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«C’è una cosa che non mi è chiara affatto» cominciò Matthews, mentre il lungo treno rosso si avviava fuori del terminal.

«Molti scienziati americani vengono qui da noi, ma mi par di capire che la scienza non sia il vostro campo.»

«No, io sono uno storico.»

Matthews inarcò le sopracciglia in una domanda quasi udibile.

«Penso che debba apparirvi piuttosto strano» continuò Dirk «ma è abbastanza logico. Nel passato, quando la storia veniva fatta, era raro che ci fosse qualcuno in grado di registrarla adeguatamente. Oggigiorno, naturalmente, abbiamo i giornali e il cinema — ma è sorprendente sapere quanti importanti aspetti vengano trascurati semplicemente perché tutti al momento li danno per scontati. Bene, il progetto al quale voi state lavorando è il più grande della storia e, se avrà successo, cambierà il futuro come forse nessun altro singolo evento ha mai fatto. E così la mia università ha deciso che ci sarebbe dovuto essere come testimone uno storico di professione che riempisse i vuoti trascurati da altri.»

Matthews annuì.

«Sì, è abbastanza ragionevole. Inoltre, sarà anche un piacevole cambiamento per noi non-scienziati. Siamo piuttosto stufi di conversazioni nelle quali tre parole su quattro sono costituite da simboli matematici. Comunque, suppongo voi abbiate una buona preparazione tecnica alle spalle, vero?»

Dirk sembrò un po’ a disagio.

«A dire il vero» confessò «sono quasi quindici anni che non ho a che fare con la scienza — e nemmeno allora l’ho mai presa molto seriamente. Dovrò imparare passo passo quello che mi serve.»

«Non preoccupatevi, abbiamo un corso accelerato per uomini d’affari stanchi e politici perplessi che vi offrirà tutto quanto vi necessita. E sarete sorpreso di scoprire quanto riuscirete ad apprendere semplicemente ascoltando i Boffin che tengono banco.»

«I Boffin?»

«Santo Dio! Non conoscete questa parola? Risale alla Guerra e indica tutti gli scienziati cervelloni che girano col regolo nel taschino del panciotto. Sarà meglio vi avverta subito che qui usiamo un vocabolario del tutto privato che dovrete apprendere.

Nel nostro lavoro sono tante le idee e tanti i concetti nuovi, che abbiamo dovuto inventare parole nuove. Vi sareste dovuto portare appresso anche un filologo.»

Dirk era silenzioso. C’erano momenti in cui la pura immensità del suo compito quasi lo sopraffaceva. A un dato momento dei prossimi sei mesi il lavoro che migliaia di uomini avevano svolto per più di mezzo secolo avrebbe toccato l’apice. Sarebbe stato suo dovere, e suo privilegio, esser presente quando la storia fosse stata fatta laggiù, nel deserto australiano all’altro capo del mondo. Egli avrebbe dovuto guardare quegli eventi attraverso gli occhi del futuro e registrarli in modo che nei secoli a venire altri uomini avrebbero potuto ricatturare lo spirito dell’epoca e del tempo.

Emersero alla stazione New Waterloo e camminarono per qualche centinaio di metri prima di arrivare al Tamigi. Matthews aveva avuto ragione nel dire che quello era il modo migliore per far la conoscenza di Londra per la prima volta. La spaziosa curvatura del nuovo e bell’Embankment, che risaliva a soli vent’anni prima, catturò lo sguardo di Dirk, che si posò sul fiume spostandosi fino a quando si bloccò sulla cupola di Saint Paul che luccicava, bagnata, sotto un inaspettato raggio di sole. Spostò gli occhi a monte, al di là delle bianche e grandi costruzioni prima di Charing Cross, ma le Camere del Parlamento erano rese invisibili dalla curva del Tamigi.

«Una bella vista, eh?» disse Matthews. «Ora ne siamo piuttosto orgogliosi, ma trent’anni fa questa zona era un orrendo guazzabuglio di moli e argini fangosi. Tra l’altro, vedete quella nave laggiù?»

«Intendete quella attraccata sull’altra sponda?»

«Sì. Sapete che cos’è?»

«Non ne ho idea.»

«E’ la «Discovery» che all’inizio del secolo portò il capitano Scott nell’Antartide. Spesso, quando vengo al lavoro, la guardo e mi domando che cosa avrebbe pensato lui del viaggetto che «noi» stiamo progettando.»

Dirk osservò con aria assorta l’aggraziato scafo di legno, gli alberi snelli e il consunto fumaiolo. La sua mente scivolò nel passato nel modo facile di sempre e gli parve che il lungofiume fosse sparito e che la vecchia nave stesse inoltrandosi, fumando, entro le pareti di ghiaccio, verso una terra sconosciuta. Capiva ciò che provava Matthews e all’improvviso in lui fu molto forte il senso della continuità storica. Il filo che da Scott risaliva a Drake e a Raleigh e a viaggiatori ancor precedenti non era stato spezzato: era cambiata solo la scala delle cose.

«Eccoci qui» disse Matthews in tono di orgoglio in cui si avvertiva un accenno di scusa. «Non è imponente come potrebbe, ma quando l’abbiamo costruito non avevamo molto denaro. Se è per questo, non è che ora ne abbiamo.»

L’edificio bianco a due piani di fronte al fiume era privo di pretese, ed era stato manifestamente costruito solo pochi anni prima. Era circondato da grandi prati aperti, appena ricoperti da un manto d’erba non troppo rigogliosa. Dirk si disse che probabilmente erano già destinati a future costruzioni. Sembrava che anche l’erba si fosse resa conto di ciò.

Tuttavia, visto come andavano le cose nel campo dell’edilizia amministrativa, il Quartier Generale non era poi male, e la vista sul fiume era decisamente molto bella. Sulla facciata all’altezza del secondo piano correva una fila di lettere dalle linee severe e rigorosamente pratiche come il resto dell’edificio. Formavano un’unica parola, ma nel vederla Dirk provò uno strano fremito nelle vene. In certo qual modo sembrava fuori posto lì, nel cuore di una grande città, dove milioni di individui erano presi dalle vicende della vita quotidiana. Era fuori posto quando la «Discovery» si fermò sull’altra sponda, alla fine del suo lungo viaggiare — e parlava di un viaggio ben più lungo di altri che essa o qualunque altra nave avesse mai fatto:

INTERPLANETARY.

2

L’ufficio era piccolo e lui avrebbe dovuto dividerlo con due disegnatori giovani, ma si affacciava sul Tamigi e, quando era stanco dei rapporti e delle pratiche, poteva sempre posare lo sguardo sulla grande cupola che fluttuava sopra Ludgate Hill. Di tanto in tanto Matthews o il suo capo entravano a fare due chiacchiere, ma di solito lo lasciavano in pace, sapendo che era ciò che egli desiderava. Era ansioso di essere lasciato in pace fino a quando non avesse preso visione totale delle centinaia di rapporti e di libri che Matthews gli aveva procurato.

La Londra del ventesimo secolo era ben lontana dall’Italia rinascimentale, ma le tecniche apprese quando scriveva la sua tesi su Lorenzo il Magnifico ora gli erano molto utili. Riusciva a capire, quasi con una sola occhiata, che cosa era irrilevante e che cosa doveva essere studiato con attenzione. Di lì a pochi giorni le linee generali della storia erano state completate e lui era già in grado di arricchirle di particolari.

Il sogno era molto più antico di quanto avesse immaginato.

Duemila anni prima i Greci avevano intuito che la Luna era un mondo non dissimile dalla Terra e nel secondo secolo dopo Cristo lo scrittore satirico Luciano aveva scritto il primo dei romanzi interplanetari. C’erano voluti più di diciassette secoli per colmare l’abisso tra la finzione e la realtà — e quasi tutti i progressi erano stati fatti negli ultimi cinquant’anni.

L’era moderna era iniziata nel 1923, allorché un oscuro professore transilvano di nome Hermann Oberth aveva pubblicato un «pamphlet» intitolato: «Il Razzo nello Spazio Interplanetario». In esso egli aveva sviluppato per la prima volta la matematica del volo spaziale: sfogliando le pagine di una delle poche copie ancora esistenti, Dirk aveva stentato a credere che da un inizio così piccolo fosse conseguita una struttura così enorme. Oberth — ora un vecchio ottantaquattrenne — aveva dato l’avvio alla reazione a catena che, lui ancora vivente, avrebbe portato all’attraversamento dello spazio.