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Meidani scoccò un’occhiata a Elaida, poi di nuovo a Egwene. «A volte può non sembrare, ma io sono ancora Aes Sedai, ragazza. Tu non puoi darmi ordini.»

«Io sono la tua Amyrlin, Meidani» disse con calma Egwene, strizzando la salvietta intrisa di zuppa in una caraffa. «E tu farai meglio a ricordartelo. A meno che tu non voglia che i Tre Giuramenti vengano rimpiazzati da voti di servire Elaida per l’eternità.»

Meidani la guardò, poi rabbrividì agli strilli acuti di Elaida che chiamava i servitori. Era evidente che quella donna aveva vissuto momenti difficili di recente.

Egwene le appoggiò una mano sulla spalla. «Elaida può essere spodestata, Meidani. La Torre sarà riunificata. Farò in modo che accada, ma dobbiamo farci coraggio. Mandami a chiamare.»

Meidani alzò gli occhi, scrutando Egwene. «Come… come ci riesci? Dicono che vieni punita tre o quattro volte al giorno. Che fra l’una e l’altra hai bisogno della Guarigione in modo che ti possano picchiare ancora. Come fai a sopportarlo?»

«Lo sopporto perché devo» disse Egwene abbassando la mano. «Proprio come tutti facciamo ciò che dobbiamo. Il tuo compito di sorvegliare Elaida qui è difficile, lo vedo, ma sai che il tuo lavoro è importante e apprezzato.»

Egwene non sapeva se Meidani fosse stata inviata per davvero a spiare Elaida, ma per una donna era meglio pensare che le sue sofferenze fossero per un buono scopo. Parve la cosa giusta da dire, poiche Meidani si raddrizzò, facendosi coraggio e annuendo. «Grazie.» Elaida stava tornando, con tre servitori appresso a lei.

«Mandami a chiamare» ordinò di nuovo Egwene a Meidani, sussurrando appena. «Sono una delle poche in questa Torre ad avere una buona scusa per spostarsi fra gli alloggi delle diverse Ajah. Posso aiutare a sanare ciò che è spezzato, ma avrò bisogno del tuo aiuto.» Meidani esitò, poi annuì. «Molto bene.»

«Tu!» esclamò in tono brusco Elaida. «Fuori! Voglio che tu dica a Silviana di prenderti a cinghiate come mai nessuna donna prima d’ora! Voglio che ti punisca, poi ti Guarisca sul posto, poi ti picchi di nuovo! Vai!»

Egwene si alzò in piedi, porgendo la salvietta a uno dei servitori. Poi si diresse verso l’uscita.

«E non pensare che la tua goffaggine ti abbia permesso di sfuggire ai tuoi doveri» proseguì Elaida alle sue spalle. «Tornerai e mi servirai ancora in un’altra data. E se verserai anche una sola goccia, ti farò rinchiudere in una cella senza finestre ne luce per una settimana. Mi hai capito?»

Egwene lasciò la stanza. Questa donna era mai stata una Aes Sedai in grado di controllare le proprie emozioni…

Tuttavia Egwene stessa aveva perso il controllo sulle proprie emozioni. Non avrebbe mai dovuto lasciarsi trascinare a un punto tale da essere costretta a far cadere la zuppa. Aveva sottovalutato quanto poteva essere irritante Elaida, ma questo non sarebbe accaduto di nuovo. Si calmò mentre camminava, inspirando ed espirando. La rabbia non le faceva bene. Non ci si doveva arrabbiare con una donnola che si intrufolava nella tua aia e mangiava le tue galline. Ti limitavi a preparare una trappola e a sbarazzarti dell’animale. La rabbia era inutile. Con le mani che odoravano ancora un poco di pepe e spezie, si diresse verso il livello più basso della Torre, al refettorio delle novizie accanto alle cucine principali. Egwene aveva lavorato di frequente in quelle cucine nel corso degli ultimi nove giorni; a ogni novizia era richiesto di sbrigare quelle faccende. Gli odori di quel posto — carbone e fumo, zuppe che bollivano e saponi forti e non aromatizzati — le erano molto familiari. In effetti non erano poi molto diversi da quelli della cucina della locanda di suo padre nei Fiumi Gemelli.

La stanza dalle pareti bianche era vuota, i tavoli non occupati, anche se su uno di essi c’era un piccolo vassoio con sopra il coperchio di una pentola per tenerlo al caldo. Lì c’era anche il suo cuscino, lasciato dalle novizie per rendere più morbida la dura panca. Egwene si avvicinò, ma ignorò il cuscino come faceva sempre, anche se era grata per il gesto. Si sedette e tolse il coperchio dal pasto. Purtroppo tutto quello che trovò fu una scodella della stessa zuppa brunastra. Non c’era traccia dell’arrosto, dell’intingolo o dei fagioli al burro lunghi e stretti che avevano composto il resto della cena di Elaida.

Tuttavia era cibo, e lo stomaco di Egwene era grato per questo. Elaida non le aveva ordinato di presentarsi immediatamente per la sua punizione, perciò l’ordine di Silviana di mangiare prima aveva la precedenza. O, almeno, era una disputa sufficiente a metterla al sicuro. Mangiò da sola, in silenzio. La zuppa era davvero piccante e sapeva di pepe quanto l’odore lasciava intendere, ma lei non vi fece caso. A parte questo, era davvero piuttosto buona. Le erano state lasciate anche alcune fette di pane, anche se aveva avuto la fine della pagnotta. Tutto sommato un pasto niente male per qualcuno che pensava che non avrebbe ottenuto nulla.

Egwene mangiò in modo assorto, ascoltando Laras e gli sguatteri far cozzare le pentole mentre le lavavano nell’altra stanza, sorpresa per la calma che provava. Era cambiata; in lei c’era qualcosa di diverso. Osservare Elaida, affrontare finalmente la donna che era stata sua rivale per tutti questi mesi, la costringeva a guardare quello che stava facendo in una nuova luce.

Si era immaginata a indebolire Elaida e ottenere il controllo della Torre Bianca dall’interno. Ora si rendeva conto che non le occorreva indebolirla. Quella donna era pienamente in grado di farlo da sola. Diamine, Egwene poteva figurarsi la reazione delle Adunanti e dei capi delle Ajah quando Elaida avesse annunciato la sua intenzione di cambiare i Tre Giuramenti!

Prima o poi Elaida sarebbe caduta, con o senza l’aiuto di Egwene. Il suo dovere, come Amyrlin, non era quello di accelerare tale caduta, ma di fare tutto quello che poteva per tenere assieme la Torre e i suoi occupanti. Non potevano permettersi ulteriori fratture. Il suo compito era tenere a bada il caos e la distruzione che li minacciava tutti quanti, di riforgiare la Torre. Quando ebbe finito la sua zuppa, usando l’ultimo pezzo di pane per pulire quello che restava nella scodella, si rese conto che doveva fare qualsiasi cosa in suo potere per essere un punto saldo per le Sorelle nella Torre. Il tempo scarseggiava sempre piu’. Cosa stava facendo Rand al mondo senza una guida? Quando i Seanchan avrebbero attaccato a nord? Avrebbero dovuto tagliare per l’Andor per arrivare a Tar Valon, e questo che distruzione avrebbe causato? Di certo aveva un po’ di tempo per riforgiare la Torre prima dell’attacco, ma non c’era un momento da perdere.

Egwene portò il suo piatto in cucina e lo lavò da se, guadagnandosi un cenno col capo di approvazione dalla robusta maestra delle cucine. Dopodiche Egwene si diresse su verso lo studio di Silviana. Doveva sbrigarsi con la sua punizione: aveva ancora intenzione di far visita a Leane stanotte, come era sua abitudine. Egwene bussò, poi entrò, trovando Silviana alla sua scrivania a sfogliare un grosso tomo alla luce di due lampade in argento. Quando Egwene entrò, Silviana segnò la pagina con un pezzetta di stoffa rossa, poi richiuse il libro. La copertina consunta recava il titolo Riflessioni sull’accensione della Fiamma, una storia dell’elezione delle varie Amyrlin. Curioso.

Egwene si sedette su uno sgabello davanti alla scrivania — senza sussultare per l’immediata scarica di dolore al suo posteriore — e parlò con calma della serata, omettendo il fatto che aveva lasciato cadere la zuppiera di proposito. Disse, però, che l’aveva lasciata cadere dopo che Elaida aveva parlato di revocare e cambiare i Tre Giuramenti.

A quelle parole Silviana parve molto pensierosa.

«Bene,» disse la donna, alzandosi per andare a prendere la sua cinghia «l’Amyrlin ha parlato.»

«Sì, l’ho fatto» disse Egwene, mettendosi in piedi e andando a posizionarsi sul tavolo, con gonne e sottoveste sollevate per la punizione.