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Leif Davidsen

Quando il ghiaccio si scioglie

A Ulla, per l’amore e tutto il resto

Parte Prima

1

Non puoi mai sapere quando il mondo sta per crollarti addosso e per stravolgerti la vita, che da serena e prevedibile di colpo si trasforma in un brutto sogno in cui ti sembra di correre al rallentatore senza avanzare di un solo passo. Ti sforzi di svegliarti e di tornare alla realtà, ma la realtà è un incubo.

All’epoca dei fatti che sto per raccontare ero ormai vicino ai cinquant’anni. Mi sentivo all’apice dell’esistenza. Ero soddisfatto, sicuro di me, saldamente ancorato alle mie abitudini. Avevo trovato l’amore, anche se in ritardo, e avevo una figlia meravigliosa.

Tutto cominciò con un bip del cellulare.

Stavo sdraiato a pancia in giù sulle rocce bollenti, la testa protetta da un cappello bianco. Attraverso la T-shirt chiara e i blue-jeans, il sole della Costa Brava mi scottava la pelle. Sotto di me, la caletta era deserta, accessibile solo dal mare. Manteneva le promesse dei depliant turistici: alcuni chilometri a sud del confine franco-spagnolo, un angolo appartato, incantevole e incontaminato, lontano anni luce dal vivace turbinio dell’affollatissima riviera balneare. Il mare si stendeva turchino e abbacinante come in una cartolina ritoccata al computer. Qualche barca a vela avanzava nella brezza e due costosi motoscafi tracciavano scie bianche nell’acqua. Uno correva veloce parallelo alla riva, l’altro cambiò bruscamente rotta e rallentò puntando verso la caletta. Era un grosso, scintillante venti piedi bianco dalla linea affusolata. Sul ponte era sdraiata una ragazza completamente nuda, eccetto che per un paio di occhiali da sole Ray-Ban.

Il ministro era al timone, a torso nudo, con disinvoltura dirigeva la barca verso la spiaggetta. Evidentemente conosceva bene quel tratto di mare.

Da vent’anni facevo il paparazzo, vivevo dell’insaziabile curiosità della gente per la vita dei ricchi e famosi. Per le loro debolezze, le disgrazie, gli scandali e gli errori. E non mi spiegavo il fatto che tanti personaggi importanti fossero disposti a giocarsi carriera, matrimonio e reputazione in cambio di un po’ di sesso con la bambolina di turno. Che fossero tanto sicuri della propria invulnerabilità da rischiare tutto, pur di riaffermare la propria virilità agli occhi del mondo, trascurando il semplice fatto che ovunque c’è un segreto, c’è qualcuno disposto a venderlo.

Mi trovavo in Costa Brava in seguito a una dritta ricevuta alcune settimane prima. Negli anni mi ero costruito una efficientissima rete di informatori in grado di tenermi aggiornato sugli spostamenti dei vip del pianeta. Avevo trascorso gli ultimi quindici giorni impegnato in preparativi e stavo constatando con piacere che le informazioni raccolte dal mio collaboratore erano dettagliate e precise.

Il rombo del motore cessò e l’uomo si sporse per gettare l’ancora. Posizionai la macchina. Era nuova di zecca, un vero gioiello di tecnologia computerizzata. Avevo scelto un teleobbiettivo da 400 mm e vedevo chiaramente le mie due vittime inquadrate nel mirino. Lei era sulla ventina, dal volto vagamente familiare, il corpo lucido e abbronzato. Un corpo femminile perfetto, simile a quelli che si muovevano ancheggiando lungo tutta la costa, da St. Tropez fino a Marbella, attirando uomini ricchi e potenti di mezza età come la carne attira le mosche. Pigiai l’indice sudato sul pulsante e scattai una prima serie di immagini. Poi allargai l’inquadratura in modo che comprendesse sia la ragazza, sia il ministro alle sue spalle. Lui era sui cinquanta, molto abbronzato, con il viso rasato di fresco e capelli neri ancora folti. Aveva braccia e spalle robuste, ma il ventre stava cedendo a un’incipiente pancetta. Mentre osservava la donna sorrise, rivelando denti bianchissimi e regolari.

Disse qualcosa alla donna lanciandole un paio di sandali di plastica. Lei li prese al volo, se li infilò, poi si tolse gli occhiali e afferrati maschera e boccaglio si lasciò scivolare in mare. Continuai a scattare mentre il sedere meravigliosamente tondo della ragazza affiorava in superficie per poi sparire di nuovo tra i flutti con la grazia di un delfino.

L’uomo slegò un canotto dal ponte, lo calò in mare e remando raggiunse la spiaggia. Tirò il canotto in secco, prese un telo, lo stese sulla sabbia e poi ci posò sopra un cesto da picnic dal quale sporgeva il collo affusolato di una bottiglia. La donna si avvicinò a nuoto, quindi lanciò boccaglio e maschera sulla spiaggia. Chiamò il ministro per nome e lui non si fece pregare. Si tuffò e in poche, misurate bracciate le fu accanto.

Inserii un nuovo rullino e scattai un’inquadratura dopo l’altra della coppia in acqua. Giocavano come due bambini, fra gli spruzzi colorati dai raggi del sole. A un tratto registrai una sensazione pungente, fastidiosa: era la coscienza che mi rimordeva, oppure soltanto invidia? Scacciai quel pensiero e tornai a concentrarmi su diaframma, otturatore, fuoco, definizione. La ragazza gli sfilò il costume, che si allontanò galleggiando come una grossa medusa rossa. Prendendola per le spalle, lui la sollevò sopra il livello dell’acqua e le baciò i seni. Cambiai macchina e scattai una nuova serie. Lui si immerse, si infilò in mezzo alle gambe della ragazza e la proiettò in alto. Il corpo di lei ricadde all’indietro descrivendo un ampio arco di spruzzi dorati. Lei gli cinse il collo con le braccia e serrò le lunghe gambe snelle attorno ai suoi fianchi. Era un’immagine bellissima, traboccante sensualità.

Scattai un altro paio di rullini mentre la coppia tornava a riva e riprendeva ad amoreggiare sull’asciugamano. Le foto adesso erano quasi pornografiche, non più erotiche, e più difficilmente vendibili. L’esperienza mi diceva che la foto migliore, quella che con un po’ di fortuna avrebbe ingrassato le mie tasche di centomila dollari nell’arco del prossimo paio d’anni, sarebbe stata quella più sottilmente, anche se inequivocabilmente, erotica.

Dopo l’amplesso, i due si allungarono al sole con espressione beata. Erano perfettamente a loro agio nella loro nudità, vittime ignare del sofisticatissimo teleobbiettivo giapponese che catturava la loro felicità fissandola per sempre per gli occhi del mondo intero.

Il ministro si issò a sedere e cominciò a spalmare il corpo della ragazza d’olio solare. Le prese i piedi tra le mani per massaggiarglieli lentamente. Forse, nonostante i sandali, l’aculeo di un riccio si era infilato nella pelle delicata dei piedini di lei, che adesso sedeva sostenendosi con le braccia tese all’indietro, lo sguardo perso nel vuoto. Aveva un’espressione tranquilla e appagata, e sorrise maliziosa quando lui si infilò il suo alluce in bocca per succhiarlo con trasporto, come un bambino che assaggiasse una caramella particolarmente squisita.

Soddisfatto, decisi che era tempo di allontanarmi per concedere ai due un po’ di intimità. Fu allora che il cellulare trillò nella borsa posata sulle rocce accanto a me. Subito pensai che era impossibile che dalla spiaggia potessero udire quel discreto bip bip. Ma forse gli uomini potenti devono il loro successo a una sorta di sesto senso, alla straordinaria abilità di annusare il pericolo e di agire immediatamente per neutralizzarlo. Apparentemente travolto dalla passione, il ministro non aveva in realtà abbassato la guardia. Alzò la testa nello stesso istante in cui il mio telefono iniziò a squillare, e strizzando gli occhi puntò lo sguardo verso il costone roccioso su cui ero appostato. Infilai la mano nella borsa mentre anche l’uomo allungava il braccio per estrarre un cellulare dal cesto del picnic. Digitò un numero, gli occhi sempre fissi su di me. Probabilmente, mi dissi, c’erano un paio di guardie del corpo nei paraggi. Strisciando mi allontanai lungo il costone. Avevo le membra indolenzite.

«Hello?» dissi accostando l’apparecchio all’orecchio.