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«Come viene manovrata?»

«Su quel braccio c’è una telecamera, cosicché gli uomini possono vedere il lavoro come se lo osservassero direttamente. Tutti i movimenti sono effettuati da servomotori controllati attraverso quei cavi.»

Nessuno riusciva a vedere cosa stesse facendo Lizzie e passò parecchio tempo prima che essa arretrasse dal razzo. Dirk notò che teneva fermamente nei suoi artigli di acciaio una sbarra lunga circa un metro dalla forma strana. I due veicoli si ritrassero per tre quarti dello spazio che li divideva dalla barriera e, mentre si avvicinavano, i giornalisti si affrettarono a scostarsi dal cupo oggetto grigio artigliato dal robot. Collins però rimase dov’era. Di conseguenza Dirk pensò che non doveva esserci pericolo.

Dalla tasca della giacca dell’ingegnere si udì all’improvviso un ronzio roco e Dirk sobbalzò spaventato. Collins alzò una mano e il robot si fermò a una dozzina di metri di distanza. Gli uomini che lo controllavano, pensò Dirk, probabilmente li stavano osservando attraverso gli occhi della televisione.

Collins agitò le braccia e la sbarra prese a ruotare lentamente tra gli artigli del robot. Il ronzio del segnale di pericolo di radiazioni cessò bruscamente e Dirk riprese a respirare.

«Da un oggetto irregolare come quello, di solito si sviluppa un qualche irraggiamento» spiegò Collins. «Naturalmente siamo sempre nel suo campo di radiazione, ma è troppo debole per essere pericoloso.»

Si girò verso il telescopio, che era stato momentaneamente abbandonato dal suo proprietario.

«Questo ci fa molto comodo» disse. «Non avevo intenzione di andare a effettuare io stesso un’ispezione visiva, ma non si può perdere un’occasione simile… voglio dire, se riusciamo a mettere a fuoco l’immagine a questa distanza.»

«Esattamente, cosa state cercando di fare?» chiese Dirk, mentre l’altro regolava sul massimo l’oculare.

«Quello è uno degli elementi della pila atomica» disse distrattamente Collins. «Dobbiamo controllare se c’è attività.

Uhm… sembra che vada bene. Volete dare un’occhiata?»

Dirk guardò nel telescopio. Riuscì a vedere qualche centimetro quadrato di una cosa che in un primo momento gli parve un pezzo di metallo. Poi capì che si trattava di una sorta di rivestimento di ceramica. Era così vicino che riusciva a distinguere nettamente la struttura del materiale.

«Che succederebbe» chiese «se lo si toccasse?»

«In seguito comparirebbero delle brutte bruciature, da raggi gamma e neutroni. Se gli si stesse vicino un po’ di più, si morirebbe.»

Dirk guardò con orrore affascinato quell’innocente superficie grigia che sembrava a soli pochi centimetri di distanza.

«Suppongo» disse «che quello che c’è nella bomba atomica gli somigli molto.»

«Quanto meno è altrettanto pericoloso» si dichiarò d’accordo Collins. «Ma qui non c’è pericolo di esplosione. Il materiale fissile che usiamo è tutto trattato. Se ci dessimo molto da fare potremmo ottenere un’esplosione… ma molto piccola.»

«Che intendete dire con questo?» chiese sospettosamente Dirk.

«Oh, solo un grosso bang» ribatté allegramente Collins. «Non posso dare le cifre così su due piedi ma probabilmente non più di quella che provocherebbe qualche centinaio di tonnellate di dinamite. Niente di cui preoccuparsi!»

26.

Il salotto del Senior Staff dava sempre a Dirk l’impressione di un club londinese un po’ scalcagnato. Il fatto che non fosse mai entrato in un club londinese, elegante o meno, non riusciva ad eliminare questa ferma convinzione.

Eppure il contingente britannico era costantemente in minoranza lì, dove per tutta la giornata si potevano sentire tutti gli accenti possibili e immaginabili del mondo. Ciò non cambiava l’atmosfera del luogo che sembrava emanare dal «barman» molto inglese e dai suoi due assistenti. A dispetto di ogni aggressione, erano riusciti a tenere alta la Union Jack al centro sociale di Luna City. Una sola volta avevano ceduto il terreno e anche in quell’occasione il nemico era stato rapidamente sconfitto. Sei mesi prima gli americani avevano fatto arrivare lì un nuovissimo distributore di Coca-Cola che per qualche tempo aveva brillato sullo sfondo scuro dei pannelli di legno delle pareti. Ma non per molto; c’erano state frettolose consultazioni e molto lavoro notturno nell’officina.

Al mattino, quando i clienti assetati fecero il loro ingresso, scoprirono che il rivestimento cromato era scomparso e che ora dovevano prendersi la loro bibita da un mobile che avrebbe potuto essere uno degli ultimi capolavori minori di Mister Chippendale. Lo «status quo» era stato ripristinato, ma il barista confessò di ignorare totalmente come ciò fosse accaduto.

Dirk ci andava almeno una volta al giorno a ritirare la posta e a leggere i giornali. Di sera il luogo diventava piuttosto affollato e lui preferiva starsene in camera. Ma quella sera Maxton e Collins l’avevano tirato fuori a forza dal suo isolamento. Come al solito, la conversazione non si distaccò molto dall’impresa imminente.

«Credo che domani andrò alla conferenza di Taine» disse Dick.

«Parlerà della Luna, vero?»

«Sì. Scommetto che sarà molto prudente adesso che sa che ci andrà! Se non starà attento potrebbe doversi rimangiare quello che ha detto!»

«Gli abbiamo dato mano libera» spiegò Maxton. «Probabilmente parlerà di progetti a lungo termine e dell’uso della Luna come base di rifornimento per raggiungere i pianeti.»

«Questo dovrebbe essere interessante. Presumo che Richard e Clinton parleranno di ingegneria, e di questo ne ho avuto abbastanza.»

«Grazie» disse ridendo Collins. «E’ bello vedere che i nostri sforzi sono apprezzati.»

«Sapete una cosa?» esclamò all’improvviso Dirk. «Non ho mai visto la Luna attraverso un potente telescopio.»

«Potremmo farvela vedere una qualsiasi sera di questa settimana; diciamo dopodomani. Al momento la Luna ha solo un giorno.

Abbiamo diversi telescopi qui che vi consentiranno un’ottima vista.»

«Mi domando» disse Dirk pensosamente «se troveremo vita — intendo vita intelligente — in qualche parte del Sistema Solare.»

Seguì un lungo silenzio, poi Maxton disse in tono brusco: «Non credo».

«Perché no?»

«Guardiamola da questo punto di vista. Abbiamo impiegato solo diecimila anni per passare dalle asce di pietra alle navi spaziali. Il che significa che il viaggio interplanetario interviene molto presto nello sviluppo di qualsiasi cultura — se cioè essa procede lungo linee tecnologiche.»

«Non necessariamente» ribatté Dirk. «Se consideriamo anche la preistoria, c’è voluto un milione di anni per arrivare alle navi spaziali.»

«Ma questo resta un millesimo, o anche meno, dell’età del Sistema Solare. Se mai c’è stata una qualche civiltà su Marte, probabilmente è morta prima che l’umanità emergesse dalla giungla. Se invece esistesse ancora, sarebbe venuta a farci visita da molto tempo.»

«E’ così plausibile che sono sicuro che non è vero» rispose Dirk. «Inoltre ci sono varie cose che fanno pensare che in passato abbiamo avuto veramente la visita di cose o di navi cui non siamo piaciuti e che se ne sono andate.»

«Sì, ho letto alcune di queste storie, che sono molto interessanti. Ma io sono scettico: se qualcosa ha mai visitato la Terra — del che dubito —, mi stupirebbe molto che fosse venuto dagli altri pianeti. Lo spazio e il tempo sono così immensi che non sembra assolutamente probabile che abbiamo dei vicini proprio dietro l’angolo.»

«Mi sembra un peccato» disse Dirk. «A mio parere la cosa più eccitante dell’astronautica è la possibilità che offre di conoscere altri tipi di intelligenze. La razza umana non si sentirebbe così sola.»