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Mentre i Ksec passavano, Diem alternò gli incarichi dei membri della squadra mettendoli a turno all’alimentazione dello scanner, a tirare giù i libri dagli scaffali superiori, e a rimetterli esattamente dove stavano prima.

Quando venne la pausa per la cena di Ezr, la stella OnOff era scesa molto dallo zenith; ora palpitava sopra le rupi a un’estremità dalla valle e allungava le ombre degli edifici. Ezr trovò un posto quasi libero dalla neve, stese al suolo un drappo isolante e si mise a sedere. Ah, ora andava meglio. Diem gli aveva dato millecinquecento secondi per mangiare. Accese la nutritiva all’interno del casco e mangiò lentamente un paio di tavolette di frutta. Ogni tanto sentiva la voce di Trixia, ma la ragazza sembrava molto occupata. Non c’era nessun libro illustrato per bambini, ma quelli su nello spazio avevano trovato qualcosa di abbastanza analogo: una gran quantità di testi di chimica e di fisica. Trixia era del parere che quella fosse una biblioteca scientifica. In quel momento stavano parlando di aumentare la velocità dello scanner. Trixia pensava di avere già una corretta analisi grafemica delle parole scritte, cosicché c’era la possibilità di passare a una “lettura” più mirata.

Ezr aveva sempre saputo che Trixia era brillante nel suo lavoro. Ma era solo una Cliente specializzata in linguistica, un campo in cui gli accademici Qeng Ho eccellevano. Quale poteva essere il suo reale contributo? Ora… be’, poteva sentire la conversazione di quelli lassù. Gli altri specialisti in linguistica non facevano che chiedere delucidazioni a Trixia. Forse la cosa non era poi troppo sorprendente. L’intera società di Triland aveva dovuto competere per quei pochi posti disponibili a bordo della flotta. Se uno sceglieva i migliori per ogni specializzazione fra cinquecento milioni di persone… be’, quei prescelti dovevano essere dannatamente in gamba. Poi l’orgoglio che Ezr provava per lei s’incrinò un istante; in effetti era lui ad avere puntato in alto, legandosi a Trixia. Certo, lui era uno dei principali eredi della Famiglia Vinh23, ma come individuo… non poteva dire di essere molto brillante. Anzi, lui era uno che sprecava tutto il suo tempo sognando altri posti e altre epoche.

Questa scoraggiante linea di riflessioni lo portò su un argomento più familiare: forse lì lui avrebbe saputo dimostrare di non essere poi così inutile. I Ragni dovevano essere molto lontani dal loro livello scientifico di un tempo. La loro situazione attuale doveva essere analoga all’Era dell’Alba. Forse lui avrebbe avuto intuizioni preziose e decisive per la flotta… e avrebbe meritato Trixia Bonsol. La sua mente scivolò sulle più rosee possibilità, osando esplorarne i dettagli più eccitanti…

Ezr guardò il suo chron. Aha, gli restavano ancora cinquecento secondi. Si alzò e guardò verso le ombre, più in alto, dove la strada principale saliva lungo il versante della montagna. Per tutto il pomeriggio s’erano concentrati sulle priorità della missione al punto di non guardare ciò che restava di quella città. In effetti erano arrivati in uno slargo, o piazza che fosse, e s’erano fermati lì.

Durante il tempo della luce in quella zona doveva esserci stata molta vegetazione. Le colline erano coperte di spunzoni contorti che sembravano resti di alberi. Più in basso la natura era stata messa in riga dalla civiltà. Lungo la strada c’erano delle sporgenze simili, a intervalli regolari, sotto la neve.

Quattrocento secondi. Gli restava un po’ di tempo, così s’incamminò a passo svelto intorno alla piazza. Notò che nel centro c’era una montagnola, su cui la neve ricopriva delle forme strane. Quando fu sul lato opposto e si girò a guardare vide uno spettacolo assai più illuminato di prima. Il lavoro alla biblioteca aveva riscaldato l’edificio abbastanza da far levare una nebbia di sublimazione, e l’aria tornata allo stato gassoso si espandeva per qualche decina di metri prima di cedere al freddo e solidificarsi di nuovo, scendendo al suolo sotto forma di neve. La luce di OnOff creava un arcobaleno rosso in quella nebbia. Per un istante la fantasia di Ezr gli dipinse quella valle come un luogo ameno e pacifico, dove non c’era più nulla di alieno.

La sua attenzione tornò al centro della piazza. Da quel lato la montagnola era più libera dalla neve, e si scorgevano forme vaghe nascoste dal buio. Incuriosito Ezr si avviò da quella parte. Il terreno nudo, dov’era libero dalla neve, crepitava come muschio secco sotto gli stivali. Si fermò, senza fiato. Le cose scure al centro… erano statue. Di Ragni! Sapeva che avrebbe dovuto fare subito rapporto sulla scoperta, ma per qualche momento restò immobile ad assaporare quella scena da solo e in silenzio. Naturalmente conosceva già la forma approssimativa degli indigeni; le prime squadre atterrate sul pianeta avevano trovato alcune rozze raffigurazioni in pietra e bassorilievi. Ma — Ezr potenziò la luminosità dell’immagine — queste statue erano così perfette che sembravano vive, squisitamente modellate nei più minuti dettagli in un metallo scuro. Raffiguravano tre di quelle creature, molto probabilmente a grandezza naturale, giudicò lui. La parola “ragno” era alquanto generica, il genere di termine che si rivela inutile quando sorge la necessità di una definizione più precisa. Nel provvisorio dove Ezr era cresciuto c’erano parecchi tipi di insetti chiamati “ragni”. Alcuni avevano sei zampe, altri otto o dieci. Alcuni erano grassi e pelosi, altri snelli e neri, velenosi. Questi esseri somigliavano al tipo snello, a dieci zampe. Ma avevano addosso qualche specie di indumento, oppure erano più spinosi dei loro piccoli consimili. Le zampe delle tre figuri erano unite come se stessero cercando di afferrare qualcosa che stava nel centro. Facevano la guerra, facevano l’amore, o cos’altro? Qui anche l’immaginazione di Ezr vacillava.

Cos’era stata la vita lì, quando il loro sole brillava ancora?

4

È un vecchio cliché dire che il mondo è più gradevole negli anni del Sole Calante. Non si può negare che il tempo sia mite, che ovunque ci sia un senso di rallentamento, e che in molte regioni le estati non brucino e gli inverni non siano più così duri, la classica epoca delle avventure romantiche, l’epoca che induce ognuno a rilassarsi, a rimandare. È l’ultima possibilità di prepararsi alla fine del mondo.

Fu pura fortuna se Sherkaner Underhill scelse i giorni più belli degli anni del Sole Calante per il suo primo viaggio a Comando Territoriale. In breve si accorse però che quella buona fortuna gli sarebbe servita tutta: la strada costiera spazzata dal vento non era stata fatta per gli automobilisti, e lui non era affatto l’abile guidatore che aveva presunto di essere. In più di un’occasione si trovò a sfiorare il bordo esterno dopo aver spostato la cinghia del cambio su un rullo diverso, con solo i freni e il volante a salvarlo da un lungo volo giù nel Mare Grande (anche se probabilmente lo avrebbero fermato gli alberi della scarpata, con risultato non meno fatale).

Sherkaner amava il brivido della velocità. In poche ore aveva imparato a padroneggiare la macchina. Ora, quando in curva si alzava su due ruote, era quasi deliberatamente. Era una bella strada panoramica. La gente del posto la chiamava Orgoglio dell’Alleanza, e la Famiglia Reale non aveva mai osato lamentarsi. Si era in piena estate. La boscaglia aveva una trentina d’anni, vecchia dunque quanto una boscaglia poteva esserlo. Gli alberi erano alti e verdi, e si affollavano sui bordi della strada. Il vento fresco che frusciava intorno al trespolo di guida odorava di resina e di fiori.

Non vedeva molte altre auto civili. C’erano parecchi carri trainati da osprech, alcuni camion, e un numero notevole di convogli armati. Le reazioni che il suo passaggio svegliava fra i civili erano un divertente miscuglio: irritazione, simpatia, invidia. In quella zona, ancor più che a Principalia, vedeva femmine giovani che sembravano gravide e individui con dozzine di bambinetti aggrappati sul dorso. Spesso il loro comportamento rivelava invidia per qualcosa di diverso dalla sua automobile. E forse anche io sono un po’ invidioso di loro. Per qualche momento si trastullò con quel pensiero, senza cercare di razionalizzarlo. L’istinto era una cosa affascinante, in specie quando uno lo vedeva dall’interno.