Com’era potuto succedere? Come avevano fatto queste cose ad arrivare così vicino a Ebou Dar? Erano ben all’interno del perimetro difensivo seanchan, solo a un giorno di marcia dalla capitale.
Tylee caricò giù per la collina, chiamando a gran voce la sua scorta mentre altre di quelle bestie uscivano ruggendo dagli alberi dietro di lei.
Graendal oziava in una stanza di pietra fiancheggiata da uomini e donne adoranti. Ciascuno di loro era un esemplare perfetto, e ognuno indossava poco più di una veste di diafano tessuto bianco. Un fuoco caldo bruciava nel camino, illuminando un elegante tappeto color rosso sangue. Quel tappeto era intrecciato con un disegno di giovani uomini e donne aggrovigliati in modi che avrebbero fatto arrossire perfino un’esperta cortigiana. Le finestre aperte lasciavano entrare la luce pomeridiana, e la posizione elevata del suo palazzo le offriva un panorama di pini e di un lago scintillante al di sotto.
Sorseggiava succo di dolcesetola, indossando un abito celeste di foggia domanese: le piaceva sempre più la loro moda, anche se il suo vestito era molto più trasparente di quelli che indossavano loro. Questi Domanesi erano troppo amanti dei sussurri mentre Graendal preferiva un bell’urlo chiaro. Prese un altro sorso di succo. Com’era interessante quel sapore amarognolo. Era qualcosa di esotico durante quest’Epoca, dal momento che ora quegli alberi crescevano solo su isole lontane.
Senza preavviso, nel centro della stanza un passaggio turbinò e si aprì. Lei imprecò sottovoce quando uno dei suoi tesori più preziosi — una donna di nome Thurasa, un membro del consiglio dei Mercanti domanese — quasi perse un braccio per quel motivo. Il passaggio fece entrare una calura soffocante che guastò il miscuglio perfetto di gelida aria montana e calore del caminetto che lei aveva predisposto.
Graendal mantenne la propria compostezza, costringendosi a reclinarsi nella sedia di velluto fin troppo imbottita. Un messaggero nerovestito entrò attraverso il portale e lei seppe cosa voleva prima che parlasse. Solo Moridin sapeva dove trovarla, ora che Sammael era morto.
«Mia signora, la tua presenza è richiesta da…»
«Sì, sì» disse lei. «Mettiti dritto e lasciati guardare.»
Il giovane rimase immobile, appena due passi all’interno della stanza. E accidenti quant’era attraente! Capelli dorati così rari in molte parti del mondo, occhi verdi che scintillavano come stagni ricoperti di muschio, una figura snella e tesa coi muscoli giusti. Graendal schioccò la lingua. Moridin stava cercando di tentarla inviando il suo servitore più grazioso oppure quella scelta era del tutto accidentale?
No. Fra i Prescelti non c’era nulla di accidentale. Graendal per poco non protese un flusso di Coercizione per prendere il ragazzo per se. Però si trattenne. Una volta che un uomo aveva conosciuto un tale livello di Coercizione, diventava irrecuperabile, e Moridin si sarebbe potuto adirare. Graendal faceva bene a preoccuparsi dei capricci di quell’uomo. Non era mai stato equilibrato, nemmeno nei primi tempi. Se lei aveva intenzione di diventare Nae’blis un giorno, era importante non irritarlo finche non fosse giunto il momento di colpire.
Distolse la sua attenzione dal messaggero — se non poteva averlo, non era interessata a lui — e guardò attraverso il passaggio aperto. Odiava essere costretta a incontrarsi con altri Prescelti secondo i loro termini. Odiava lasciare la sua roccaforte e i suoi prediletti. Soprattutto, odiava essere obbligata a prostrarsi davanti a uno che sarebbe dovuto essere un suo subordinato. Ma non c’era nulla da fare. Moridin era Nae’blis. Per ora. E questo voleva dire che, odio o meno, Graendal non aveva altra scelta se non rispondere alla sua convocazione. Mise da parte il suo succo, poi si alzò e attraversò il passaggio, con il suo diafano abito celeste che scintillava per i ricami dorati.
Dall’altra parte del passaggio faceva un caldo sconcertante. Graendal intesse all’istante Aria e Acqua, raffreddando l’aria attorno a se. Si trovava in un edificio di pietra nera, con una luce rossastra che penetrava dalle finestre. Non avevano vetri. Quella tinta rossastra lasciava intendere un tramonto, ma nell’Arad Doman era a malapena metà pomeriggio. Non poteva aver viaggiato così lontano, vero?
La stanza era ammobiliata solo con sedie del legno più scuro. Di certo Moridin mancava di immaginazione, di recente. Ogni cosa era nera e rossa, e lui era tutto concentrato sull’uccisione di quegli sciocchi ragazzi del villaggio di Rand al’Thor. Era lei l’unica a capire che proprio al’Thor rappresentava la vera minaccia? Perche semplicemente non ucciderlo e farla finita?
La risposta più ovvia a quella domanda — che finora nessuno di loro si era rivelato abbastanza forte da sconfiggerlo — era qualcosa su cui non voleva soffermarsi a riflettere.
Si diresse verso la finestra e trovò il motivo di quella luce color ruggine. Fuori, il terreno argilloso era macchiato di rosso per il ferro nel suolo. Lei si trovava al secondo livello di una torre di un nero profondo, con le pietre che attingevano il calore bruciante del cielo. Pochissima vegetazione germogliava lì fuori, e quella poca era macchiata di nero. Dunque era all’interno della Macchia, nella parte nordorientale. Era passato diverso tempo dall’ultima volta che era stata qui. A quanto pareva, Moridin era riuscito a individuare una fortezza, addirittura. All’ombra della fortezza sorgeva un insieme di misere capanne, e poche chiazze di raccolti deformati dalla Macchia contrassegnavano i campi in lontananza. Probabilmente stavano provando una nuova varietà , cercando di farla crescere nella zona. Forse parecchie varietà diverse, cosa che avrebbe spiegato le chiazze. Delle guardie si aggiravano per l’area, indossando uniformi nere nonostante il caldo. I soldati erano necessari per respingere gli attacchi della varia Progenie dell’Ombra che abitava la terra così in profondità dentro la Macchia. Quelle creature non obbedivano ad alcun padrone, eccezion fatta per il Signore Supremo in persona. Perche mai Moridin si era spinto fin qui?
La sua riflessione venne interrotta quando dei rumori di passi annunciarono altri arrivi. Demandred entrò attraverso la porta a sud, accompagnato da Mesaana. Erano arrivati assieme, allora? Supponevano che Graendal non sapesse della loro piccola alleanza, un patto che includeva Semirhage. Ma in tutta onestà , se volevano che rimasse un segreto, non riuscivano a capire che non avrebbero dovuto rispondere a una convocazione assieme? Graendal nascose il proprio sorriso mentre rivolgeva un cenno col capo ai due, poi scelse la sedia più grande e dall’aspetto più confortevole e vi si accomodò. Fece scorrere un dito lungo il legno liscio e scuro, percependo le venature sotto la vernice. Demandred e Mesaana la scrutarono con sguardi freddi, e lei li conosceva abbastanza bene da cogliere tracce del loro stupore nel vederla. Ma pensa. E così loro avevano previsto questo incontro, eh? Ma non che Graendal sarebbe stata presente… Meglio fingere di non essere confusa a sua volta. Rivolse a entrambi un sorriso scaltro e colse un guizzo di rabbia negli occhi di Demandred.
Quell’uomo la frustrava, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce. Mesaana era nella Torre Bianca, fingendosi una di quelle che in quest’Epoca passavano per Aes Sedai. Era così ovvia e facile da decifrare: gli agenti di Graendal nella Torre Bianca la tenevano ben informata sulle attività di Mesaana. E ovviamente anche l’alleanza che Graendal stessa aveva appena forgiato con Aran’gar era utile. Aran’gar stava giocando con le Aes Sedai ribelli, quelle che stavano assediando la Torre Bianca.
Sì, Mesaana non la disorientava e gli altri erano altrettanto facili da spiare. Moridin stava radunando le forze del Signore Supremo per l’Ultima Battaglia, e i suoi preparativi militari gli lasciavano pochissimo tempo per il Sud, anche se le sue due tirapiedi, Cyndane e Moghedien, di tanto in tanto mostravano le loro facce lì. Trascorrevano il loro tempo radunando Amici delle Tenebre e ogni tanto cercando di attenersi agli ordini di Moridin che i due ta’veren — Perrin Aybara e Matrim Cauthon — venissero uccisi.