Se solo avesse avuto un'arma…
Il capitano Kelkad percorse una rampa di scale dopo l'altra. Fu diverse volte sul punto di perdere l'equilibrio; gli scalini umani erano troppo corti per lui, e il corrimano era inutilizzabile. Ma continuò a scendere fino a quando raggiunse il secondo piano. Con la mano spinse la maniglia a sbarra che teneva chiusa la porta. Fece un passo indietro, rimanendo protetto dalla porta. Si guardò intorno: nessun segno di Hask, né di altri. Si fermò un attimo. Gli orifizi per la respirazione si contraevano per gli spasmi, inghiottendo aria e odori. Sentiva i feromoni di Hask. Doveva essere nella sua stanza, dall'altra parte del piano.
Il posto giusto per la morte di un traditore.
C'era voluto un minuto per prepararsi, ma ora Hask era pronto. Sentiva il passo deciso di Kelkad che veniva giù per il corridoio perpendicolare. Hask guardò fuori della porta. A dieci metri di distanza c'era una delle porte di vetro e metallo che normalmente servivano ad attutire i rumori; quando la Valcour Hall si sarebbe riempita di studenti, sarebbe stata utile qualsiasi cosa in grado di isolare i suoni. La porta era rimasta quasi sempre aperta, nel periodo in cui i Tosok avevano utilizzato la struttura; sotto c'era un fermo di legno a tenerla.
Sicuramente Kelkad sapeva che Hask non era armato; a giudicare dal suono, stava arrivando a tutta velocità. Ma Hask conosceva bene il suo capitano: non avrebbe fatto fuoco subito. Prima avrebbe voluto confrontarsi con Hask, accusandolo di essere un traditore…
Improvvisamente nella hall tra le due ali dell'edificio comparve Kelkad. Hask si schiacciò contro la parete della sua stanza, tenendo solo la testa fuori, per guardare. Quando cambiava direzione Kelkad perdeva velocità ma ben presto arrivò nel corridoio, sapendo che non aveva molto tempo e che altri agenti di polizia stavano sicuramente precipitandosi al campus.
«Hask» gridò Kelkad. Uno dei vantaggi di avere canali separati per le bocche e l'apparato respiratorio era che poteva parlare pur essendo senza fiato. «Distalb! Traditore! Sei un…»
Aprì la porta in mezzo alla hall, e all'improvviso smise di parlare.
L'impeto di Kelkad — tutta quella rabbia, la velocità, e la massa — lo portò dall'altro lato della porta.
Proseguì per un metro circa oltre la soglia e poi iniziò a barcollare…
… Iniziò a cadere a pezzi da tutte le parti, come un blocco di costruzioni fatto da un bambino…
… Cubi di carne ossa e muscoli, coperti di sangue rosa, cadevano a terra — alcuni addirittura rimbalzavano…
Hask uscì dalla sua stanza e andò verso i pezzi che prima erano stati il suo capitano. Alcune parti pulsavano, ma la maggior parte giaceva completamente immobile.
Naturalmente non c'era molto sangue; le valvole delle arterie e delle vene funzionavano ancora, anche dopo la morte.
Con la mano posteriore Hask si toccò il ciuffo, sentendolo ondeggiare di sollievo. Guardò il telaio della porta e l'arnese da taglio attaccato con la Krazy Glue sulla parte sinistra dello stipite a circa un metro da terra. Si vedevano anche dodici granelli blu incollati sul lato dello stipite, sull'architrave e sulla soglia di metallo alla base della porta. Ciò che non si vedeva era il monofilamento stesso, teso in una griglia di linee orizzontali e verticali da un lato all'atro della porta.
Le parole del suo caro amico Cletus Calhoun gli tornarono in mente. «Taglia!» diceva Clete. «Trita!»
Era davvero così.
Hask si guardò la mano anteriore. Si era tagliato un dito nella fretta di costruire la sua trappola. Ma col tempo il dito sarebbe ricresciuto.
Hask sentì altri rumori: il suono delle sirene che si avvicinavano. Presto la polizia sarebbe stata lì.
Almeno per questo crimine sapeva che non sarebbe stato condannato.
38
C'era ancora il problema del processo: lo Stato della California ys. Hask. Dopo l'arresto degli altri Tosok, Hask e Seltar avevano reso pubblica la loro storia, e Hask tornò al banco dei testimoni per raccontarla tutta. Ormai non c'era alcun dubbio che avesse ucciso Cletus Calhoun — Dale si era sbagliato credendo che Seltar fosse direttamente coinvolta.
Linda Ziegler fece la sua arringa conclusiva, Dale seguì con una appassionata richiesta di clemenza, poi — come consentiva la legge californiana — Ziegler ebbe l'ultima parola, presentando un'arringa che ricordava ai giurati che Cletus Calhoun era morto, e che a prescindere da qualsiasi altra cosa qualcuno doveva pagare per quel crimine.
Alla fine il giudice Pringle ricordò alla giuria le istruzioni penali per i Giurati dello Stato della California. «Signore e signori della giuria,» iniziò «avete ascoltato tutte le argomentazioni degli avvocati, e ora è mio dovere istruirvi sul modo in cui la legge si applica a questo caso. Avrete queste istruzioni in forma scritta per usarle come riferimento durante le vostre deliberazioni. Dovete basare la vostra decisione sui fatti e sulla legge.
«Avete due compiti da eseguire. Primo, dovete determinare i fatti in base alle prove presentate durante il processo e non in base ad altre fonti. Un 'fatto' è qualcosa che è stato direttamente o circostanzialmente provato o convenuto in un accordo tra i legali in relazione agli eventi.
«Secondo, quando avrete stabilito i fatti dovete applicare la legge come io vi indico, e arrivare così al vostro verdetto.
«Fate bene attenzione: dovete accettare e seguire la legge come io ve la indico, che siate o meno d'accordo. Se c'è qualcosa relativo alla legge detto dagli avvocati durante i loro dibattimenti o in altro momento del processo che è in contrasto con la mia spiegazione delle leggi, dovete seguire le mie direttive.»
Le istruzioni della giuria impegnarono gran parte del pomeriggio, poi finalmente si conclusero:
«Ora dovete ritirarvi» disse Drucilla Pringle con voce ormai rauca «e scegliere uno di voi che agisca come rappresentante, che presiederà le vostre deliberazioni. Per raggiungere il verdetto, tutti e dodici i giurati devono concordare sulla decisione. Non appena sarete d'accordo sul verdetto, in modo che ognuno possa dichiarare che esso esprime il suo voto, fate datare e firmare i documenti dal vostro rappresentante e tornate in aula.»
«E se la giuria delibera per una condanna?» chiese Dale. Lui e Frank erano tornati nel suo ufficio; non c'era modo di sapere quante ore o quanti giorni ci sarebbero voluti perché la giuria deliberasse. Hask era fuori a passare quelle che potevano essere le sue ultime ore di libertà con Seltar.
«Andiamo in appello, no?» disse Frank.
Dale sospirò. «Tutti dicono così. Ma, lo sai, non possiamo fare appello contro un verdetto della giuria di per sé. Non sono soggetti a nessun tipo di revisione. Si ottiene un appello solo se il giudice ha fatto un errore. Ma in questo tipo di processo, deve trattarsi di un errore nelle leggi. Se Pringle avesse accolto obiezioni che andavano respinte, se avesse negato il permesso di presentare prove che doveva concedere, o se le sue istruzioni alla giuria fossero state sbagliate, allora potremmo ottenere un'udienza di appello — ma questo non garantisce che il verdetto venga cambiato.»
«Oh» disse Frank. «Si parla sempre di appelli. Pensavo che avessimo automaticamente un'altra possibilità.»
«No. È per questo che ho fatto la domanda: che facciamo se il verdetto dice che è colpevole?»
«Non lo so» disse Frank. «Qualche idea?»
«Sì. Parla col tuo capo.»
«Come dici, scusa?»
«Ci sono solo due persone in questo mondo che sono più potenti di quella giuria. Una è il governatore della California, e l'altra è il presidente degli Stati Uniti.»