Ma nessuna oggi. Solo due lacrime, e nessuna di esse era caduta dalle sue gote. Non che non avesse sofferto: il suo intero corpo pareva bruciare dal dolore. In effetti la severità di quelle percosse era andata aumentando quanto più continuava a sfidare i poteri nella Torre Bianca. Ma per quanto le percosse fossero diventate più frequenti e dolorose, anche la determinazione di Egwene di sopportare era cresciuta. Non era ancora riuscita ad abbracciare e accettare il dolore come facevano gli Aiel, ma si sentiva ormai vicina. Gli Aiel potevano ridere durante le torture più crudeli. Be’, lei riusciva a sorridere nel momento in cui si alzava in piedi.
Ciascuna sferzata che sopportava, ciascun dolore che pativa era una vittoria. E la vittoria era sempre un motivo di felicità , e non aveva importanza quanto l’onore o la pelle bruciassero. In piedi accanto al tavolo dietro Egwene, riflessa nello specchio, c’era la maestra delle novizie in persona. Silviana abbassò lo sguardo verso la cinghia di cuoio fra le sue mani, accigliata. Il suo volto squadrato senza età pareva solo un po’ confuso; osservava la cinghia come avrebbe potuto guardare un coltello che si era rifiutato di tagliare o una lampada che si era rifiutata di accendersi.
Quella donna era dell’Ajah Rossa, un fatto che si rifletteva nel ricamo dell’orlo del suo semplice abito grigio e nello scialle frangiato sulle sue spalle. Era alta e robusta, e aveva i capelli neri raccolti in una crocchia. Per molti versi Egwene la considerava un’eccellente maestra delle novizie. Perfino se le aveva dispensato un assurdo numero di punizioni. Forse proprio per quello. Silviana faceva il suo lavoro. Solo la Luce sapeva quanto erano poche di recente quelle nella Torre per cui si poteva dire lo stesso!
Silviana alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Egwene nello specchio. Si affrettò a posare la cinghia e cancellò le emozioni dal proprio viso. Egwene si voltò con calma.
Silviana sospirò, un comportamento che non le era proprio. «Quando lascerai perdere, bambina?» chiese. «Hai dimostrato la tua posizione in modo piuttosto ammirevole, devo dire, ma devi sapere che continuerò a punirti finche non ti sottometterai. L’ordine corretto dev’essere mantenuto.»
Egwene la guardò sconcertata. Di rado la maestra delle novizie si rivolgeva a Egwene, se non per istruzioni o rimproveri. Tuttavia prima d’ora c’erano state altre crepe…
«L’ordine corretto, Silviana?» domandò Egwene. «Come è stato mantenuto altrove nella Torre?»
Le labbra di Silviana si assottigliarono formando una linea. Si voltò e scrisse un’annotazione nel suo libro. «Ti vedrò domattina. Ora va’ a cenare.»
La punizione del mattino le era stata assegnata perché Egwene aveva chiamato la maestra delle novizie per nome senza aggiungere alla fine l’onorifico ‘Sedai’. E probabilmente perché entrambe sapevano che Egwene non le avrebbe fatto la riverenza prima di andarsene.
«Tornerò domattina,» disse Egwene «ma la cena dovrà aspettare. Mi è stato ordinato di assistere Elaida stasera mentre mangia.» Questa sessione con Silviana era durata parecchio — Egwene aveva portato con se una lunga lista di trasgressioni — e ora non avrebbe avuto tempo per mangiare. Il suo stomaco si lamentò a quella prospettiva.
Silviana mostrò solo un breve attimo di emozione. Era sorpresa? «E perché non me l’hai detto prima?»
«Sarebbe cambiato qualcosa se l’avessi fatto?»
Silviana non rispose a quella domanda. «Mangerai dopo aver assistito l’Amyrlin, allora. Lascerò istruzioni alla maestra delle cucine di conservarti del cibo. Considerando quanto spesso ti è stata impartita la Guarigione in questi giorni, bambina, avrai bisogno di consumare i tuoi pasti. Non permetterò che tu svenga per mancanza di nutrimento.»
Severa, eppure giusta. Un peccato che questa donna avesse optato per la Rossa. «Molto bene» disse Egwene.
«E, dopo mangiato,» disse Silviana, alzando un dito «tornerai da me per aver mostrato mancanza di rispetto verso l’Amyrlin Seat. Tu non hai la facoltà di rivolgerti a lei semplicemente come ‘Elaida’, bambina.» Si voltò verso il suo registro, aggiungendo:
«Inoltre solo la Luce sa in che genere di guai ti sarai cacciata entro questa sera.»
Mentre Egwene si lasciava alle spalle la piccola stanza, entrando in un ampio corridoio di pietra grigia con le piastrelle del pavimento rosse e verdi, riflette su quell’ultimo commento. Forse non era stata sorpresa quella che Silviana aveva mostrato nel sentire della visita di Egwene a Elaida. Forse era stata commiserazione. Elaida non avrebbe reagito bene quando Egwene si fosse opposta a lei nel modo in cui faceva con tutte le altre nella Torre.
Era quello il motivo per cui Silviana aveva deciso di far tornare Egwene per un’ultima sessione dopo mangiato? Con gli ordini che Silviana aveva dato, Egwene sarebbe stata obbligata a mangiare prima di tornare per il castigo, perfino se Elaida l’avesse riempita di punizioni.
Era una piccola gentilezza, ma Egwene era grata per questo. Sopportare le punizioni giornaliere era già abbastanza difficile senza dover saltare i pasti.
Mentre rifletteva, due Sorelle Rosse — Katerine e Barasine — le si accostarono. Katerine teneva in mano una tazza di ottone. Un’altra dose di radice biforcuta. Elaida voleva essere certa che Egwene non potesse incanalare neanche un filo durante il pasto, a quanto pareva. Egwene prese la tazza senza protestare e la trangugiò in un unico sorso, percependo il debole eppure caratteristico sentore di menta. Restituì la tazza a Katerine con un gesto sbrigativo e la donna non ebbe altra scelta se non accettarla. Quasi come se fosse una coppiera reale.
Egwene non si diresse immediatamente verso gli alloggi di Elaida. Il fatto che la sua sessione con Silviana si fosse protratta fino all’orario della cena le lasciava qualche momento libero, e lei non voleva arrivare in anticipo, poiche questo avrebbe dimostrato deferenza verso Elaida. Perciò, invece, ciondolò fuori dalla porta della maestra delle novizie con Katerine e Barasine. Una certa persona sarebbe venuta a far visita allo studio?
In lontananza, piccoli capannelli di Sorelle percorrevano le piastrelle rosse e verdi del corridoio. Nei loro occhi c’era un che di furtivo, come lepri che si avventuravano in una radura per mangiucchiare foglie eppure temono il predatore che si nasconde nelle ombre. Di questi tempi le Sorelle nella Torre indossavano sempre il loro scialle e non andavano mai in giro da sole. Alcune trattenevano perfino il Potere, come se temessero di essere aggredite da briganti qui nella stessa Torre Bianca.
«Questo vi rende felici?» si ritrovò a chiedere Egwene. Lanciò un’occhiata a Katerine e Barasine; per caso, entrambe avevano fatto parte del gruppo che aveva catturato Egwene.
«E questo cosa significa, bambina?» chiese Katerine in tono freddo. «Parlare a una Sorella senza essere stata interrogata? Hai così voglia di un’altra punizione?» Katerine indossava una notevole quantità di rosso e il suo abito era di un vivido color cremisi sferzato di nero. à suoi capelli scuri si arricciavano lievemente nella loro cascata lungo la sua schiena.
Egwene ignorò la minaccia. Cos’altro potevano farle? «Metti da parte i battibecchi per un momento, Katerine» disse Egwene guardando passare un gruppo di Gialle, che accelerarono il passo alla vista delle due Rosse. «Metti da parte gli atteggiamenti arroganti e le minacce. Metti da parte tutte queste cose e guarda. Sei orgogliosa di questo? Sono passati secoli nella Torre senza che un’Amyrlin venisse eletta dalla Rossa. Ora, quando finalmente avete una possibilità , colei che avete designato ha fatto questo alla Torre. Donne che non incontrano gli occhi di quelle che non conoscono a fondo, Sorelle che viaggiano in capannelli. Le Ajah che si comportano come se fossero in guerra l’una con l’altra!»