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«Resterà per il decollo e riuscirà a tornare a casa molto in anticipo.»

«E Clinton? Come la prenderà?»

«Lui è un tipo flemmatico, non se la prenderà. Ora faremo lavorare subito entrambi ai piani per il prossimo viaggio.

Questo dovrebbe impedire loro di agitarsi e di rimuginare.»

Si voltò a guardarlo con preoccupazione.

«Promettete che non direte mai nulla a nessuno di questo?»

Dirk sorrise.

««Mai» è un bel po’ di tempo, eh! Facciamo fino al Duemila?»

«Pensate sempre ai posteri, vero? Bene, anno Duemila sia. Ma a una condizione!»

«E cioè?»

«Mi aspetterò di ricevere una copia «de luxe» e autografata del vostro rapporto, da leggere in vecchiaia.»

25

Dirk stava tentando di fare una brutta copia della sua prefazione quando il telefono squillò rumorosamente. Il fatto che lui avesse un telefono era piuttosto sorprendente, dato che molte persone più importanti ne erano prive e venivano sempre a chiedergli di usare il suo. Ma gli era toccato quando erano stati assegnati i vari uffici e, sebbene si aspettasse di perderlo da un momento all’altro, finora nessuno era venuto a portarglielo via.

«Siete voi, Dirk? Parla Ray Collins. Abbiamo tolto le schermature alla «Prometheus», quindi finalmente la potrete vedere tutta intera. E ricordate di avermi chiesto come avviene la manutenzione dei motori?»

«Sì.»

«Se venite potrete vederlo, ne vale la pena.»

Con un sospiro Dirk mise via gli appunti. Un giorno avrebbe cominciato sul serio e allora la storia gli sarebbe venuta fuori a un ritmo fantastico. Non era affatto preoccupato perché ora sapeva quali erano i suoi metodi di lavoro. Non serviva a nulla iniziare prima di aver raccolto tutti i fatti, e fino a quel momento non aveva ancora organizzato bene gli appunti e i riferimenti.

La giornata era freddissima e, mentre si avviava verso «Oxford Circus», si strinse addosso il cappotto. Quasi tutto il traffico di Luna City convergeva su quell’incrocio e non gli sarebbe stato difficile ottenere un passaggio per raggiungere il luogo del lancio. Alla base il problema dei trasporti era grave e c’era una lotta tra i vari reparti per mettere le mani sui pochi camion e sulle poche auto disponibili.

Camminò nel freddo violento per circa dieci minuti prima che vedesse arrivare verso di lui una jeep carica di giornalisti, tutti con la sua stessa meta. Il veicolo sembrava un negozio di ottico ambulante, dato che era pieno di macchine fotografiche, binocoli e telescopi. Ciò nonostante Dirk riuscì a trovare un po’ di spazio in mezzo a quella vetrina.

La jeep guizzò nell’area di parcheggio e tutti scesero trascinandosi appresso la propria attrezzatura. Dirk diede una mano a un giornalista piccolissimo che aveva un grosso telescopio con treppiede, in parte perché aveva un buon carattere, ma in parte anche perché sperava che gli avrebbe permesso di dare un’occhiata a sua volta.

Ora le due grandi navi erano state spogliate di tutto ciò che le aveva coperte fino a quel momento; per la prima volta era possibile vedere appieno la loro dimensione e le loro proporzioni. La «Beta» a un’occhiata superficiale avrebbe potuto essere presa per un normale aereo di linea, con un disegno abbastanza classico. Dirk, che sapeva ben poco di aeronautica, non l’avrebbe degnata di uno sguardo se l’avesse vista decollare dal campo di atterraggio locale.

L’«Alpha» non rassomigliava più tanto a un gigantesco guscio. La radio e l’equipaggiamento di navigazione ora erano stati estroflessi e la sua linea era del tutto rovinata da una piccola foresta di alberi maestri e protuberanze varie. Qualcuno all’interno probabilmente stava manovrando i comandi, perché di tanto in tanto uno degli alberi si ritraeva o fuoriusciva ancora di più.

Dirk seguì gli altri verso il retro della nave. Una zona più o meno triangolare era stata recintata, cosicché la «Prometheus»

si trovava a un apice e loro alla base. Potevano avvicinarsi solo a un massimo di cento metri da essa e, guardando quegli ugelli spalancati, Dirk non provò alcun desiderio particolare di avvicinarsi di più.

Le macchine fotografiche e i binocoli furono messi in azione e di lì a un po’ Dirk riuscì a dare un’occhiata con il telescopio.

I motori del razzo sembravano solo a pochi metri di distanza, ma lui non riuscì a vedere nulla, a parte un pozzo metallico pieno di oscurità e di mistero. Da quell’ugello tra poco sarebbero uscite centinaia di tonnellate di gas radioattivo a millecinquecento miglia all’ora. Dietro di esso, nascosti nell’ombra, c’erano gli elementi della pila che nessun essere umano avrebbe mai più potuto avvicinare.

Qualcuno stava venendo verso di loro, dalla zona recintata, ma tenendosi molto vicino alla rete di recinzione. Quando fu non molto lontano, Dirk vide che si trattava del dottor Collins, che gli sorrise e disse:

«Immaginavo che vi avrei trovato qui. Stiamo solo aspettando l’arrivo dello staff addetto alla manutenzione. Che bel telescopio avete, posso dare un’occhiata?».

«Non è mio» spiegò Dirk «è di questo signore.»

Il piccolo giornalista disse che gli avrebbe fatto molto piacere se il professore avesse voluto servirsene — e ancora di più se avesse voluto spiegargli che cosa c’era da vedere.

Collins fissò intensamente attraverso il telescopio per qualche secondo, poi si raddrizzò e disse:

«Temo non ci sia granché da vedere al momento, ci dovrebbe essere un riflettore acceso sopra il getto per illuminare l’interno. Ma tra un momento sarete contento di avere questo telescopio».

Fece un sorrisetto mesto.

«E’ una sensazione strana, sapete?» disse a Dirk. «Guardare una macchina che voi stesso avete contribuito a costruire… e alla quale non potrete mai più avvicinarvi senza con questo suicidarvi.»

Mentre parlava un veicolo straordinario si stava avvicinando sul cemento. Era un autocarro molto grande, non dissimile da quelli che le società televisive usano per gli esterni, e trainava una macchina che Dirk non poté non guardare con attonito stupore.

Mentre gli passava davanti vide confusamente leve giuntate, piccoli motori elettrici, trasmissioni a catena, ruote elicoidali e altri congegni che non riuscì a identificare.

I due veicoli si fermarono appena all’interno della zona di pericolo. Nel camion grande si aprì una portiera e ne scese una mezza dozzina di uomini. Staccarono il traino e cominciarono a collegarlo a tre grandi cavi con armatura, che srotolavano da cilindri collocati sulla parte posteriore del camion.

La strana macchina all’improvviso prese vita. Avanzò sui piccoli pneumatici, quasi volesse saggiare la propria mobilità. Le leve giuntate cominciarono a estendersi e a flettersi, dando una strana impressione di vita meccanica; un attimo dopo prese ad avanzare decisa verso la «Prometheus» seguita alla stessa velocità dal veicolo più grande.

Collins aveva un’espressione divertita di fronte allo sbalordimento di Dirk e alla manifesta sorpresa dei giornalisti che lo circondavano.

«Quella è Tin Lizzie» disse a mo’ di presentazione. «Non è in realtà un vero e proprio robot, posto che ogni movimento che fa è direttamente controllato dagli uomini che stanno nel camion.

Ci vogliono tre persone per manovrarla ed è uno dei massimi prodotti di alta tecnologia del mondo.»

Ora Lizzie si trovava a pochi metri dai getti dell’«Alpha» e, dopo alcuni movimenti precisi sui suoi pneumatici, si fermò senza scosse. Un lungo, sottile braccio che reggeva vari misteriosi macchinari scomparve nel minaccioso tunnel.

«Servizio di manutenzione telecomandata» spiegò Collins al suo pubblico interessato. «Una delle branche secondarie più importanti dell’ingegneria atomica. E’ stato sviluppato per la prima volta su vasta scala durante la guerra per il progetto Manhattan, e da allora è diventata una vera e propria industria a sé stante. Lizzie è solo uno dei suoi prodotti più spettacolari. Potrebbe quasi riparare un orologio… o quanto meno una sveglia!»