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Una voce umana femminile da una radio: «Proprio come pensavo. Niente di complicato — ovviamente chi lo ha progettato ha dato per scontato che nessuno avrebbe mai tentato di disattivare il congegno a distanza di Kelkad da quella postazione. Ora usi il voltometro che le ho dato…»

La voce umana e il Tosok si consultarono per una decina di minuti. Alla fine la voce umana disse: «Okay, tagli il filo blu.»

Il Tosok esitò. «Naturalmente» disse la voce tradotta «c'è una piccola possibilità che staccando la linea io faccia partire l'arma. Suppongo sia opportuno dire le ultime parole, in caso dovesse accadere.» Una pausa. «Che ve ne pare di 'Puoi scegliere i tuoi amici, ma non i tuoi vicini'?»

Nelle immagini riapparvero le mani. Questa volta il Tosok impugnava dei piccoli strumenti e l'inquadratura tornò sulla scatola rossa. «Eccoci qui…» Uno degli strumenti tagliò quello che sembrava un cavo a fibre ottiche che arrivava alla scatola.

«L'arma non ha scaricato il colpo» disse la voce Tosok.

«Ora il comando a distanza dovrebbe essere disattivato» disse la voce umana.

Nella hall del sesto piano, Torbat disse: «Hask morirà per il suo tradimento.»

Come se ci fosse un copione, la voce registrata aggiunse: «Come direste voi umani, questa va sui libri di storia. Quindi credo che dovrei farmi una bella inquadratura.» L'immagine si oscurò e la mano afferrò la videocamera. Si sentì lo scatto dell'apparecchio che si staccava dalla tuta. L'immagine ruotò velocemente e mostrò il Tosok…

«Seltar!» disse Kelkad. Il suono della parola non tradotta era leggermente diverso. «Kestadt pastalk getongk!»

«Se significa 'pensavo che fossi morta!'» disse Perez di gusto «allora c'è un'altra cosa in arrivo.»

«Questo dovrebbe bastare» disse Seltar, sul video. «Potete procedere con l'arresto degli altri.»

Michaelson spense il videoregistratore. L'immagine tornò sui programmi televisivi, con La ruota della fortuna.

«Ora,» disse Perez «chi di voi è Dodnaskak?»

Una mano anteriore si alzò docilmente.

«Dodnaskak, lei ha il diritto di rimanere…»

«Dov'è Hask?» disse Kelkad.

«Non si preoccupi di questo» disse Perez.

«È qui, vero?»

«Non ha importanza» disse Perez. «Le consiglio di non dire nulla fino a quando non avrà consultato un avvocato.»

«È qui» disse Kelkad. Gli orifizi da cui respirava si dilatarono. «Sento il suo odore.»

«Rimanga dov'è, Kelkad.» Perez fece un cenno a uno degli agenti, che mise la mano sulla fondina.

«Non mi minacciare, umano.»

«Non posso permetterle di andarsene» disse Perez.

«Abbiamo sopportato abbastanza la vostra stupidità primitiva» disse Kelkad. Iniziò a camminare all'indietro, con gli occhi frontali fissi su Perez.

«Fermo Kelkad!» gridò Perez. Michaelson tirò fuori la pistola. Un istante dopo gli altri quattro agenti fecero lo stesso. «Fermo o spariamo!»

«Non ucciderete un ambasciatore» disse Kelkad, che con i suoi lunghi passi era praticamente arrivato all'ascensore.

«Abbiamo la facoltà di usare la forza con quelli che resistono all'arresto» disse Perez.

Michaelson aveva Kelkad sotto tiro, gli altri quattro avevano puntato sui cinque Tosok, che stavano perfettamente immobili, tranne i ciuffi — che si muovevano come spighe di grano agitate dal vento.

«So che Hask è in questo edificio» disse Kelkad «e dovrà rispondermi di tutto ciò.»

«Non faccia un altro passo» disse Perez.

Michaelson spostò leggermente la mira, sui pulsanti per chiamare l'ascensore. Sparò un solo colpo. Il rumore fu forte, e la pistola fece una piccola fiammata. I pulsanti dell'ascensore esplosero in una pioggia di scintille.

«Lei è il prossimo» disse Michaelson, puntando di nuovo la pistola su Kelkad.

«Molto bene» disse Kelkad. Si fermò, e iniziò a sollevare la mano anteriore verso il soffitto. Anche quella posteriore, nascosta dal corpo, doveva essersi alzata, perché appena la mano ripassò sulla testa a cupola, Perez si accorse che le quattro dita stringevano un oggetto bianco e lucido.

Nel palmo di Kelkad si vide un lampo di luce, e si udì un suono forte, come di un foglio di metallo che si piegava. Michaelson venne scaraventato contro il muro. Perez si girò. Un buco netto, forse di tre centimetri, in mezzo al torace dell'uomo. Il cadavere stava scivolando sul pavimento, lasciando una lunga scia di sangue sul muro dietro di sé.

Quattro lampi veloci, quattro suoni di alluminio, e gli altri quattro agenti erano morti. «Non mi costringa a uccidere anche lei, detective Perez» disse Kelkad. «Pensava che dopo l'attentato ad Hask me ne sarei andato in giro disarmato?»

Perez si abbassò immediatamente a raccogliere la pistola di Miachaelson, che era ormai sul pavimento. Il tempo di prenderla e Kelkad era già sparito giù per l'ala destra dell'edificio. Perez scivolò di lato, tenendo l'arma puntata sui cinque Tosok, che sembravano disarmati. Prese la pistola di un altro agente. Un'altra arma però era finita vicino a uno dei Tosok. Perez non poteva raggiungerla senza esporsi a un assalto fisico e non poteva rincorrere Kelkad senza che gli altri Tosok prendessero quella e gli altri due revolver. Perez infilò una delle pistole nella cinta dei pantaloni e, tenendo l'altra puntata sui Tosok, afferrò il cellulare con la sinistra per chiamare rinforzi.

Hask era nella sua stanza al secondo piano della Valcour Hall, e stava portando via i suoi effetti personali. Con gli altri Tosok in prigione, non aveva molto senso che lui continuasse a vivere in quel residence gigante, che oltre tutto serviva alla USC per altri scopi.

Era abbastanza brutto essere un traditore del proprio popolo e sapere che non avrebbe mai rivisto la propria casa, ma almeno i suoi pochi oggetti lo avrebbero aiutato a ricordare il passato. Prese il disco lostartd che aveva decorato la sua stanza. La crepa al centro, dove le due metà erano state incollate, era visibile solo tenendolo inclinato alla luce. Preparò con cura la valigia che Frank gli aveva dato, avvolgendola in due delle sue tuniche per proteggerla.

All'improvviso sentì uno sparo. Veniva dal piano di sopra. I suoi quattro cuori presero a martellargli in modo asincrono — il rumore gli ricordava il colpo che lo aveva ferito sul prato davanti all'edificio. Qualche istante dopo sentì cinque scariche di un'arma da fuoco Tosok. Dio — uno di loro doveva aver portato con sé un'arma! Hask non aveva pensato che potessero esserci armi a bordo; dopo tutto, non si prevedeva alcun contatto diretto con gli alieni.

Collegò gli spari ai fatti. Gli altri Tosok stavano opponendo resistenza all'arresto. Il suo udito sensibile percepì un altro suono, lontano — l'eco di passi Tosok sul cemento. Uno degli altri stava venendo giù per le scale.

Gli spari dell'arma Tosok erano stati cinque — presumibilmente ora c'erano cinque umani morti. E il Tosok armato stava venendo a prendere lui.

Valcour Hall era grande. Se Kelkad — chi se non il capitano poteva avere un'arma? — era al sesto piano, doveva scenderne quattro. Il suono veniva chiaramente dalle scale in fondo all'altra ala dell'edificio; questo significava che doveva anche percorrere l'intero piano per raggiungere la stanza di Hask.

Pensò a una via di fuga, rompendo il vetro della finestra e saltando giù. La gravità sulla Terra era minore di quella del suo mondo; era un bel volo, ma probabilmente poteva sopravvivere. Poi avrebbe dovuto tentare di fuggire attraversando il campus. Ma l'arma aveva una gittata di diverse centinaia di chilometri — Kelkad non avrebbe avuto difficoltà a prenderlo. No, no. Doveva rimanere lì.

Ora Hask conosceva le leggi umane: stava per essere attaccato con un'arma ad altissima potenza, e credeva onestamente che la sua vita fosse in pericolo. Quindi era autorizzato a rispondere con forza micidiale.