Il potere si riversò dentro Rand come enormi marosi che riempivano un nuovo oceano. Lui si rianimò, gloriandosi in saidin, incurante che quella manifestazione dovesse essere visibile come un faro a tutti gli uomini al mondo in grado di incanalare. Si sentì risplendente di Potere, come un sole per il mondo sottostante.
«Nulla di questo ha importanza!»
Chiuse gli occhi, attingendo sempre più Potere, sentendosi come solo altre due volte in vita sua. Una quando aveva purificato saidin. L’altra quando aveva creato questa montagna.
Poi ne attinse ancora.
Sapeva che troppo Potere lo avrebbe distrutto. Aveva smesso di importargli. La furia che era montata dentro di lui per anni fu infine liberata, sguinzagliata dopo tanto tempo. Spalancò le braccia, la chiave d’accesso in mano. Lews Therin aveva avuto ragione a uccidersi e a creare Montedrago. Solo che non era andato abbastanza oltre.
Rand riusciva a ricordare quel giorno. Il fumo, il boato, gli acuti dolori di una Guarigione che lo riportava alla lucidità mentre giaceva in un palazzo spezzato. Ma quei dolori erano impalliditi a paragone del distrutto della comprensione. Tormento di vedere quelle bellissime pareti sfregiate e fratturate. Di vedere le pile di cadaveri familiari, gettati sul pavimento come stracci scartati. Di vedere Ilyena a poca distanza, i suoi capelli dorati sparsi per terra attorno a lei. Riusciva a percepire il palazzo attorno a lui tremare per gli stessi singhiozzi della terra. Oppure era Montedrago, che pulsava per l’immenso Potere che lui aveva attinto dentro di se?
Poteva odorare l’aria densa di sangue e fuliggine, di morte e dolore. Oppure era solo l’odore di un mondo morente, che si estendeva davanti a lui?
I venti iniziarono a sferzarlo, ruotando, le enormi nubi nel cielo si rimestavano su se stesse, come antichi leviatani che si agitavano nelle profondità buie e remote.
Lews Therin aveva commesso un errore. Era morto, ma aveva lasciato il mondo in vita, ferito, che continuava a zoppicare. Aveva lasciato che la Ruota del Tempo seguitasse a girare, ruotare, marcire e riportarlo indietro ancora. Non poteva sfuggirvi. Non senza porre termine a tutto quanto.
«Perche?» mormorò Rand ai venti che turbinavano attorno a lui. Il Potere che gli giungeva attraverso la chiave d’accesso era maggiore di quello che aveva trattenuto nel ripulire saidin. Forse maggiore di quanto ogni uomo ne avesse mai trattenuto. Vasto abbastanza da dipanare il Disegno stesso e portare la pace definitiva.
«Perche dobbiamo fare questo di nuovo?» sussurrò. «Io ho già fallito. Lei è morta per mano mia. Perche dovete farmelo vivere ancora?»
Un fulmine si stagliò sopra di lui, mentre il tuono lo investiva. Rand chiuse gli occhi, appollaiato su uno strapiombo che precipitava verso il basso per migliaia di piedi, nel mezzo di una tempesta di vento gelido. Attraverso le palpebre, poteva percepire la luce avvampante della chiave d’accesso. Il Potere che tratteneva dentro di se offuscava quella luce. Lui era il sole. Era fuoco. Era vita e morte.
Perche? Perche dovevano ripetere tutto questo ancora e ancora? Il mondo non poteva dargli risposte.
Rand sol levò le braccia in alto, un condotto di Potere ed energia. Un’incarnazione di morte e distruzione. Lui vi avrebbe posto fine. Avrebbe posto fine a tutto e avrebbe permesso che gli uomini trovassero riposo, finalmente, dalle loro sofferenze.
Avrebbe impedito che dovessero vivere ancora e ancora. Perche? Perche il Creatore aveva fatto loro questo? Perche?
Perche viviamo ancora?, chiese tutto a un tratto Lews Therin. La sua voce era chiara e distinta. Sì, disse Rand implorante. Dimmi, Perche?
Forse…, disse Lews Therin, sorprendentemente lucido, nemmeno un accenno di pazzia in lui. Parlava piano, in tono riverente. Perche? Potrebbe essere… Forse è perché possiamo avere una seconda opportunità.
Rand rimase immobile. I venti gli soffiavano contro, ma lui non poteva venire spostato da essi. Il Potere esitò dentro di lui, come l’ascia del boia, la testa che fremeva sul collo del criminale.
‘Puo’ darsi che tu non sia in grado di scegliere i compiti che ti vengono assegnatì disse la voce di Tarn nella sua mente, solo un ricordo. ‘Ma puoi scegliere perché adempierli.’
Perché, Rand? Perché vai in battaglia, qual è lo scopo?
Perché?
Tutto era immobile. Perfino con la tempesta, i venti, i boati di tuono. Tutto era immobile. Perche?, pensò Rand con stupore. Perche ogni volta che viviamo, possiamo amare di nuovo. Quella era la risposta. Si riversò dentro di lui, vite vissute, errori commessi, l’amore che cambiava tutto quanto. Vide il mondo intero con gli occhi della mente, illuminato dal bagliore nella sua mano. Ricordò vite, a centinaia, a migliaia, che si estendevano all’infinito. Ricordò amore, pace, gioia, speranza. E in quel momento, tutta un tratto, qualcosa di prodigioso gli accadde. Se io vivo ancora, anche lei potrebbe!
Ecco perché combatteva. Ecco perché viveva di nuovo, e quella era la risposta alla domanda di Tarn. Combatto perché l’ultima volta ho fallito. Combatto perché voglio aggiustare l’errore che ho commesso.
Voglio fare le cose in modo giusto stavolta.
Il Potere dentro di lui andò aumentando e Rand lo rivolse su se stesso, spingendolo attraverso la chiave d’accesso. Il ter’angreal era connesso a una forza molto più grande, un imponente sa’angreal a sud, costruito per fermare il Tenebroso. Troppo potente, avevano detto alcuni. Troppo potente per essere mai usato. Troppo spaventoso.
Rand usò quello stesso Potere sul sa’angreal, schiacciando in pezzi il globo distante, mandandolo in frantumi come nella stretta delle mani di un gigante.
Il Choedan Kal esplose. Il Potere si spense. La tempesta terminò.
E Rand aprì gli occhi per la prima volta da moltissimo tempo. Sapeva — in qualche modo — che non avrebbe udito mai più la voce di Lews Therin nella sua testa. Poiche non erano due uomini e non lo erano mai stati.
Rimirò il mondo sotto di lui. Le nubi nel cielo si erano infine diradate, anche se solo sopra di lui. L’oscurità si disperse, permettendogli di vedere il sole sospeso proprio lì sopra.
Rand alzò lo sguardo su di esso. Poi sorrise. Infine proruppe in una risata fragorosa, vera e pura.
Era passato fin troppo tempo.
Epilogo
Immersi nella luce
Egwene lavorava alla luce di due lampade di bronzo. Erano a forma di donne che tenevano le mani sollevate in aria, con una fiamma che appariva in ciascun paio di palmi. La calma luce gialla si rifletteva sulle curve delle loro mani, braccia e facce. Erano i simboli della Torre Bianca e della Fiamma di Tar Valon? O erano invece rappresentazioni di Aes Sedai che intessevano Fuoco? Forse erano semplicemente vestigia del senso estetico di una precedente Amyrlin. Erano posate a entrambi i lati della sua scrivania. Una scrivania vera e propria, finalmente, con una vera sedia su cui sedersi. Era all’interno dello studio dell’Amyrlin, mondato da tutti quanti i riferimenti a Elaida. Questo lo lasciava spoglio, le pareti vuote, i pannelli di legno privi di dipinti o arazzi, i tavolini laterali senza opere d’arte. Perfino gli scaffali dei libri erano stati svuotati, per timore che qualcosa di Elaida potesse offendere Egwene.
Nel momento in cui Egwene aveva visto ciò che le altre avevano fatto, aveva ordinato che tutti gli effetti personali di Elaida venissero radunati e messi sotto chiave, sorvegliati da donne di cui Egwene si fidava. Nascosti tra quegli oggetti ci sarebbero stati indizi per i piani di Elaida. Poteva trattarsi di semplici annotazioni infilate fra le pagine dei libri, lasciate lì per essere riviste in seguito. Oppure potevano essere oscuri come connessioni fra i tipi di libri che leggeva o gli oggetti che aveva nei cassetti della scrivania. Ma non avevano Elaida in persona da interrogare, e non si poteva dire quali suoi piani sarebbero tornati a insidiare la Torre Bianca in seguito. Egwene intendeva passare in rassegna quegli oggetti, poi fare domande a tutte quante le Aes Sedai che erano state nella Torre e determinare quali indizi nascondevano.