«No» disse Min. «Ti sbagli.»
Corele si accigliò. «Bambina, stai forse dicendo di aver mentito sulle cose che hai visto?»
«No» rispose Min. «Ma se Rand perderà , non ci sarà alcun Disegno.»
«La ragazza ha ragione.» Cadsuane suonava sorpresa. «Ciò che questa bambina vede sono tessiture nel Disegno in un tempo ancora distante… ma se il Tenebroso vince, distruggerà il Disegno nella sua interezza. Questo è il solo modo in cui le visioni possono non accadere. Lo stesso vale per altre profezie e Predizioni. La nostra vittoria non è affatto certa.»
Questo fece calare il silenzio sulla stanza. Non stavano giocando alla politica del villaggio o al dominio di una nazione, in gioco c’era la creazione stessa.
Luce. Posso rifiutarmi di rivelare questa informazione se c’è una qualche possibilità che serva ad aiutare Lan? Pensare a lui le straziava il cuore, e aveva poche opzioni. In effetti, l’unica speranza di Lan pareva essere riposta negli eserciti che Rand poteva schierare e nei passaggi che la sua gente poteva formare.
Rand doveva cambiare. Per Lan. Per tutti loro. E lei non aveva idea di cos’altro fare tranne, purtroppo, fidarsi di Cadsuane. Nynaeve mise a tacere il proprio orgoglio e parlò.
«Conoscete l’ubicazione di una statua di un’enorme spada, caduta verso la terra come per conficcarvisi?»
Corele e Merise si guardarono a vicenda, confuse.
«La mano dell’amhan’rukane.» Cadsuane si voltò da Min con un sopracciglio sollevato. «La statua non fu mai terminata, da quello che gli studiosi hanno ricostruito. Si trova vicino alla strada di Jehannah.»
«Perrin è accampato sotto la sua ombra.»
Cadsuane increspò le labbra. «Avevo ipotizzato che sarebbe andato a est, verso terre che al’Thor ha conquistato.» Trasse un profondo respiro. «D’accordo. Andiamo da lui, ora.» Esitò, poi lanciò un’occhiata a Nynaeve. «In risposta alla tua precedente domanda, bambina, in effetti Perrin non è importante per i nostri piani.»
«Non lo è?» chiese Nynaeve. «Ma…»
Cadsuane sollevò un dito. «Ci sono persone con lui che sono vitali. Una in particolare.»
45
La Torre è salda
Egwene camminava lentamente attraverso l’accampamento delle ribelli, con indosso un abito cremisi, le gonne divise per cavalcare. Quel colore fece sollevare non poche sopracciglia. Considerando quello che l’Ajah Rossa aveva fatto, era improbabile che queste Aes Sedai avrebbero indossato quel colore. Perfino le servitaci nel campo lo avevano notato, vendendo i loro abiti color rosso o ruggine oppure tagliandoli per farne degli stracci.
Egwene aveva chiesto specificamente il cremisi. Nella Torre, le Sorelle avevano preso l’abitudine di indossare solo il colore della propria Ajah, e quella pratica aveva contribuito ad alimentare la divisione. Mentre era un bene essere orgogliosi di far parte della propria Ajah, era pericoloso supporre di non potersi fidare di nessuno che vestiva altri colori.
Egwene era di tutte le Ajah. Oggi, il rosso simboleggiava molte cose per lei. L’imminente riunificazione con l’Ajah Rossa. Un monito che la divisione doveva essere sanata. Un segno del sangue che sarebbe stato versato, il sangue di bravi uomini che combattevano per difendere la Torre Bianca.
Il sangue delle Aes Sedai morte, decapitate meno di un’ora prima per ordine di Egwene. Siuan aveva trovato il suo anello del Gran Serpente; riaverlo al dito le dava una bella sensazione.
Il cielo era di un grigio plumbeo e l’odore di terra si levava in aria, accompagnando i movimenti affaccendati attorno al campo. Le donne si affrettavano a lavare i vestiti, come se fossero in ritardo per preparare i loro clienti per una festa. Le novizie correvano — correvano letteralmente — da una lezione all’altra. Le Aes Sedai se ne stavano in giro a braccia conserte, gli occhi pronti ad avvampare verso chiunque non mantenesse il ritmo.
Percepiscono la tensione della giornata, pensò Egwene. E io non posso fare a meno che renda ansiosa anche me.
La notte prima c’era stato l’attacco dei Seanchan. Seguito dal ritorno dell’Amyrlin che aveva trascorso la mattinata purificando le Aes Sedai. E ora, nel pomeriggio, risuonavano i tamburi della guerra.
Dubitava che l’accampamento di Bryne fosse in un tale stato. Lui avrebbe avuto i suoi uomini pronti per l’attacco; probabilmente avrebbe potuto assaltare la Torre Bianca senza che gli venisse dato il minimo preavviso in ogni giorno dell’assedio. I suoi soldati avrebbero deciso questa guerra. Egwene non avrebbe permesso alle sue Aes Sedai di scendere in battaglia, aggirando il giuramento di non usare il Potere per uccidere. Avrebbero atteso qui e sarebbero state chiamate solo per la Guarigione.
O se le Sorelle della Torre Bianca si fossero unite sul serio al combattimento. Volesse la Luce che Elaida si comportasse in modo saggio e lo proibisse. Se le Aes Sedai avessero rivolto il potere l’una contro l’altra, sarebbe stato un giorno davvero buio.
Questo giorno può diventare ancora più buio?, si domandò Egwene. Molte delle Aes Sedai che incrociava nell’accampamento le rivolgevano sguardi di rispetto, ammirazione e un po’ di terrore. Dopo una lunga assenza, l’Amyrlin era tornata. E aveva portato distruzione e giudizio nella sua scia.
Oltre cinquanta Sorelle Nere erano state quietate, poi giustiziate. Egwene aveva la nausea, a pensare alle loro morti. Sheriam era parsa quasi sollevata quando era giunto il suo turno, anche se presto aveva cominciato a dibattersi, singhiozzante e disperata. Aveva confessato diversi crimini inquietanti, come se sperasse che la sua disponibilità a parlare le avrebbe fruttato l’amnistia.
Avevano messo la sua testa sul ceppo e l’avevano spiccata dal collo, proprio come le altre. Quella scena sarebbe sempre stata vivida nella mente di Egwene: la sua ex Custode degli Annali, stesa con la testa premuta contro il ceppo, l’abito azzurro e i fiammeggianti capelli rossi all’improvviso immersi in una calda luce dorata mentre una porzione più sottile di nuvole si muoveva davanti al sole. Poi l’ascia argentata, che calava per reclamare la sua testa. Forse il Disegno sarebbe stato più gentile con lei la prossima volta che le fosse stato assegnato un filo nel suo grande arazzo. Ma forse no. La morte non era una fuga dal Tenebroso. Il terrore di Sheriam alla fine indicava che poteva aver pensato proprio quello mentre l’ascia prendeva la sua testa.
Ora Egwene comprendeva appieno come gli Aiel potessero ridere per delle semplici percosse. Magari avesse potuto passare qualche giorno sotto la verga piuttosto che dover ordinare l’esecuzione di donne che aveva apprezzato e con cui aveva lavorato!
Alcune delle Adunanti si erano opposte alle esecuzioni, preferendo interrogare le Sorelle Nere, ma Egwene aveva insistito. Cinquanta donne erano troppe da schermare e sorvegliare, e ora che sapevano che l’essere quietate poteva essere Guarito, quella non era un’opzione praticabile. No, la storia dimostrava quanto potevano essere sfuggenti e pericolose le Sorelle della Nera, ed Egwene era stanca di preoccuparsi di cosa poteva accadere. Aveva imparato con Moghedien che la cupidigia aveva un prezzo, anche se era solo cupidigia di informazioni. Lei e le altre erano state troppo avide — troppo orgogliose delle ‘scoperte’ che avevano fatto — per liberare il mondo da una dei Reietti.
Ebbene, non avrebbe permesso un errore simile qui. La legge era nota, il Consiglio aveva emesso la sua sentenza, e non era stato fatto in segreto. Verin era morta per fermare queste donne, ed Egwene si sarebbe assicurata che il suo sacrificio significasse qualcosa.
Hai agito bene, Verin. Molto bene. Ogni Aes Sedai nell’accampamento era stata costretta a pronunciare di nuovo i Tre Giuramenti, e solo tre membri della Nera erano stati scoperti a parte quelli individuati da Verin. La sua ricerca era stata accurata.