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— Vinh. — La voce di Diem era un filo più scorbutica del solito. — Datti una svegliata, d’accordo?

— Scusa. — Ezr si senti arrossire; non era la prima volta che si distraeva a quel modo. Potenziò l’immagine col multispec e il suo visore si riempì di colori, un miscuglio di ciò che la tuta captava in parecchie regioni dello spettro elettromagnetico. Dove prima c’era una pozza di tenebra apparve la cassa di cui Diem aveva parlato. Si trovava un paio di metri sopra la sua testa. — Un momento che guardo come si può fare. — Anche quell’edificio aveva una quantità di sporgenze, e gli analisti dissero che erano scalini. Ezr vide che servivano allo scopo, anche se più che una vera scala era una sorta di scala a pioli. Pochi secondi gli bastarono per salire accanto all’oggetto.

La diagnosi fu che era una macchina; c’erano chiodi ribaditi lungo i lati, e l’aspetto faceva pensare ai video ambientati nel medioevo. Tirò fuori di tasca un sensore a bacchetta e lo accostò alla cassa. — Volete che la tocchi?

Diem tenne la bocca chiusa; la domanda era per quelli che stavano nello spazio. Ezr sentì diverse voci che si consultavano. Poi: — Inquadrala anche di lato. Non ci sono segni o simboli sulla superficie? — Trixia! Lui sapeva che era con gli osservatori, ma sentire la sua voce fu una bella sorpresa. — Come la signora comanda — disse, e passò la bacchetta avanti e indietro sulla cassa. Sui lati c’era qualcosa. Lui non avrebbe saputo dire se fosse scrittura o un disegno oppure un complicato algoritmo multiscan. Se si trattava di scrittura, quello era un bel colpo.

— Va bene. Ora puoi appoggiare il sensore alla cassa. — Un’altra voce, qualcuno delle analisi acustiche. Ezr fece quel che gli era stato chiesto.

Trascorsero quindici o venti secondi. Le scale dei Ragni erano così scomode che Ezr doveva stringersi contro il muro per non cadere all’indietro. Dagli scalini emanava vapore di aria-neve, che scendeva verso il basso. Il sistema della tuta stava fornendo più calore per compensare quello che il contatto gli taceva perdere.

Poi: — Molto interessante. Questa cosa è un sensore, roba di tipo antidiluviano.

— Elettrico? Sta facendo rapporto a una località remota? — Ezr sbatté le palpebre. L’ultima a parlare era stata una donna con l’accento degli Emergenti.

— Ah, direttrice Reynolt. No, questo è il particolare straordinario dell’oggetto. È autoregolante. La sorgente d’energia sembra un insieme di molle metalliche. Un temporizzatore meccanico… diciamo un orologio, le è familiare il concetto?… fornisce i tempi di intervento. In effetti suppongo che questo sia il solo meccanismo non sofisticato che possa lavorare in lunghi periodi di freddo.

— E che razza di interventi temporizza? — Questo era Diem, e la domanda era giusta. L’immaginazione di Ezr partì ancora per la tangente. Forse la sua figura in tuta sarebbe figurata nel loro rapporto. Ma cosa sarebbe successo se quella cassa fosse collegata a un’arma di qualche genere?

— Non vediamo alcuna telecamera, capoequipaggio. Ora abbiamo un’immagine abbastanza buona dell’interno della cassa. C’è un rotore che trascina un rotolo di carta sotto quattro penne. — I termini uscivano dritti da un testo sulle Civiltà Sepolte. — La mia ipotesi è che ogni giorno la carta avanza di un breve tratto, e le penne annotano temperatura, pressione… e altri due parametri dei quali non sono ancora sicuro. — Ogni giorno da più di duecento anni. Gli esseri umani dell’era industriale primitiva avrebbero avuto delle difficoltà a realizzare un meccanismo a parti mobili capace di funzionare così a lungo, soprattutto a quella bassissima temperatura. — È stata una vera fortuna trovarci qui proprio mentre entrava in funzione.

Seguì una discussione tecnica su quanto sofisticato poteva essere quel meccanismo di registrazione. Diem incaricò Benny e un altro di illuminare la zona con flash di pochi nanosecondi. Niente rimandò riflessi; non c’erano lenti ottiche puntale su di loro.

Ezr nel frattempo rimase sulla scala, appoggiato al muro. Il freddo cominciava ad attraversare la tuta e il giubbotto; quel tipo di equipaggiamento non era adatto al contatto esteso con materiale che risucchiava calore. Cambiò posizione, a disagio. Con 1 G di gravità quelle acrobazie finivano per stancare… ma quella posizione gli dava una buona visuale intorno all’angolo dell’edificio, e notò che su quel lato alcune imposte s’erano staccate dalle finestre. Si sporse precariamente di lato nel tentativo di vedere quello che c’era nelle stanze. Scorgeva delle cose coperte da uno strato di aria-neve: lunghe file di scaffali o cassettoni alti fino alla cintura. Sopra di essi c’era un pagliolato metallico, che a sua volta sosteneva altre scaffalature. Delle scalette, analoghe a quella su cui era appollaiato lui, collegavano i due livelli. Ovviamente per i Ragni quei mobili non erano “alti fino alla cintura”. Mmh. C’erano molti oggetti sciolti ammucchiati anche sopra, oggetti piatti con un lato incernierato. Alcuni erano ordinati verticalmente, altri erano aperti come ventagli.

L’improvvisa comprensione che gli attraversò la mente fu come una scossa elettrica, e senza pensarci parlò sul canale pubblico. — Capoequipaggio Diem, mi scusi.

Gli altri interruppero la conversazione, sorpresi dal suo tono.

— Che c’è, Vinh? — domandò Diem.

— Date un’occhiata attraverso il mio pov. Credo di aver trovato una biblioteca.

Qualcuno, nello spazio, gridò di eccitazione. Sembrava proprio la voce di Trixia.

Le analisi dei sismografi li avrebbero prima o poi portati alla biblioteca, ma la scoperta di Ezr accorciò di molto i tempi.

Sul retro dell’edificio c’era una larga porta. Mandare dentro il robot articolato fu facile. Il robot aveva uno scanner manipolatore ad alta velocità. Gli occorse poco per adattarlo alla strana forma di quei “libri”, poi cominciò a muoversi velocemente fra gli scaffali (un paio di centimetri al secondo) con due della squadra di Diem che gli piazzavano libri davanti al lettore a getto continuo. Nello spazio ci fu una cortese discussione udibile anche da loro. La squadra d’atterraggio era parte di un’iniziativa congiunta, pianificata per concludersi entro 100 Ksec. Questo periodo non sarebbe stato sufficiente per prelevare tutto il materiale dalla biblioteca, tantomeno ciò che si sarebbe trovato negli altri edifici e oltre il supposto ingresso della caverna. Gli Emergenti non volevano fare un’eccezione ampliando il tempo di permanenza. Così proposero di far intervenire una delle loro navette più grosse, sul fondovalle, e portare via in massa tutti quanti gli artefatti.

— Tutto questo senza venire meno alla strategia decisa, ovvero tenerci nascosti agli indigeni — disse la voce di un Emergente maschio, — Possiamo far saltare le pareti della vallata, in modo che passi per una slavina da cui l’intero abitato è stato sepolto.

— Ehi, questa gente ha il tocco delicato, eh? — commentò la voce di Benny Wen nell’auricolare, sul loro canale privato. Ezr non rispose. Il suggerimento dell’Emergente non poteva essere definito irrazionale; era… estraneo. I Qeng Ho commerciavano. I più sadici di loro potevano divertirsi stimolando la competizione, ma quasi tutti volevano dei clienti che avrebbero aspettato l’arrivo della flotta successiva per fare altri buoni affari. Distruggere e rubare era… rozzo. E perché farlo, quando avrebbero potuto tornare con comodo a esplorare ancora?

Su nello spazio, la proposta dell’Emergente fu educatamente scartata, e un’altra missione in quella valle così promettente fu messa in cima all’elenco delle prossime avventure congiunte.

Diem mise Ezr e Benny a esplorare gli scaffali. Quella biblioteca sembrava contenere circa centomila libri, solo poche centinaia di gigabyte, ma troppe per il tempo che restava loro. Avrebbero dovuto cominciare a esaminare e scegliere, nella speranza di trovare la Pietra di Rosetta di un’operazione di quel genere: un abbecedario illustrato per bambini.