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Quella conclusione era basata su pochi Msec di ricezioni e su quel che si sapeva della chimica della vita intelligente. — Può darsi — ammise Ezr, continuando a guardare ciò che restava del bagliore rosso finché scomparve oltre l’orizzonte. Più avanti c’erano cose di maggiore interesse. La loro ellisse di atterraggio li portava sempre più in basso, ed erano ancora senza peso. Quello era un pianeta di massa terrestre, ma non c’era un’atmosfera a rallentarli. Stavano volando a otto chilometri al secondo, ad appena duemila metri dal suolo. C’erano montagne che giungevano quasi alla loro altezza, e catene di cresta che passavano via sempre più vicine. Dietro di lui Benny stava emettendo dei borbottii, come ogni volta che qualcosa lo faceva sentire a disagio. Ezr trattenne il fiato quando l’ultima catena di alture passò sotto la navetta, a una distanza che gli parve di pochi metri. Questa dannata ellisse di discesa va bene per una sonda non pilotata, non per degli uomini.

Poi il jet principale si accese davanti alla prua.

Ci vollero altri 30 Ksec per scendere nel luogo che Diem aveva scelto per l’atterraggio. Non era dei più comodi. L’unico posto adatto a parcheggiare la navetta era a mezza altezza su un versante montagnoso abbastanza libero dal ghiaccio. Il loro obiettivo si trovava sul fondo di una stretta valle. Sarebbe stato logico aspettarsi che il fondovalle fosse sepolto sotto un centinaio di metri d’aria congelata, ma grazie a qualche scherzo della topografia e del clima lo strato era di appena mezzo metro. E seminascosti fra gli spunzoni di roccia della valle c’era il più vasto insieme di edifici scoperto fino a quel momento. C’erano buone probabilità che lì ci fosse l’ingresso di una delle più vaste caverne di ibernazione dei Ragni; a ogni modo quella doveva essere una delle città abitate durante il periodo caldo di OnOff, e qualunque cosa si fosse appresa lì sarebbe stata determinante per ogni progetto futuro. Dati gli accordi per lo scambio di informazioni, anche l’esistenza di quel sito era stata comunicata agli Emergenti…

Ezr non aveva saputo niente delle decisioni raggiunte nella seduta del Comitato Mercantile. Diem sembrava fare tutto il possibile per celare il loro arrivo in superficie agli indigeni, proprio come gli Emergenti si sarebbero aspettato. Il luogo di atterraggio sarebbe stato coperto da una valanga subito dopo la loro partenza. Anche le loro impronte sarebbero state cancellate con cura, benché questo non fosse strettamente necessario.

Per combinazione, OnOff era presso lo zenith quando la squadra raggiunse il fondovalle. Nella “stagione soleggiata” quello sarebbe stato il mezzodì. Ora la stella dava luce quanto una debole luna rossastra del diametro di mezzo grado appena. Senza amplificatori quella luce era a malapena sufficiente a delineare i contorni e il terreno, liscio come una comune distesa di neve.

La squadra s’incamminò su quella che sembrava la strada principale; cinque uomini in tuta a pressione e un robot a zampe articolate. Vaghe nuvolette di vapore si alzavano ogni volta che i punti meno perfettamente isolati delle loro tute venivano a contatto coi gas congelati. Quando si fermavano per più di un minuto era importante non farlo nella neve alta, per non trovarsi in breve avvolti da una nebbia di sublimazione. Ogni dieci metri mettevano al suolo un sensore sismico su un risuonatore. Quando fossero stati posizionati tutti, avrebbero rivelato un quadro preciso della caverne della zona. L’obiettivo primario di quell’atterraggio era tuttavia farsi un’idea di quel che c’era negli edifici. La loro maggiore speranza: materiale scritto, fotografie. Trovare un abbecedario illustrato per bambini avrebbe significato per Diem una promozione certa.

Ombre rossastre su sfondi grigi e neri. Ezr andava avanti senza potenziare le immagini, colpito dalla strana bellezza del posto. Quello era un luogo dove i Ragni avevano vissuto. Su entrambi i lati gli edifici erano ombre poco più chiare delle altre. Erano quasi tutti a uno o due piani, ma anche in quella scarsa luce non si potevano confondere con costruzioni di fattura umana. Anche le porte più piccole erano molto larghe, e la loro altezza non superava quasi mai il metro e mezzo. Le finestre (tutte accuratamente chiuse: quello era un luogo abbandonato da proprietari che intendevano ritornare) erano altrettanto basse e larghe.

Ezr guardò quelle finestre simili a feritoie orizzontali e si chiese cos’avrebbe fatto vedendo una luce filtrare da quelle imposte. La sua immaginazione corse subito alla possibilità di un incontro. E se la loro presunzione di essere superiori si fosse rivelata un tragico errore? Quelli erano alieni. Era improbabile che la vita fosse nata su un mondo così anomalo. Un tempo i Ragni dovevano aver conosciuto il volo interstellare. Il territorio frequentato dai Qeng Ho era largo quattrocento anni-luce, ed essi avevano mantenuto una presenza continua in ogni suo angolo per migliaia d’anni. I Qeng Ho avevano rilevalo trasmissioni di creature intelligenti lontane migliaia, e in molti casi milioni, di anni-luce, per sempre oltre ogni possibilità di contatto o di conversazione. I Ragni erano la terza razza intelligente incontrata fisicamente dall’umanità. La prima s’era estinta milioni di anni addietro, la seconda non era ancora arrivata alla tecnologia industriale e meno che mai al volo spaziale.

I cinque esseri umani che camminavano fra gli oscuri edifici dalle finestre a feritoia erano più vicini a scrivere la storia di quanto Ezr potesse immaginare. Armstrong sulla Luna, Pham Nuwen a Brisgo Gap… e ora Vinh, Wen, Patil, Do e Diem che passeggiavano per le strade dei Ragni.

Nel traffico radio di sottofondo che Ezr aveva nel casco ci fu una pausa, e per poco i soli rumori furono lo scricchiolio delle scarpe che affondavano nella neve e il suo respiro. Poi le voci a basso volume ripresero a farsi udire, e li diressero lungo uno spazio aperto e verso un’estremità della valle. Evidentemente gli analisti pensavano che quello stretto crepaccio verticale fosse l’ingresso delle caverne dove i Ragni locali erano presumibilmente ricoverati.

— Questo è strano — disse una delle loro voci anonime. — I sismo rilevano qualcosa… stanno sentendo qualcosa… nell’edificio alla vostra destra.

Ezr si girò di scatto e scrutò nella penombra. Non vide niente, e gli orecchi non potevano dirgli niente nel vuoto pneumatico.

— Che sia stato il robot? — domandò Diem.

— Forse è solo un assestamento delle fondamenta — disse Benny.

— No. no, questo è stato un rumore troppo nitido, come un click… ora riceviamo un battito regolare, come una pompa idraulica. Le analisi di frequenza… sì, sembra una cosa meccanica, parti in movimento o roba del genere. Oh… adesso si è di nuovo fermato, a parte una vibrazione residua. Capoequipaggio Diem, il rumore è stato ben triangolato. Si trova all’angolo più lontano dell’edificio che ora state guardando, quattro metri più in alto del livello stradale. Vi mando un marcatore.

Ezr Vinh e gli altri, avanzarono per una trentina di metri seguendo il marcatore (una freccia gialla) che fluttuava sul visore dei loro caschi. Era divertente la furtività dei loro movimenti, ora, anche se erano all’aperto e in piena vista di chiunque si fosse affacciato dall’edificio.

Il marcatore li portò dietro l’angolo.

— Questa costruzione non ha niente di speciale — disse Diem. Come le altre era in pietre cementate una sopra l’altra in modo irregolare e non intonacate, coi piani superiori leggermente più larghi del pianterreno. — Aspetta, vedo dove ci state portando. C’è una specie di… una cassa di ceramica fissata fuori dal primo piano. Vinh, tu sei il più vicino. Arrampicati lassù e dai un’occhiata.

Ezr si mosse verso l’edificio, ma d’un tratto qualcuno spense il marcatore. — Dove, esattamente? — Tutto ciò che riusciva a vedere erano ombre e chiazze di pietra grigia.