«Peter. Sedurre è l’unica cosa che so fare, il mio unico talento. Di solito riesco a ottenere che gli uomini facciano quello che voglio. Perché con te non funziona?»
Chissà perché le sue parole — e il candore con cui le aveva pronunciate — tornavano a galla con tanta precisione dopo tutti quegli anni. Poco tempo dopo quell’episodio avevo lasciato per sempre la comune. In un’epoca in cui il mondo era in subbuglio e tutto sembrava possibile, appartenevo a una generazione di girovaghi.
Capelli lunghi e barbe, jeans scampanati, bagni di gruppo, seni scoperti al sole, bambini nudi, discussioni sulla società e sulla politica, camicie indianeggianti, e d’inverno gli Eskimo: contemplavo quel turbinio confuso di fotogrammi che era la mia memoria e cercavo invano di mettere a fuoco altre facce, altri episodi, altre parole.
Mi alzai e andai in studio a sviluppare e riprodurre le foto scattate in Costa Brava, in modo che Oscar potesse vederle il mattino seguente e congratularsi con me per il magnifico colpo.
3
Alle sette ero in piedi. Come la maggior parte dei madrileni, andavo a letto tardi, mi svegliavo presto, e quando potevo mi concedevo un sonnellino pomeridiano. Avevo preparato la colazione per Amelia e Maria Luisa: un grosso bicchiere di caffè forte con latte e un croissant per Amelia e me, del latte con una fetta di pane e formaggio dolce per mia figlia. Assistetti alla sua vestizione. In quel periodo aveva la mania dei fiocchi, e insisteva per indossarne uno fra i capelli ogni giorno, meglio se rosa. Di fronte a me Amelia beveva il suo caffè bollente a piccoli sorsi. Portava un paio di jeans e una camicetta, trucco leggero: la sua tenuta da lavoro. La mattina non parlavamo molto. Non ce n’era bisogno. Mangiavamo insieme in un piacevole silenzio assonnato, il notiziario della radio come sottofondo. Quando Amelia e Maria Luisa uscivano di casa, spesso mi coglieva un’irrazionale sensazione di solitudine e quel mattino non fece eccezione.
Oscar si stupiva della mia fedeltà e mi accusava di essere precocemente invecchiato, però credo provasse anche una punta di invidia. Al contrario di me temeva la noia e per combatterla ricorreva a stimolanti di diverso genere, compresi alcol e stupefacenti nei momenti di crisi più acuta. Ma il suo vizio irrinunciabile erano le emozioni. Aveva bisogno di mettersi continuamente alla prova, di testare i propri limiti.
Da sempre aveva fama di grande donnaiolo. Ma adesso che andava per i cinquanta, la sua costante smania di conquiste aveva un che di disperato. Ogni volta che incrociava una bella donna non poteva fare a meno di provarci. Era rimasto sconvolto quando si era reso conto del fatto che molte ragazze ormai lo consideravano vecchio. Anzi, un vecchio porco. Gloria lo aveva preso in giro con cattiveria per qualche settimana, poi avevano fatto pace come sempre.
Scesi al bar all’angolo e aprii «El Pais» davanti al secondo caffè della giornata. Il terrorismo basco imperversava. La sera precedente l’ETA aveva ucciso un poliziotto spagnolo a Bilbao. Una ragazza era stata assassinata con un colpo di pistola in bocca. Aveva fatto la spia: questo era il messaggio. Poche settimane prima avevano ammazzato un giovane consigliere comunale basco dell’ala nazionalista moderata, perché lo stato si rifiutava di rilasciare un gruppo di detenuti appartenenti all’ETA. La collera e il senso di impotenza avevano spinto oltre un milione di persone a manifestare per le strade di Bilbao. Qualche giorno dopo trentamila simpatizzanti dell’ETA avevano partecipato a una contromanifestazione a San Sebastián. Era una vera e propria guerra civile. Gli omicidi si succedevano a catena. A intervalli regolari nelle strade di Madrid esplodeva un’autobomba.
Al tempo della dittatura del generale Franco, avevo ritenuto quelli dell’ETA dei partigiani. Adesso li consideravo dei criminali accecati da un sogno anacronistico.
Presi con me il giornale e tornai a casa ad aspettare Oscar che sicuramente era impaziente di vedere le foto. Per quanto mi riguardava, mi procuravano un senso di disagio. Sarebbe stata l’agenzia a venderle e l’autore sarebbe rimasto anonimo come al solito. Ma le guardie del corpo del ministro avevano visto sia me sia la targa dell’auto che avevo noleggiato.
Il citofono suonò con caratteristica insistenza.
«Ciao Oscar» dissi aprendogli.
La nostra amicizia risaliva alla straordinaria primavera del 1977, una stagione di grandi cambiamenti per la Spagna. Ci eravamo conosciuti nel cuore della notte in un bar di Calle Echégaray, a pochi metri dalla pensioncina dove alloggiavo. Oscar torreggiava nel piccolo locale, uno dei bar più vecchi di Madrid.
Tre gitani andalusi assai malconci cantavano No te vayas todavía con voci arrochite dai sigari, scandendone il ritmo a forza di battiti di mani. Al primo corista mancavano due incisivi, gli altri denti erano d’oro. Appena entrato avevo notato Oscar, il grosso corpo precariamente appollaiato su una seggiola bassa quanto uno sgabello da mungitura, un boccale di birra nella destra. Come molti all’epoca, aveva i capelli lunghi e una folta barba. Io ero venuto con un collega della Reuter, che ci presentò.
Oscar era un giornalista free-lance della Germania dell’Ovest. Lavorava sodo, ma le piccole testate di sinistra per le quali scriveva pagavano malissimo. Io collaboravo con un giornalista svedese scattando immagini per i suoi articoli. Il leader comunista Santiago Carrillo, da poco rientrato in patria, si apprestava a tenere il primo raduno politico pubblico a Valladolid. Invitammo Oscar ad accompagnarci al comizio sull’auto presa a noleggio.
Al contrario di me, che mi ero semplicemente e allegramente fatto contagiare dallo spirito del tempo, Oscar e Gloria, da giovani, erano stati sinceri rivoluzionari. Ammiravano Mao e Ho-Chi-Minh. Con gli anni si erano progressivamente allontanati dalla politica, abbandonando le idee radicali della gioventù per concentrarsi sulla carriera e sulla vita privata. Poi avevamo cominciato a guadagnare, e, si sa, i soldi hanno il potere di cambiare le persone. Non parlavamo molto del passato. Sembrava che Marx, Engels, l’Unione Sovietica e la DDR non fossero altro che ambigui miraggi sfumati nel crepuscolo del ventesimo secolo.
Aprii la porta a Oscar e ci abbracciammo. Gli volevo un gran bene e lui ricambiava il mio sentimento. Era un omone massiccio, alto più di due metri. Da qualche anno aveva sviluppato un po’ di pancetta, giusto un accenno, ma le sue grandi spalle dominavano la lieve pesantezza del giro vita, annullandola. Il viso era largo, le guance rasate, gli occhi piccoli e castani. Vestiva in maniera elegante e disinvolta, con abiti su misura e camicie di seta, senza cravatta. Aveva la risata facile, squillante e contagiosa, e il passo sicuro di un uomo di successo. Accentrava l’attenzione e sapeva affascinare chiunque. Era un venditore nato e un grande manipolatore. La sua moralità, come quella di molti grandi seduttori, era un tantino dubbia. Da parte mia, ero contento che fosse mio amico e non mio nemico. Eravamo diversi, ma ci piacevano la stessa musica, gli stessi film e gli stessi libri. Entrambi credevamo che la vita fosse fatta per essere vissuta.
Andammo in studio e gli mostrai le foto. Lui schioccò la lingua in segno d’approvazione. Era un bel raccontino fotografico: il motoscafo si avvicina alla spiaggia, il ministro e la sua bella fanno il bagno nudi, amoreggiano in acqua, poi sulla spiaggia. Lui succhia le dita dei piedi alla ragazza. L’ultima foto era la meglio riuscita, ma i volti erano più chiaramente visibili e riconoscibili in quella sul motoscafo, in cui il ministro si sporgeva verso l’amante colta nell’atto di umettarsi le labbra con la lingua. Ero riuscito ad avvicinarmi abbastanza da poter fare a meno del teleobbiettivo. I dettagli erano puliti e nitidi, quasi che anch’io fossi stato tra i partecipanti a quella gita. Avevo selezionato le stampe in modo che le riviste scandalistiche e i quotidiani interessati potessero sceglierne una adatta ai gusti e alle aspettative del loro pubblico. Dal momento che il protagonista dello scoop era un uomo politico membro del neo-eletto governo, anche i quotidiani “seri” avrebbero pubblicato una delle mie foto e discusso le implicazioni politiche dello scandalo, grati dell’occasione di mostrare un seno scoperto. Per divertimento, avevo stampato un’unica immagine dell’amplesso sulla spiaggia. Come avevo previsto era troppo spinta per poter interessare anche il più disinvolto dei nostri clienti e Oscar le diede appena un’occhiata. Sapeva che non avrebbe fruttato un soldo.