«Qui c’è una foto del signor Hassell. Il naso è del tutto diverso. E adesso, per favore, andatevene».
La barricata del giornale fu eretta di nuovo. Hassell prese a guardare nel vuoto, ignorando i suoi inquisitori, che continuarono a fissarlo increduli ancora per un minuto. Poi, con suo grande sollievo, presero ad allontanarsi, sempre litigando.
Hassell si stava chiedendo se avrebbe dovuto ringraziare lo sconosciuto difensore allorché questi ripiegò il giornale e si tolse gli occhiali.
«Sapete» disse l’uomo dopo qualche colpetto di tosse «la somiglianza è notevolissima.»
Hassell si strinse nelle spalle. Si chiese se avrebbe dovuto confessare, ma decise di non farlo.
«A dir la verità» rispose «già altre volte questo mi ha provocato qualche noia.»
Lo sconosciuto lo guardò con espressione assorta, anche se i suoi occhi ora sembravano persi in qualcosa di vago e lontano.
«Partono per l’Australia domani, vero?» disse retoricamente.
«Suppongo che abbiano il cinquanta per cento di possibilità di tornare dalla Luna, no?»
«Secondo me molto di più.»
«E’ comunque un rischio e suppongo che in questo stesso momento il giovane Hassell si stia chiedendo se rivedrà mai più Londra.
Sarebbe interessante sapere che cosa sta facendo ora… da questo si potrebbero capire molte cose di lui.»
«Credo di sì» rispose Hassell, agitandosi nervosamente sulla panchina e chiedendosi come fare per allontanarsi. Lo sconosciuto però sembrava aver voglia di parlare.
«C’è un articolo di fondo qui» disse, agitando il giornale stazzonato «che riguarda le implicazioni del volo spaziale e gli effetti che avrà sulla vita quotidiana. Questo genere di cose vanno benissimo, ma quando ci metteremo un po’ «tranquilli», eh?»
«Non vi seguo molto bene» disse Hassell, anche se non era del tutto vero.
«A questo mondo c’è spazio per tutti, e se lo gestiremo bene non ne troveremo uno migliore, anche se ce ne andremo a zonzo per tutto l’universo.»
«Forse» ribatté Hassell in tono blando «quando lo avremo fatto apprezzeremo ancora di più la Terra.»
«Hum… e allora siamo ancora più pazzi. Quando ce ne staremo un po’ in pace?»
Hassell, che già si era sentito dire una cosa del genere, fece un sorrisetto.
«Il sogno dei Lotofagi» disse «è una piacevole fantasia per l’individuo, ma sarebbe la morte per la razza.»
Era stato Sir Robert Derwent a fare questa osservazione una volta ed essa era diventata una delle citazioni preferite di Hassell.
«I Lotofagi? Vediamo, che ha detto di loro Tennyson?… Nessuno più lo legge al giorno d’oggi. «Qui c’è una dolce musica che cade più dolce…», no, non è questo verso. Ah ecco, ci sono!
««C’è mai pace nel continuare a rimontare l’onda che monta?»
«Be’ giovanotto, «c’è» allora?»
«Per certe persone sì» gli rispose l’altro. «E forse, quando si potrà volare nello spazio, tutti si precipiteranno sui pianeti lasciando i Lotofagi ai loro sogni. Questo dovrebbe lasciare tutti soddisfatti»
«E i mansueti erediteranno la terra» commentò il suo compagno, che sembrava avere una forte inclinazione letteraria.
«Si può mettere anche così» disse Hassell sorridendo. Guardò meccanicamente l’orologio, deciso a non lasciarsi coinvolgere in una discussione che poteva avere un unico risultato.
«Santo Cielo, devo andare! Grazie per la chiacchierata.»
Si alzò per andarsene, pensando di essere riuscito a mantenere piuttosto bene l’incognito. L’uomo gli fece uno strano sorrisetto e disse con voce sommessa: «Arrivederci». Attese che Hassell fosse a cinque o sei metri di distanza, poi aggiunse in tono più forte:
«E buona fortuna — Ulisse!».
Hassell si fermò di scatto, poi girò sui tacchi… ma l’altro stava già dirigendosi con passo deciso verso Hyde Park Corner.
Seguì la figura alta e magra finché non si fu persa tra la folla, e soltanto allora si disse in tono violento:
«Be’, che mi venga un colpo!».
Poi si strinse nelle spalle e si incamminò verso Marble Arch con l’intenzione di fermarsi ad ascoltare ancora una volta gli oratori da strada che tanto l’avevano divertito in gioventù.
Dirk non ci mise molto a rendersi conto che dopo tutto la coincidenza non era tanto sorprendente. Ricordò che Hassell abitava nella zona di West London. Che c’era di più naturale che anche lui volesse dare un’ultima occhiata alla città? Poteva benissimo essere l’ultima in un senso più definitivo di quanto non lo sarebbe stata per Dirk.
I loro sguardi si incrociarono al di sopra delle persone.
Hassell ebbe un lieve sussulto nel riconoscerlo. Dirk però non pensava che si ricordasse il suo nome. Si fece strada tra la folla e si avvicinò al giovane pilota, presentandosi con un certo imbarazzo. Era probabile che Hassell desiderasse essere lasciato in pace, ma non gli riusciva di andarsene senza parlargli. Aveva sempre desiderato conoscere quell’inglese e questa gli sembrava un’occasione troppo bella per perderla.
«Avete sentito l’ultima orazione?» chiese Dirk, tanto per avviare la conversazione.
«Sì rispose Hassell. «Passavo di qui e ho sentito quello che diceva il vecchio. L’ho visto spesso, è uno degli esemplari più normali. C’è di tutto qui, vero?» e rise indicando la folla.
«Davvero» rispose Dirk. «Ma sono contento di aver visto questo posto, è stata un’esperienza interessante.» Mentre parlava osservava attentamente Hassell. Non era facile capire quanti anni avesse. Potevano essere venticinque, ma anche trentacinque.
Era di corporatura snella, aveva lineamenti ben definiti e una massa ribelle di capelli castani. La guancia sinistra era solcata in diagonale da una cicatrice che si era formata in seguito a un precedente incidente a bordo di un razzo, ma adesso era appena visibile e questo solo quando la pelle si tendeva.
«Dopo aver sentito quel discorso» dichiarò Dirk «devo dire che l’universo non sembra un posto molto attraente. Non mi stupisce che ci sia molta gente che preferirebbe restarsene a casa.»
Hassell rise.
«E’ buffo che lei dica questo: ho appena finito di parlare con un vecchio signore che mi diceva la stessa cosa. Lui sapeva chi ero io ma ha finto di non saperlo. Io sostenevo che ci sono due tipi di persone: quelle avventurose e curiose e i pantofolai ben contenti di starsene nel giardinetto di casa. Io ritengo siano entrambe necessarie, ed è sciocco pretendere che qualcuno abbia ragione.»
«Io devo essere un ibrido» ribatté sorridendo Dirk. «Mi piace stare nel mio giardinetto… ma mi piacciono anche i viaggiatori che ogni tanto vengono a trovarmi e mi dicono quello che hanno visto.»
Si interruppe bruscamente, quindi aggiunse:
«Che ne direste di sederci da qualche parte a bere qualcosa?».
Si sentiva stanco e aveva sete. E così pure Hassell.
«Ma solo per un momento» disse quest’ultimo «vorrei rientrare prima delle cinque.»
Questo, Dirk poteva capirlo, anche se non sapeva nulla delle preoccupazioni domestiche dell’altro. Si lasciò guidare da Hassell fino al bar del Cumberland, dove sedettero con piacere dietro un paio di grosse birre.
«Non so» disse Dirk, dando qualche colpetto di tosse come a scusarsi, «se sapete in cosa consiste il mio lavoro.»
«Si dà il caso di sì» rispose Hassell con un sorriso accattivante. «Ci chiedevamo quando sareste arrivato a noi. Voi siete l’esperto di motivazioni e influssi, vero?»
Dirk fu stupito, nonché un po’ imbarazzato di scoprire fino a che punto si era sparsa la sua fama.
«Ehm… sì» ammise. «Naturalmente» si affrettò ad aggiungere «non sono interessato a casi individuali, ma mi è molto utile appurare quale è stata la motivazione iniziale che ha indotto una persona a occuparsi di astronautica.»