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In piedi sopra il cadavere di una ragazzina. Solo una bambina. Callandor brillava fra le sue dita. Il corpo ebbe un sussulto improvviso.

Moiraine l’aveva fermato. Dare la vita ai morti andava oltre le sue possibilità , aveva detto. Come vorrei che fosse ancora qui, pensò Rand. Spesso era stato frustrato da lei, ma Moiraine — più di chiunque altro — era sembrata in grado di afferrare proprio quello che ci si aspettava che lui facesse. Lo aveva reso più disposto a farlo, perfino quando lui era arrabbiato con lei.

Rand si voltò. Moiraine aveva ragione. Non poteva dare la vita ai morti. Ma era molto bravo a dare la morte a quelli che vivevano. «Radunate le vostre sorelle della landa» disse ad alta voce da sopra la spalla alle sue guardie aiel. «Andiamo in battaglia.»

«Ora?» chiese una di loro. «È notte!»

Ho camminato così a lungo?, pensò Rand sorpreso. «Sì» disse. «L’oscurità non avrà importanza; creerò luce a sufficienza.» Tastò la chiave d’accesso, provando eccitazione e orrore al tempo stesso. Aveva ricacciato i Seanchan nell’oceano una volta. L’avrebbe fatto di nuovo. Da solo.

Sì, li avrebbe cacciati via… perlomeno quelli che avrebbe lasciato in vita.

«Andate!» urlò alle Fanciulle. Quelle lo lasciarono, procedendo ad ampie falcate lungo il corridoio. Cos’era successo al suo autocontrollo? Il ghiaccio si era assottigliato, di recente.

Si diresse di nuovo verso le scale e salì alcune rampe fino alle sue stanze. I Seanchan avrebbero conosciuto la sua furia. Osavano provocare il Drago Rinato? Lui offriva loro pace e quelli gli ridevano in faccia?

Spalancò la porta delle sue stanze, intimando il silenzio agli zelanti Difensori di guardia lì fuori sollevando la mano in un gesto brusco. Non era dell’umore adatto alle loro dance.

Si precipitò dentro e si irritò quando scoprì che le guardie avevano permesso a qualcuno di entrare. Una figura sconosciuta era in piedi e dava le spalle a Rand, guardando fuori dalle porte aperte del balcone. «Cosa…» iniziò Rand.

L’uomo si voltò. Non era uno sconosciuto. Non era affatto uno sconosciuto. Era Tarn. Suo padre.

Rand barcollò all’indietro. Era forse un’apparizione? Qualche trucco perverso del Tenebroso? Ma no, era Tarn. Non ci si poteva sbagliare sugli occhi gentili dell’uomo. Anche se era di una testa più basso di Rand, Tarn era sempre sembrato più solido del mondo attorno a lui. Il suo ampio petto e le gambe salde non potevano essere mossi, non perché fosse forte: durante i suoi viaggi, Rand aveva incontrato molti uomini più forti di lui. La forza era passeggera. Tarn era reale. Certo e stabile. Solo guardarlo gli recava sollievo.

Ma il sollievo era in contrasto con ciò che Rand era diventato. I suoi mondi — la persona che era stato e quella che era diventato — si incontravano come un getto d’acqua su una pietra incandescente. L’una che andava in pezzi, l’altra che diventava vapore.

Tarn rimase immobile, esitante, sulla soglia del balcone, illuminato da due lampade tremolanti su sostegni nella stanza. Rand comprendeva l’esitazione di Tarn. Non erano padre e figlio per motivi di sangue. Il padre naturale di Rand era Janduin, capoclan degli Aiel Taardad. Tarn era solo l’uomo che aveva trovato Rand sulle pendici di Montedrago.

Solo l’uomo che lo aveva allevato. Solo l’uomo che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva. Solo l’uomo che Rand amava e adorava, come avrebbe sempre fatto, e non aveva importanza se fra loro non c’era alcun legame di sangue.

«Rand.» La voce di Tarn era imbarazzata.

«Per favore» disse Rand sorpreso. «Per favore, siediti.»

Tarn annuì. Chiuse le porte del balcone, poi venne avanti e occupò una delle sedie. Anche Rand si accomodò. Si guardarono, l’uno di fronte all’altro. I muri di pietra erano spogli; Rand li preferiva privi di arazzi o dipinti. Il tappeto era giallo e rosso, e tanto grande da raggiungere tutte e quattro le pareti.

La stanza sembrava troppo perfetta. Un vaso di gigli darà e di boccioli di calima appena tagliati era posato proprio lì dove doveva essere. Sedie al centro, disposte in modo troppo preciso. La stanza non pareva vissuta. Come molti posti in cui era stato, non era casa. Non aveva davvero avuto una casa da quando aveva lasciato i Fiumi Gemelli.

Tarn sedeva su una sedia, Rand su un’altra. Rand si accorse di avere ancora la chiave d’accesso in mano, perciò l’appoggiò sul tappeto con un motivo a forma di sole davanti a se. Tarn lanciò un’occhiata al moncherino di Rand, ma non disse nulla. Serrò le mani assieme, probabilmente desiderando avere qualcosa su cui lavorare. Tarn era sempre più a suo agio nel parlare di cose spiacevoli quando aveva qualcosa da fare con le mani, che si trattasse di controllare le cinghie dei finimenti o di tosare una pecora.

Luce, pensò Rand, provando l’impulso improvviso di avvolgere Tarn in un abbraccio.

Familiarità e ricordi si riversarono nella sua mente. Tarn che consegnava acquavite alla locanda Fonte di Vino per la festa di Bel Tine. Il piacere che Tarn traeva dalla sua pipa. La sua pazienza e la sua gentilezza. La sua insopportabile spada col marchio dell’airone. Lo conosco così bene. Eppure di rado ho pensato a lui negli ultimi tempi.

«Come…» disse Rand. «Tarn, come sei giunto qui? Come mi hai trovato?»

Tarn ridacchiò piano. «Hai mandato messaggeri senza posa in tutte le grandi città in questi ultimi giorni, dicendo loro di radunare gli eserciti per la guerra. Penso che un uomo dovrebbe essere cieco, sordo e ubriaco per non sapere dove trovarti.»

«Ma i miei messaggeri non sono andati ai Fiumi Gemelli!»

«Non ero nei Fiumi Gemelli» disse Tarn. «Alcuni di noi combattono al fianco di Perrin.» Ma certo, pensò Rand. Nynaeve doveva aver contattato Perrin — i colori mulinarono — tanto era preoccupata per lui e Mat. Sarebbe stato semplice per Tarn tornare assieme a lei.

Rand stava avendo davvero questa conversazione? Aveva lasciato perdere l’idea di tornare ai Fiumi Gemelli, di rivedere suo padre di nuovo. Era una sensazione così bella, nonostante l’imbarazzo. Sul volto di Tarn c’erano più rughe di prima, e le poche determinate strisce di nero nei suoi capelli avevano infine ceduto ed erano diventate argentee, ma era lo stesso.

Così tante persone erano cambiate attorno a Rand — Mat, Perrin, Egwene, Nynaeve — che era un miracolo incontrare qualcuno dalla sua vecchia vita che era ancora lo stesso. Tarn, l’uomo che aveva insegnato a Rand a cercare il vuoto. Tarn era una roccia che gli sembrava più forte della Pietra stessa.

L’umore di Rand si rabbuiò. «Aspetta. Perrin sta usando gente dei Fiumi Gemelli?»

Tarn annuì. «Aveva bisogno di noi. Quel ragazzo ha messo su uno spettacolo di equilibrismo da lasciare impressionato qualunque acrobata da serraglio. Per via dei Seanchan e degli uomini del Profeta, per non parlare dei Manti Bianchi e della regina…»

«La regina?» disse Rand.

«Già» replicò Tarn. «Anche se dice di non essere più regina. La madre di Elayne.»

«È viva allora?» chiese Rand.

«Lo è, anche se non grazie ai Manti Bianchi» disse Tarn con disprezzo.

«Ha visto Elayne?» domandò Rand. «Hai menzionato i Manti Bianchi… come ha fatto Perrin a imbattersi nei Manti Bianchi?» Tarn fece per rispondere, ma Rand sollevò una mano. «No. Aspetta. Potrò ottenere un rapporto da Perrin quando lo vorrò. Non voglio che il nostro tempo assieme trascorra con te come messaggero.»

Tarn esibì un debole sorriso.

«Cosa c’è?» domandò Rand.

«Ah, figlio mio,» disse lui scuotendo il capo, le grandi mani operose serrate di fronte a se «ci sono riusciti davvero. Hanno fatto di te un re. Cos’è successo al ragazzo allampanato che sgranava gli occhi a Bel Tine? Dov’è il giovanotto incerto che ho allevato tutti questi anni?»

«È morto» rispose all’istante Rand.

Tarn annuì lentamente. «Posso vederlo. Allora… tu devi sapere… di…»

«Che non sei mio padre?» indovinò Rand. Tarn annuì, abbassando lo sguardo.