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Surya, indurita in volto, spostò Tabi dietro di se come per proteggere la damane. Come se avesse potuto. Gli occhi chiari di Tabi erano sgranati dal terrore.

Falendre sollevò una mano implorante verso l’alto giovane. Verso il Drago Rinato, a quanto pareva. «Per favore. Riceveranno cure mediche non appena raggiungeremo Ebou Dar.»

«Lascia stare, Nynaeve» disse il giovane uomo. «Se non vogliono la Guarigione, non la vogliono.» La marath’damane gli scoccò un’occhiataccia, afferrandosi la treccia così forte da farle sbiancare le nocche. «La strada per Ebou Dar si trova a circa un’ora da qui, a est. Potete raggiungere la città per l’imbrunire, se procedete a ritmo serrato. Gli schermi sulle damane si dissiperanno in circa mezz’ora. È giusto per gli schermi intessuti con saidar, Nynaeve?» La donna lo guardò torvo in silenzio. «È giusto, Nynaeve?»

«Mezz’ora» rispose lei infine. «Ma nulla di questo è giusto, Rand al’Thor. Rimandare indietro queste damane. Non è giusto, e tu lo sai.»

Per un momento, gli occhi di lui furono ancora più freddi. Non più duri. Quello sarebbe stato impossibile. Ma in quel lungo istante parvero contenere caverne di ghiaccio. «Era facile scoprire cos’era giusto quando tutto quello che dovevo fare era badare a qualche pecora» replico lui piano. «Oggi è più difficile da capire, a volte.» Voltandosi, alzò la voce. «Logain, fa’ tornare indietro tutti quanti attraverso il passaggio. Sì, sì, Merise. Non sto cercando di darti ordini. Vuoi degnarti di unirti a noi, pero’? Presto si richiuderà.»

Le marath’damane, quelle che si dicevano Aes Sedai, iniziarono a sfilare attraverso quel folle buco nell’aria, come fecero gli uomini con le giubbe nere, gli Asha’man. Tutti si mischiavano con quei soldati dal naso adunco, diversi dei quali stavano finendo di legare Tanera alla sella del cavallo. Quegli animali erano stati forniti dal Drago Rinato. Che strano che elargisse loro dei doni, dopo quanto era accaduto.

Il giovane uomo dagli occhi duri si voltò di nuovo verso di lei. «Ripeti le tue istruzioni.»

«Devo tornare a Ebou Dar con un messaggio per i nostri capi lì.»

«La Figlia delle Nove Lune» disse il Drago Rinato in tono severo. «Consegnerai il mio messaggio a lei.»

Falendre barcollò. Non era in alcun modo degna di rivolgere la parola a un membro del Sangue, figurarsi alla Somma Signora, figlia dell’imperatrice, che potesse vivere per sempre! Ma l’espressione di quest’uomo non lasciava spazio a obiezioni. Falendre avrebbe trovato un modo. «Consegnerò il tuo messaggio a lei» proseguì Falendre. «Le riferirò che… che tu non le serbi rancore per questo attacco, e che desideri un incontro.»

«Desidero ancora un incontro» rimarcò il Drago Rinato.

Per quanto ne sapeva Falendre, la Figlia delle Nove Lune non era mai stata al corrente dell’incontro originario. Era stato predisposto in segreto da Anath. Ed era questo il motivo per cui Falendre sapeva per certo che quest’uomo doveva essere il Drago Rinato. Solo il Drago Rinato in persona poteva affrontare una dei Reietti e non solo sopravvivere, ma uscirne vincitore.

Era davvero questo che era stata Anath? Una dei Reietti? A Falendre girò la testa a quel pensiero. Impossibile. Eppure qui c’era il Drago Rinato. Se egli viveva, se si aggirava per il mondo, allora dovevano farlo anche i Reietti. Falendre sapeva di avere la mente annebbiata, che i suoi pensieri vagavano in cerchio. Represse il terrore: avrebbe fatto i conti con esso più tardi. Ora le occorreva avere il controllo di se.

Si costrinse a incontrare quelle gemme ghiacciate che quest’uomo aveva al posto degli occhi. Doveva preservare la dignità , anche solo per rassicurare le quattro sul’dam sopravvissute. E le damane, naturalmente. Se le sul’dam avessero perso di nuovo il loro autocontrollo, per le damane non ci sarebbe stata speranza.

«Le riferirò» disse Falendre, riuscendo a mantenere la voce calma «che desideri ancora un incontro con lei. Che credi che debba esserci pace fra i nostri popoli. E devo riferirle che lady Anath era… era una dei Reietti.»

Da un lato, vide alcune delle marath’damane che spingevano Anath attraverso il buco nell’aria. Lei manteneva una dignità solenne nonostante fosse prigioniera. Aveva sempre cercato di dominare coloro che la superavano in rango. Poteva davvero essere ciò che quest’uomo affermava?

«Noi dobbiamo avere la pace» ribadì il Drago Rinato. «Farò in modo che accada. Dì alla tua signora che può trovarmi nell’Arad Doman. Sederò gli scontri con le vostre forze là. Riferiscile che lo faccio come gesto di buona fede, proprio come per buona fede libero voi. Non c’è vergogna nell’essere manipolati da uno dei Reietti, in particolare non da… quella creatura. In un certo senso, ora riposo più tranquillo. Ero preoccupato che uno di loro si fosse infiltrato fra la nobiltà seanchan. Avrei dovuto capire che si trattava di Semirhage. Le sono sempre piaciute le sfide.»

Parlava dei Reietti con un incredibile senso di familiarità , e questo fece venire i brividi a Falendre.

Le lanciò un’occhiata. «Puoi andare» disse, poi si diresse verso lo squarcio nell’aria e lo attraversò. Cos’avrebbe dato Falendre per ottenere quella capacità di viaggio per Nenci. L’ultima delle marath’damane passò attraverso il foro ed esso si chiuse, lasciando sole Falendre e le altre. Erano un misero gruppetto. Talha stava ancora piangendo e Malian pareva sul punto di vomitare. Diverse delle altre avevano il volto insanguinato prima di poterlo lavare, e macchioline rosse e crosticine di sangue secco insozzavano ancora la loro pelle. Falendre era lieta di essere stata in grado di non accettare la Guarigione per loro. Aveva visto uno di quegli uomini Guarire dei membri del seguito del Drago. Chissà quale corruzione avrebbero trasmesso quelle mani contaminate a una persona.

«Siate forti» ordinò alle altre, sentendosi molto più incerta di quanto suonava. L’aveva davvero lasciata libera! Lei riusciva a malapena a sperarci. Meglio andarsene presto. Molto presto. Spronò le altre a montare sugli animali che il Drago aveva dato loro e, nel giro di pochi minuti, stavano cavalcando in direzione sud, verso Ebou Dar, e ogni sul’dam aveva a fianco la sua compagna damane.

A seguito degli eventi di questa giornata, avrebbero potuto privarla della sua damane e proibirle per sempre di usare l’a’dam. Senza Anath, la punizione sarebbe ricaduta su qualcun’altro. Cos’avrebbe detto la Somma Signora Suroth? Una damane morta, il Drago Rinato insultato.

Di certo non avere più accesso all’a’dam sarebbe stata la cosa peggiore che potesse accaderle. Non avrebbero reso da’covale una come Falendre, vero? Quel pensiero le provocò un nuovo attacco di bile.

Avrebbe dovuto spiegare gli avvenimenti di questa giornata con molta attenzione. Doveva esserci un modo per presentare l’accaduto in un modo tale da salvarle la vita.

Aveva dato la sua parola al Drago che avrebbe parlato direttamente con la Figlia delle Nove Lune. E l’avrebbe fatto. Ma poteva non essere in grado di farlo subito. Era necessaria una riflessione accurata. Molto accurata.

Si sporse in avanti vicino al collo del suo cavallo, spronandolo più avanti rispetto agli altri. In questo modo non avrebbero visto le lacrime di frustrazione, dolore e paura nei suoi occhi. Tylee Khirgan, tenente generale dell’Esercito Sempre Vittorioso, era in sella al cavallo sulla sommità di una collina boscosa, guardando verso nord. Questa terra era un luogo così diverso. La sua patria, Maram Kashor, era un’isola asciutta vicino alla punta sudest di Seanchan. Lì gli alberi di lumma erano mostri dritti e torreggiatiti, con fronde che spuntavano dalla cima come la cresta di capelli di un membro dell’Alto Sangue.

Le cose che passavano per alberi su questa terra a paragone non erano che arbusti nodosi e contorti. Le loro fronde erano come le dita di vecchi soldati, artritiche per gli anni passati a impugnare la spada. Come li chiamava la gente del luogo? Alberi pennello? Che strano. E pensare che i suoi antenati potevano essere giunti da questo luogo, viaggiando con Luthair Paendrag il Seanchan.