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C’era gente dappertutto, una vera folla. L’aria era piena di risate, di richiami, della musica dei corni. E la gente era così strana che per un poco Hrunkner non notò le cose più importanti.

Lasciò che la folla li facesse deviare da una parte e dall’altra come una corrente. Poteva immaginare quanto fossero nervose Brun e Arla fra quegli sconosciuti non controllabili. Pochi minuti dopo si accorsero di essere sulla riva del mare.

— Dannazione! — esclamò Brun, fermando Hrunkner. — Guardi laggiù nell’acqua. C’è gente che sta affogando!

Hrunkner seguì il suo gesto con lo sguardo. — Non stanno affogando. Stanno… Santa Chiesa, stanno giocando nell’acqua! — Le loro figure semi-sommerse avevano delle specie di galleggianti per evitare di andare a fondo. Lui notò che anche parecchi altri li osservavano sbalorditi, alcuni mandando grida d’orrore. Perché mai qualcuno doveva giocare ad affogare? Per motivi militari, forse. Sia Kindred che l’Alleanza avevano delle navi armate.

Stupiti dalle risa divertite di quei bagnanti Hrunkner e le due guardie tornarono indietro lungo la piazza, verso gli alberi gremiti di lampade colorate. Era mezzogiorno, e se non fosse stato per quelle piccole luci e il rosso della lava al centro della caldera ci sarebbe stato buio pesto. Il sole era una brace spenta nel cielo, un minuscolo disco rosso scuro con delle chiazze nere.

Il declino del sole verso l’oblio era cosi graduale che c’era da chiedersi cosa segnasse l’istante — o il giorno, almeno — che era definito l’inizio della Tenebra. L’attenzione di Hrunkner si spostò di nuovo sulla piazza. Fra lì e gli alberi c’erano gruppi di persone — vecchi artropodi, ma anche molti dell’ultima generazione — che alzavano le braccia verso il sole, e poi le abbassavano come ad abbracciare la terra e la promessa di lungo sonno che rappresentava.

Ma lì non c’era il freddo necessario nelle profondità, l’aria era tiepida come nelle più dolci notti estive, e il terreno era caldo, e la maggior parte della gente sulla piazza non stava osservando la partenza della luce. Ridevano, cantavano, e i loro abiti colorati erano costosi, come se non rivolgessero neppure un pensiero al futuro. Forse i ricchi avevano sempre fatto così.

Le lampade colorate fra gli alberi dovevano essere alimentate dall’impianto a fissione che una delle imprese di Hrunkner aveva costruito sull’altipiano sopra la caldera cinque anni prima. Tutta la boscaglia era illuminala. Qualcuno aveva perfino importato delle fate di bosco dalle zone temperate, a decine di migliaia, per metterle in libertà fra gli alberi. Gli impianti distribuivano musica anche sulla lieve salita che portava alle ville. A quel punto Hrunkner s’era già abituato alla vista dei fuori-fase. Anche se i suoi istinti continuavano a parlargli di perversione, sapeva che erano individui utili alla società. Ne conosceva molti e li rispettava. Le stesse guardie del corpo, che procedendo ai suoi lati gli aprivano la strada, erano due fuori-fase. Arla e Brun avevano vent’anni, un po’ più giovani di Victreia Seconda. Erano brave aracnidi, uguali a quelle che in altri tempi avevano combattuto al suo fianco. Sì, considerando ogni caso come un caso singolo Hrunkner Unnerbai era venuto a patti con la sua repulsione. Ma… Non ho mai visto tanti fuori-fase come qui, tutti insieme.

— Ehi, nonno, vieni a ballare con noi! — Due giovani femmine e un maschio gli si strinsero attorno. Arla e Brun riuscirono a farle sloggiare fingendo abilmente di essere delle festaiole sguaiate come loro. Hrunkner vide una flessuosa quindicenne che si accoppiava con un vecchio della sua età, e gli si mozzò il fiato. Era come se le sue fantasie peccaminose diventassero reali. L’aria era calda, e c’era l’odore di zolfo delle fumarole. Il terreno era caldo, ma lui sapeva che non era il calore del sole; era il calore interno del mondo che usciva alla superficie come da un cadavere in putrefazione. In quella regione ogni profondità era una trappola mortale, una tomba, dove la carne dei dormienti sarebbe marcita dentro i loro gusci.

Alla fine, senza sapere come Brun e Arla fossero riuscite a fargli superare quella ressa, furono dall’altra parte della boscaglia, Anche qui c’era gente, ma rada come gli alberi, e non così smaniosa e scatenata come più in basso. Pochi ballavano, nessuno si strappava i vestiti di dosso. Le fate di bosco potevano aggrapparsi alle bluse senza timore di essere schiacciate. In altre terre quegli insetti avevano perso le ali da un pezzo. Già cinque anni prima Hrunkner aveva camminato nelle strada di Principalia coperte da uno strato di neve scricchiolante in cui erano incorporate a milioni le ali delle ultime fate di bosco della zona. Quella variante avrebbe avuto qualche stagione di vita in più, ma era condannata… o almeno così lui credeva.

Continuarono a salire e furono nella zona più rocciosa della parete del cratere. Più avanti, le ville dei ricchi si allineavano lungo la strada. Costruite durante il Sole Calante, nessuna di esse aveva più dieci anni ed erano sormontate dai robusti parasole all’ultima moda. Appartenevano a vecchie famiglie, e tutto intorno a esse c’erano i resti delle ville precedenti e strutture antiquate non più usabili. Su quelle assai più in alto c’era un biancore che sembrava neve. Quella di Sherkaner era lassù, fra le case di chi era abbastanza ricco da permettersi un posto del genere. Neppure la Baia di Calorica poteva sfuggire al freddo e al vuoto della Tenebra… occorreva l’energia nucleare per questo.

Fra le luci sul fondo della conca e la lunga curva delle ville, c’erano pendici immerse nel buio. Le fate di bosco si staccarono dai loro abiti e tornarono verso il basso. L’odore di zolfo era più debole, e l’aria già molto più fresca. Hrunkner sospirò di sollievo. — Allora, mie care aracnidi, cosa preferite: affrontare dei terroristi armati, o passare attraverso un’altra folla di quel genere?

La risposta di Arla Undgata fu contegnosa. — Io opto per la folla, naturalmente. Ma… è stata un’esperienza strana.

— Da brivido, vorrai dire — commentò Brun.

— Già — annuì Arla. — Ma hai notato una cosa? Molti di quegli aracnidi erano a disagio quanto noi. Non so, è come se tutti fossero delle allegre fate di bosco… anche noi. Quando guardi in alto e vedi la Tenebra, e il sole che se ne va… ti senti terribilmente piccolo.

— È vero. — Hrunkner non seppe cos’altro dire. Quelle due giovani erano fuori-fase. Nessuno le aveva nutrite di tradizioni antiquate come le sue… eppure s’erano sentite oppresse da emozioni uguali alle sue. Interessante.

— Andiamo. La stazione della funicolare dev’essere qui, da qualche parte.

36

Molte delle case del livello medio erano edifici pesanti, con una facciata di pietra e di grossi tronchi, che si prolungavano dentro vaste caverne nella parete del cratere. Hrunkner s’era aspettato una versione meridionale della Casa sulla Collina, ma sotto l’aspetto estetico l’abitazione di Sherkaner era una delusione. Al di fuori era piccola come una dipendenza delle grosse ville, mentre lo spazio interno era occupato in parte dal personale di sorveglianza, ora raddoppiato perché si trovava lì anche il capo. Hrunkner fu informato che il suo prezioso carico era già a destinazione, e che più tardi lui sarebbe stato convocato. Arla e Brun ebbero la loro ricevuta per averlo consegnato salvo a destinazione, e lui fu fatto accomodare in una saletta. Trascorse il resto del pomeriggio leggendo vecchie riviste delle forze armate.

— Sergente? — Sulla porta era apparsa il generale Smait. Indossava una divisa senza contrassegni, come usava fare Strut Grionval. La sua figura era snella e delicata come sempre, anche se nei gesti c’era una certa rigidità. Hrunkner la seguì oltre l’atrio della sorveglianza e su per le scale di legno, a spirale.