente McAndrews, che per tutta la serata si era comportato come un efficientissimo maestro di cerimonia, propose un brindisi al successo della «Prometheus» e del suo equipaggio.

Dopo seguirono le danze ai dolci e nostalgici ritmi così popolari alla fine degli anni Settanta. Dirk, che anche al suo meglio era un pessimo ballerino, fece alcuni giri attorno alla pista con la signora Matthews e con le mogli di altri funzionari, finché una crescente diminuzione della coordinazione muscolare gli fece capire che doveva smettere. Allora sedette e si mise a osservare quel che succedeva, con occhio benevolo, dicendosi che tutti i suoi amici erano tanto brave persone e disapprovando lievemente quei ballerini che com’è ovvio avevano portato a bordo un po’ troppo carburante.

Doveva essere circa mezzanotte quando all’improvviso si rese conto che qualcuno gli stava rivolgendo la parola. (Non si era addormentato, ovviamente, ma era gradevole poter chiudere gli occhi di tanto in tanto.) Si girò con movimenti rallentati finché si trovò davanti un uomo di mezza età che lo osservava piuttosto divertito dalla sedia vicina. Notò stupito che non indossava l’abito da sera e che la cosa non sembrava preoccuparlo affatto.

«Ho visto il vostro distintivo» disse l’uomo a mo’ di presentazione. «Anch’io sono Sigma Xi. Sono tornato dalla California solo stasera. Troppo tardi per la cena.»

Dunque questo spiegava l’abbigliamento, si disse Dirk e si sentì piuttosto soddisfatto di sé per aver fatto una deduzione tanto brillante. Gli strinse la mano, contento di conoscere un collega californiano, anche se non riuscì a capire il suo nome. Gli parve che suonasse come Mason, ma in realtà la cosa non gli importava.

Chiacchierarono per un po’ di cose americane, e specularono sulle probabilità che i democratici avevano di tornare al potere. Dirk sosteneva che ancora una volta i Liberali sarebbero stati l’ago della bilancia e fece alcuni commenti brillanti sui vantaggi e sugli svantaggi del sistema tripartitico. Abbastanza stranamente, l’altro non parve colpito dalla sua intelligenza e riportò la conversazione sull’Interplanetary.

«Non siete qui da molto, vero?» chiese. «Come vi trovate?»

Dirk glielo disse con tutti i particolari. Gli spiegò qual era il suo lavoro, dilungandosi generosamente sul suo scopo e sulla sua importanza. Quando avesse finito il suo lavoro, tutte le ere successive e ogni immaginabile pianeta si sarebbero resi esattamente conto di che cosa avesse significato la conquista dello spazio per l’era che l’aveva conseguita.

L’amico sembrava molto interessato, anche se nella sua voce si avvertiva un che di divertito, cosa per la quale Dirk avrebbe forse dovuto rimproverarlo con gentilezza ma con fermezza.

«Che contatti avete avuto con il settore tecnico?» chiese l’altro.

«A dir la verità» gli rispose mestamente Dirk «intendevo occuparmi di questo nell’ultima settimana, ma, sapete, gli scienziati mi impauriscono un po’. Inoltre c’è Matthews che mi è stato di grande aiuto, ma ha le proprie idee su ciò che dovrei fare e io non voglio offenderlo.»

Quella era un’affermazione deplorevolmente debole, ma conteneva molta verità. Matthews aveva organizzato tutto un po’ troppo completamente.

Il pensiero di Alfred gli riportò alla mente qualcosa e subito provò un grave sospetto. Guardò attentamente l’altro, deciso a non farsi più prendere all’amo.

Il bel profilo e la fronte alta e intelligente erano rassicuranti, ma a questo punto Dirk era troppo esperto per farsi trarre in inganno. Pensò che Alfred sarebbe stato orgoglioso del modo in cui lui evitava di dare risposte precise alle domande del suo compagno. Era un peccato, naturalmente, visto che si trattava di un americano, e che aveva fatto una lunga strada per arrivare a fare uno scoop; tuttavia la sua lealtà doveva andar per prima ai suoi ospiti.

L’altro si doveva essere reso conto che non stava ricavando nulla, perché di lì a un po’ si alzò e fece un sorriso enigmatico.

«Penso» disse accomiatandosi «che potrei mettervi in contatto con le persone giuste del settore tecnico. Telefonatemi domani all’interno 3. Non dimenticate… 3.»

Poi se ne andò, lasciando Dirk in uno stato mentale molto confuso. Evidentemente le sue paure erano state infondate: quel tipo apparteneva alla Interplanetary. Oh be’, non c’era niente da fare!

L’ultima cosa che ricordò chiaramente fu di essersi accomiatato da Matthews nell’atrio. Alfred appariva ancora irritantemente vivace e pieno di energia ed era molto soddisfatto per il successo del party — anche se, a quanto gli accennò, di tanto in tanto aveva avuto qualche patema d’animo. «Quando le danze si sono animate troppo ho avuto paura che il pavimento crollasse.

Vi rendete conto che questo avrebbe tardato di almeno mezzo secolo la conquista dello spazio?»

Dirk non si sentiva particolarmente interessato a simili speculazioni metafisiche, ma, prima di dare un’assonnata buonanotte all’altro, ricordò improvvisamente lo sconosciuto californiano.

«Tra l’altro» disse «ho chiacchierato con un altro americano…

in un primo momento ho pensato fosse un giornalista. E appena arrivato in città, dovete averlo visto, non indossava l’abito da sera. Mi ha detto di telefonargli domani all’interno non ricordo più quale. Sapete chi è?»

Gli occhi di Matthews lampeggiarono divertiti.

«Avete pensato fosse un altro giornalista, vero? Spero che vi siate ricordato dell’avvertimento che vi ho dato.»

«Sì» disse orgogliosamente Dirk. «Non gli ho detto assolutamente nulla, anche se non avrebbe avuto importanza qualora lo avessi fatto, vero?»

Matthews lo spinse su un taxi e sbatté la portiera, poi si chinò sul finestrino aperto e si accomiatò dicendo:

«No, no di certo. Quello era solo il professor Maxton, il Vice Direttore Generale. Andate a letto e dormiteci su!»

12

Dirk riuscì ad arrivare in ufficio in tempo per il pranzo — un pasto che, aveva notato, non sembrava molto popolare. Non aveva mai visto prima d’allora così poca gente alla mensa.

Quando chiamò l’interno 3 e disse timidamente chi era, il professor Maxton parve contento di sentire la sua voce e lo invitò subito ad andare da lui. Dirk trovò il Vice Direttore Generale nell’ufficio adiacente a quello di Sir Robert Dervent quasi assediato da casse da imballaggio e trucioli. Il vice gli spiegò che contenevano speciali apparecchiature per i collaudi che dovevano essere spedite per aereo in Australia immediatamente. La loro conversazione fu interrotta di continuo dagli ordini e dai contrordini che il professore dava ai suoi assistenti che controllavano le proprie attrezzature.