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Ma per la Luce, non poteva nemmeno inchinarsi davanti a Elaida! L’Amyrlin non faceva cose del genere!

O… no. L’Amyrlin faceva quello che riteneva necessario. Cos’era più importante? La Torre Bianca o l’orgoglio di Egwene? L’unico modo per vincere questa battaglia era indurre Elaida a pensare che era lei che stava vincendo. No… no. L’unico modo per vincere era lasciare che Elaida pensasse che non c’era alcuna battaglia.

Egwene poteva riuscire a tenere a freno la lingua quanto bastava per sopravvivere a questa notte? Non ne era certa. Però le occorreva lasciare questa cena con Elaida che riteneva di avere la situazione sotto controllo, che Egwene era adeguatamente intimidita. Il miglior modo per ottenerlo mantenendo al tempo stesso qualche sorta di orgoglio era non dire nulla. Silenzio. Sarebbe stata quella la sua arma questa sera. Facendosi forza, Egwene bussò.

La sua prima sorpresa fu quando una Aes Sedai aprì la porta. Elaida non aveva dei servitori per occuparsi di quel compito? Egwene non riconobbe la Sorella, ma il volto senza età era evidente. La donna era della Grigia, come indicato dal suo scialle, ed era snella con un seno abbondante. I suoi capelli castano-dorati le ricadevano fino a metà schiena e i suoi occhi avevano un che di tormentato, come se di recente fosse stata sotto grande pressione.

Elaida sedeva all’interno. Egwene esitò sulla soglia, guardando la sua rivale per la prima volta da quando aveva lasciato la Torre Bianca con Nynaeve ed Elayne per dare la caccia all’Ajah Nera, un punto di svolta che pareva lontano un’eternità. Avvenente e statuaria, Elaida sembrava aver perduto parte della sua severità. Sedeva, sicura di se e con un lieve sorriso, come se pensasse a una battuta che capiva solo lei. La sua sedia era quasi un trono, intagliata, dorata e dipinta di rosso e bianco. C’era un secondo posto preparato al tavolo, presumibilmente per la sconosciuta Sorella Grigia.

Egwene non aveva mai visitato gli alloggi dell’Amyrlin in precedenza, ma poteva immaginare che aspetto dovevano aver avuto quelli di Siuan. Semplici ma non austeri. Decorazioni appena sufficienti per indicare che questa era la stanza di qualcuno di importante, ma non tanto da diventare una distrazione. Sotto Siuan, ogni cosa avrebbe avuto una funzione… Forse diverse funzioni allo stesso tempo. Tavoli con scomparti segreti.

Arazzi che piegati diventavano mappe. Spade incrociate sopra il caminetto che venivano ben oliate, nel caso i Custodi ne avessero avuto bisogno.

O forse quella era solo una sua fantasia. In ogni caso, non solo Elaida aveva occupato diverse stanze come suoi alloggi, ma i suoi ornamenti erano ostentatamente ricchi. L’intero appartamento non era stato ancora decorato — si diceva che facesse aggiunte quotidiane alle sue stanze —, ma quello che c’era era davvero sontuoso. Nuovi broccati di seta, tutti rossi, pendevano dalle pareti e dal soffitto. Il tappeto tarenese sul pavimento rappresentava uccelli in volo ed era intrecciato in modo tanto raffinato che poteva quasi essere scambiato per un dipinto. Sparsi per la stanza c’erano pezzi di mobili di una dozzina di stili e fogge differenti, ciascuno intagliato in modo generoso e intarsiato in avorio. Qui una serie di viticci, lì uno schema a rilievi nodosi, lì dei serpenti intrecciati.

Ancora più irritante di quello sperpero era la stola che Elaida portava sulle spalle. Aveva sei strisce di colore. Non sette, ma sei! Anche se Egwene non aveva scelto una Ajah, avrebbe optato per la Verde. Ma questo non le impedì di provare un moto di rabbia nel vedere che in quello scialle l’azzurro era stato rimosso. Nessuno poteva semplicemente sciogliere una delle Ajah, nemmeno l’Amyrlin Seat!

Ma Egwene tenne a freno la lingua. L’obiettivo di questo incontro era sopravvivere. Egwene poteva sopportare il dolore delle cinghiate per il bene della Torre. Ma poteva tollerare anche l’arroganza di Elaida?

«Niente riverenza?» chiese Elaida quando Egwene entrò nella stanza. «Hanno detto che eri testarda. Bene, allora, farai visita alla maestra delle novizie quando questa cena sarà terminata e la informerai della tua mancanza. Cosa ne dici?»

Dico che sci un flagello per questa struttura., ripugnante e dannosa quanto qualunque pestilenza che si sia abbattuta sulla città e sulla gente negli anni passati. Che…

Egwene distolse il suo sguardo da quello di Elaida. E, avvertendo la vergogna di quel gesto riverberare nelle sue stesse ossa, chinò il capo.

Elaida rise, evidentemente interpretando quel gesto a suo modo. «Sinceramente mi sarei aspettata che tu creassi più problemi. Pare che Silviana sappia davvero come fare il suo dovere. Questo è un bene; avevo temuto che anche lei, come fin troppe nella Torre, di recente, potesse sfuggire ai suoi compiti. Dunque, al lavoro. Non ho intenzione di attendere tutta la notte per cenare.»

Egwene serrò i pugni ma non disse nulla. Alla parete posteriore era addossato un lungo tavolo di servizio con diversi vassoi in argento, le loro lucide campane che colavano di condensa per il calore di ciò che contenevano. C’era anche una zuppiera in argento. Da una parte, la Sorella Grigia indugiava accanto alla porta. Per la Luce! Quella donna era terrorizzata. Di rado Egwene aveva visto un’espressione del genere sul volto di una Sorella. Cos’era a causarla?

«Vieni, Meidani» disse Elaida alla Grigia. «Hai intenzione di ciondolare lì tutta la notte? Siediti!»

Egwene dissimulò un attimo di sorpresa. Meidani? Era una di quelle mandate da Sheriam e le altre per spiare la Torre Bianca! Mentre Egwene controllava i contenuti di ogni vassoio, scoccò un’occhiata da sopra la spalla. Meidani si era spostata verso la sedia più piccola e meno decorata a fianco di Elaida. La Grigia vestiva sempre in modo così elegante quando cenava? Il suo collo scintillava di smeraldi e il suo abito verde smorto era della seta più costosa, accentuando un petto che su un’altra donna poteva essere normale, ma che sembrava procace sul corpo snello di Meidani.

Beonin aveva detto di aver avvertito le Sorelle Grigie che Elaida sapeva che erano spie. Allora perché Meidani non era fuggita dalla Torre? Cosa la stava trattenendo qui?

Be’, almeno adesso l’espressione di terrore della donna aveva un senso. «Meidani,» disse Elaida sorseggiando da un calice di vino «sei piuttosto pallida quest’oggi. Non prendi abbastanza sole?»

«Ho passato parecchio tempo con le documentazioni storiche, Elaida» rispose Meidani con voce tremante. «Te ne sei dimenticata?»

«Ah, è vero» disse Elaida meditabonda. «Sarà bene sapere come venivano trattati i traditori in passato. La decapitazione mi pare una punizione troppo semplice e rapida. Coloro che hanno diviso la nostra Torre, coloro che ostentano la loro diserzione, meritano una ricompensa molto speciale. Bene, continua la tua ricerca, dunque.»

Meidani si sedette con le mani in grembo. Chiunque non fosse stata un’Aes Sedai avrebbe dovuto asciugarsi il sudore dalla fronte. Egwene rimestò la zuppiera d’argento, con la mano che afferrava il mestolo in una stretta da sbiancare le nocche. Elaida sapeva. Sapeva che Meidani era una spia, eppure invitava a cena quella donna. Per giocare con lei.

«Sbrigati, ragazza» la apostrofò Elaida.

Egwene prese la zuppiera, i manici caldi sotto le sue dita, e si diresse verso il piccolo tavolo. Riempì le scodelle con un brodo brunastro che gorgogliava con funghi Corone della Regina. Aveva un odore così piccante che qualunque altro sapore sarebbe stato indistinguibile. Così tanto cibo era andato a male che, senza spezie, la zuppa sarebbe stata immangiabile. Egwene lavorò in modo automatico, come un carro trainato da un bue. Non doveva fare scelte; non doveva controbattere. Lavorava e basta. Riempì con precisione le scodelle di zuppa, poi andò a prendere il cestino del pane e ne mise un pezzo — non troppo crostoso — su ogni piattino di porcellana. Ritornò con un tocchetto circolare di burro per ciascuna, tagliato in modo rapido ma preciso dal panetto più grosso con un paio di scatti del coltello. La figlia di un locandiere imparava presto come servire a dovere un pasto.