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Il suo esercito marciava lungo la strada sottostante, sollevando polvere nell’aria. Migliaia e migliaia di uomini. Meno di quanti ne aveva prima, ma non di molto. Erano passate due settimane dal suo scontro con gli Aiel, durante il quale il piano di Perrin Aybara aveva funzionato alla perfezione. Combattere accanto a un uomo come lui era sempre un’esperienza dolce-amara. Dolce per quella pura genialità. Amara per la preoccupazione che, un giorno, si sarebbero affrontati sul campo di battaglia. Tylee non era una persona a cui piacessero le sfide in uno scontro. Aveva sempre preferito essere certa della vittoria.

Alcuni generali sostenevano che non sforzarsi mai significava non essere mai costretti a migliorare. Tylee pensava che i miglioramenti per lei e per i suoi uomini avessero luogo sul campo di battaglia e preferiva lasciare gli sforzi ai suoi nemici.

Non le sarebbe piaciuto affrontare Perrin. No davvero. E non solo perché era affezionata a lui. Un lento scalpiccio di zoccoli risuonò sul terreno. Guardò di lato e vide Mishima condurre il proprio cavallo, un castrone chiaro, accanto al suo. Aveva l’elmo legato alla sella e il volto sfregiato era pensieroso. Che coppia che erano. Anche il volto di Tylee aveva la sua dose di vecchie cicatrici.

Mishima le rivolse il saluto, più rispettoso ora che Tylee era stata elevata al Sangue. Quel particolare messaggio, arrivato via raken, era stato inatteso. Era un onore a cui lei non si era ancora abituata.

«Stai ancora rimuginando sulla battaglia?» le chiese Mishima.

«Proprio così» confermò Tylee. Due settimane e ancora riempiva i suoi pensieri. «Tu cosa ne pensi?»

«Di Aybara, vuoi dire?» domandò Mishima. Le parlava ancora come un amico, anche se si asteneva dall’incontrare i suoi occhi. «E un bravo soldato. Forse troppo fisso, troppo concentrato sul suo obiettivo. Ma valido.»

«Sì» disse Tylee, poi scosse il capo. «Il mondo sta cambiando, Mishima. In modi che non possiamo prevedere. Prima Aybara, poi le stranezze.»

Mishima annuì pensieroso. «Gli uomini non vogliono parlarne.»

«Gli avvenimenti sono accaduti troppo spesso per essere frutto dell’immaginazione» disse Tylee. «Gli esploratori continuano a vedere qualcosa.»

«Gli uomini non scompaiono così» ribatte Mishima. «Pensi si tratti dell’Unico Potere?»

«Non so cosa sia» rispose lei. Guardò verso gli alberi tutt’attorno. Alcuni di quelli che aveva superato in precedenza avevano iniziato a mostrare segni di rinascita primaverile, ma di questi nessuno. Sembravano scheletrici, anche se l’aria era abbastanza calda per iniziare con la semina. «A Hamalak ci sono alberi come questi?»

«Non proprio come questi» rispose Mishima. «Ma ne ho visti di simili prima d’ora.»

«Non avrebbero dovuto germogliare ormai?»

Lui scrollò le spalle. «Sono un soldato, generale Tylee.»

«Non l’avevo notato» replicò lei in tono asciutto.

Lui grugnì. «Intendo dire che non presto attenzione agli alberi. Gli alberi non sanguinano. Forse avrebbero dovuto germogliare, forse no. Poche cose hanno senso da questa parte dell’oceano. Alberi che non germogliano in primavera sono soltanto un’altra stranezza. Meglio quello che altre marath’damane che si atteggiano come se fossero del Sangue, con tutti che si inchinano a loro e si comportano come leccapiedi.» Rabbrividì visibilmente.

Tylee annuì, ma non condivise la sua repulsione. Non del tutto. Non era certa di cosa pensare di Perrin Aybara e delle sue Aes Sedai, men che meno dei suoi Asha’man. E sugli alberi non ne sapeva molto più di Mishima. Ma a lei pareva che avrebbero dovuto iniziare a germogliare. E quegli uomini che i suoi esploratori continuavano a vedere nei campi, come potevano svanire così rapidamente, perfino con l’Unico Potere?

Il furiere oggi aveva aperto uno dei pacchi di razioni da viaggio e aveva trovato solo polvere. Tylee avrebbe dato il via alla ricerca del ladro o del burlone se il furiere non avesse insistito sul fatto che aveva controllato il pacco solo pochi istanti prima. Karm era un uomo valido; da anni era il suo furiere. Non commetteva errori.

Qui era così frequente che il cibo marcisse. Karm dava la colpa alla calura di questa strana terra. Ma le razioni da viaggio non potevano marcire o guastarsi, perlomeno non in modo così imprevedibile. Tutti i presagi erano funesti, questi giorni. Quello stesso giorno, lei aveva visto due ratti morti stesi sulla schiena, uno con la coda nella bocca dell’altro. Era il peggior presagio che avesse mai visto in vita sua, e solo ripensarci la raggelava.

Stava succedendo qualcosa. Perrin non era stato molto disposto a parlarne, ma Tylee vedeva che era oppresso. Sapeva molto più di quanto aveva detto.

Non possiamo permetterci di combattere questa gente, pensò, lira un’idea ribelle, una che non avrebbe osato rivelare a Mishima. Non osava nemmeno ponderarla. L’imperatrice, che potesse vivere per sempre, aveva ordinato che questa terra venisse riconquistata. Suroth e Galgan erano i condottieri scelti dall’imperatrice per quest’impresa, finche la Figlia delle Nove Lune non si fosse rivelata. Mentre Tylee non poteva conoscere i pensieri della Somma Signora Tuon, Suroth e Galgan erano uniti nel loro desiderio di vedere questa terra soggiogata. Praticamente era l’unica cosa su cui erano d’accordo.

Nessuno di loro avrebbe dato retta a suggerimenti di cercare alleati fra la gente di questa terra, piuttosto che nemici. Rifletterci era qualcosa di prossimo al tradimento. All’insubordinazione, perlomeno. Sospirò e si voltò verso Mishima, pronta a dare ordine di iniziare a cercare un posto dove accamparsi per la notte.

Si immobilizzo. Il collo di Mishima era trapassato da una freccia, una saetta maligna e spinata.

Non l’aveva sentita colpire. Lui incontrò i suoi occhi, sbalordito, cercando di parlare e gorgogliando solo sangue. Scivolò di sella e cadde in modo scomposto mentre qualcosa di enorme caricava attraverso il sottobosco accanto a Tylee, spezzando rami nodosi e avventandosi su di lei. Ebbe a malapena il tempo di estrarre la spada e urlare prima che Duster — un buon cavallo da guerra robusto che non l’aveva mai tradita in battaglia — si impennasse per il panico, scagliandola a terra.

Probabilmente fu quel lo a salvarle la vita, dal momento che il suo assalitore vibrò una spada dalla lama spessa, tagliando la sella dove poco prima si trovava Tylee. Si rimise in piedi, con l’armatura che sferragliava, e gridò l’allerta. «Allarme! Ci attaccano!»

La sua voce si unì a centinaia che gridavano la medesima cosa praticamente allo stesso tempo. Gli uomini urlavano, i cavalli nitrivano.

Un’imboscata, pensò lei, sollevando la spada. E noi ci siamo finiti proprio in mezzo! Dove sono gli esploratori? Cos’è successo?

Si lanciò verso l’uomo che aveva tentato di ucciderla. Quello ruotò sbuffando.

E per la prima volta Tylee vide che cos’era. Non proprio un uomo; piuttosto una qualche creatura dalle fattezze contorte, con la testa ricoperta di ispidi capelli bruni e la fronte troppo ampia corrugata. Quegli occhi erano inquietanti, da quanto sembravano umani, ma il naso al di sotto era schiacciato come quello di un cinghiale e dalla bocca sporgevano due zanne prominenti. La creatura le ruggì contro, le sue labbra quasi umane sputacchiavano saliva. Sangue dei miei Padri Dimenticati, pensò lei. In cosa ci siamo imbattuti?

Quel mostro era un incubo a cui era stato dato un corpo e poi era stato lasciato libero di uccidere. Era una cosa che lei aveva sempre liquidato come superstizione.

Caricò la creatura, deviando di lato la sua spessa spada mentre cercava di attaccare. Tylee ruotò, cadendo in ‘percuotere gli arbustì e separò il braccio della bestia dalla spalla. Colpì di nuovo, e la testa spiccata di netto si unì al braccio sul terreno. L’essere barcollò, riuscendo in qualche modo a percorrere altri tre passi prima di crollare.

Gli alberi frusciarono allo spezzarsi di altri rami. Giù lungo il pendio, Tylee vide che centinaia delle creature erano sbucate dal sottobosco, attaccando i suoi uomini nel centro della formazione, creando il caos. Un numero sempre maggiore di quei mostri si riversava fra gli alberi.