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Perfino mentre lavorava, Egwene ribolliva. Ogni passo era un tormento, e non per via del suo posteriore ancora in fiamme. Quel dolore fisico, stranamente, ora sembrava insignificante. Era secondario rispetto al dolore di rimanere in silenzio, al dolore di non permettere a se stessa di affrontare questa donna orribile, così regale e arrogante.

Mentre le due donne iniziavano a mangiare la loro zuppa — ignorando di proposito le larve nel pane — Egwene si ritirò da un lato della stanza e rimase lì in piedi, con le mani serrate davanti a se e la postura rigida. In realtà , Egwene non si fidava a muoversi, poiche temeva che qualunque attività l’avrebbe portata a prendere a schiaffi Elaida. Per la Luce, com’era difficile!

«Cosa si dice qui nella Torre, Meidani?» chiese Elaida, intingendo il pane nella zuppa.

«Io… non ho molto tempo per ascoltare…»

Elaida si sporse in avanti. «Oh, di certo sai qualcosa. Hai le orecchie, e perfino le Grigie devono chiacchierare. Cosa dicono di quelle ribelli?»

Meidani impallidì ancor di piu’. «Io… io…»

«Uhm» disse Elaida. «Quando eravamo novizie, non ricordo che fossi così lenta di comprendonio, Meidani. Non mi hai impressionato in queste ultime settimane; comincio a domandarmi perché ti sia stato dato lo scialle. Forse non è mai stato adatto alle tue spalle.» Meidani sgranò gli occhi.

Elaida le sorrise. «Oh, ti sto solo prendendo in giro, bambina. Torna al tuo pasto.» Scherzava! Scherzava su come avesse privato una donna dello scialle, umiliandola a tal punto che era fuggita dalla Torre. Luce! Cos’era successo a Elaida? Egwene l’aveva incontrata in precedenza, e quella donna le aveva dato l’impressione di essere severa, ma non dispotica. Il potere cambiava le persone. Pareva che, nel caso di Elaida, detenere il seggio dell’Amyrlin le avesse sottratto rigore e solennità e li avesse sostituiti con un inebriante senso di autoritarismo e crudeltà.

Meidani alzò lo sguardo. «Ho… ho sentito delle Sorelle esprimere preoccupazione sui Seanchan.»

Elaida agitò una mano con indifferenza, sorseggiando la sua zuppa. «Bah! Sono troppo distanti per rappresentare un pericolo per noi. Mi domando se stiano lavorando in segreto per il Drago Rinato. A ogni modo, sospetto che le dicerie su di loro siano di gran lunga esagerate.

» Elaida scoccò un’occhiata a Egwene. «Per me è una continua fonte di divertimento che alcuni credano a tutto ciò che sentono.»

Egwene non poteva parlare. Sarebbe riuscita a malapena a farfugliare. Cosa ne avrebbe pensato Elaida di queste dicerie ‘esagerate’ se i Seanchan le avessero schiaffato un freddo a’dam attorno a quel suo collo da idiota? A volte Egwene poteva sentire quella fascia metallica sulla propria pelle, che la pizzicava, impossibile da togliere. A volte muoversi liberamente le causava un lieve malessere, come se avesse la sensazione di dover essere rinchiusa, incatenata al gancio alla parete da un semplice anello di metallo.

Lei sapeva quello che aveva sognato, e sapeva che quei sogni erano profetici. I Seanchan avrebbero attaccato la Torre Bianca stessa. Elaida, ovviamente, non dava credito ai suoi avvertimenti.

«No» disse Elaida, facendo cenno a Egwene di portare un altro mestolo di zuppa. «Questi Seanchan non sono il problema. Il vero pericolo è la completa mancanza di obbedienza mostrata dalle Aes Sedai. Cosa dovrò fare per porre fine a questi assurdi negoziati ai ponti? Quante Sorelle dovranno subire penitenze prima di riconoscere la mia autorità ?» Si sedette, picchiettando il cucchiaio contro la sua scodella di zuppa. Egwene, al tavolo di servizio, raccolse la zuppiera, prendendo il mestolo dal suo supporto d’argento.

«Sì,» riflette Elaida «se le Sorelle fossero state obbedienti, la Torre non si sarebbe divisa. Quelle ribelli avrebbero dovuto obbedire invece di scappar via come uno stupido stormo di uccelli spaventati. Se le Sorelle fossero state obbedienti, avremmo il Drago Rinato in mano nostra, e ci saremmo sbarazzate da parecchio tempo di quegli orrendi uomini che si addestrano nella loro ‘Torre Nera’. Cosa ne pensi, Meidani?»

«Io… L’obbedienza è sicuramente importante, Elaida.»

Elaida scosse il capo mentre Egwene versava un mestolo di zuppa nella sua scodella.

«Chiunque ammetterebbe questo, Meidani. Ti ho chiesto cosa andrebbe fatto. Per fortuna, io stessa ho un’idea. Non ti risulta strano che i Tre Giuramenti non menzionino affatto l’obbedienza alla Torre Bianca? Le Sorelle non possono mentire, non possono fabbricare armi che uomini utilizzino per uccidere altri uomini e non possono usare il Potere come un’arma contro gli altri se non per difesa. Quei giuramenti mi sono sempre sembrati troppo permissivi. Perche non un giuramento di obbedienza all’Amyrlin? Se quella semplice promessa fosse stata parte di tutte noi, quanto dolo re e travaglio avremmo potuto evitare? Forse è il caso di operare una revisione.»

Egwene rimase immobile. Un tempo, lei stessa non aveva compreso l’importanza dei giuramenti. Sospettava che parecchie novizie e Ammesse avessero messo in discussione la loro utilità. Ma, come ogni Aes Sedai doveva fare, aveva appreso la loro importanza. Erano i Tre Giuramenti a creare le Aes Sedai. Erano ciò che garantiva che le Aes Sedai facessero quello che era meglio per il mondo, ma, cosa più rilevante, erano un riparo dalle accuse. Cambiarli… be’, sarebbe stato un disastro senza precedenti. Elaida avrebbe dovuto saperlo. La falsa Amyrlin tornò alla sua zuppa, sorridendo fra se, senza dubbio meditando su un quarto giuramento per esigere obbedienza. Non riusciva a capire che ciò avrebbe indebolito la Torre stessa? Avrebbe trasformato l’Amyrlin da una governante a un despota!

La rabbia di Egwene ribollì dentro di lei, fumando come la zuppa fra le sue mani. Questa donna, questa… creatura! Lei era la causa dei problemi nella Torre Bianca, lei era quella che aveva causato la divisione fra ribelli e lealiste. Lei aveva preso prigioniero Rand e lo aveva fatto picchiare. Era un disastro!

Egwene si sentì fremere. In un altro momento, sarebbe esplosa e avrebbe spiattellato la verità davanti a Elaida. Stava ribollendo dentro di lei e riusciva a malapena a contenerla. No!, pensò. Se lo faccio, la mia battaglia termina qui. Perderò la mia guerra.

Perciò Egwene fece l’unica cosa a cui riusciva a pensare per trattenersi. Fece cadere a terra la zuppa.

Il liquido brunastro si sparse sul delicato tappeto con uccelli rossi, gialli e verdi in volo. Elaida imprecò, balzando dalla sedia e indietreggiando dalla zuppa versata. Nemmeno una goccia di quel liquido le aveva insozzato il vestito, il che era un peccato. Egwene afferrò con calma una salvietta di servizio e iniziò ad asciugare la zuppa.

«Tu, goffa idiota!» sbottò Elaida.

«Sono spiacente» disse Egwene. «Vorrei che non fosse successo.» Ed era vero. Voleva che niente di quella serata fosse mai successo. Voleva che Elaida non fosse al comando; voleva che la Torre non si fosse mai divisa. Voleva non essere stata costretta a versare la zuppa sul pavimento. Ma l’aveva fatto. E cosi se ne occupò, inginocchiandosi e sfregando.

Elaida, indicando, farfuglio’: «Quel tappeto vale più del tuo intero villaggio, selvaggia! Meidani, aiutala!»

La Grigia non obiettò nemmeno. Si affrettò ad andare a prendere un secchio di acqua gelata che stava rinfrescando del vino e si precipitò ad aiutare Egwene. Elaida si diresse verso una porta dal lato opposto della stanza per chiamare i servitori.

«Mandami a chiamare» sussurrò Egwene quando Meidani si inginocchiò per aiutarla a pulire.

«Cosa?»

«Mandami a chiamare per una lezione» disse Egwene piano, lanciando un’occhiata a Elaida che dava loro le spalle. «Dobbiamo parlare.»

In principio Egwene aveva intenzione di evitare le spie di Salidar, lasciando che fosse Beonin a farle da messaggero. Ma aveva troppe domande. Perche Meidani non era fuggita dalla Torre? Cosa stavano architettando le spie? Qualcuna delle altre era stata adottata e mortificata a dovere da Elaida come Meidani?