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La voce dell’Emergente era secca e irritata. — Esigo di parlare a un vostro ufficiale. Subito. Noi sappiamo riconoscere dei laser quando ci vengono puntati addosso. Spegneteli, o ve ne pentirete.

Il display di Ezr si spense, e lui si ritrovò a guardare la tappezzeria del compartimento. Uno degli schermi era acceso, ma stava mostrando solo le routine di qualche procedura d’emergenza .

— Merda! — Era Jimmy Diem. In fondo alla cabina, il capoequipaggio stava battendo ordini su una consolle. Ezr sentì il rumore di qualcuno che vomitava, alle sue spalle. Era come uno di quegli incubi dove tutto impazzisce contemporaneamente.

In quel momento la navetta raggiunse la velocità di fuga e il propulsore si spense. In pochi istanti la terribile pressione sullo sterno di Ezr svanì, e ci fu il familiare sollievo dello zero-G. Lui si spinse via dalla cuccetta e raggiunse Diem. Dal soffitto era facile guardare i display di Diem senza stargli fra i piedi. — Stiamo davvero sparando a quella gente? — Signore, che terribile mal di capo! Quando cercò di leggere le cifre sugli schermi tutto gli si confuse davanti agli occhi.

Diem si volse a guardarlo; sulla sua faccia si leggeva una sofferenza agonizzante. — Non so cosa stiano facendo le nostre navi. Ho perso le immagini sul canale comune. Aggrappati a una maniglia. — Si piegò avanti come per distinguere qualcosa nella marmellata di colori dei display. — La flotta ha cominciato a criptografare tutto, e noi siamo inchiodati all’ultimo livello di sicurezza. — Questo significava che non avrebbero avuto notizie dalle astronavi, a parte gli ordini diretti a loro dagli armieri di Park.

Il soffitto diede a Ezr un forte colpo sulla schiena, e lui cominciò a slittare verso il fondo della cabina. La navetta stava ruotando: una manovra d’emergenza di qualche genere… l’autopilota non ne aveva dato avviso. Più probabilmente il Comando Flotta li stava preparando per un’altra spinta di accelerazione. Lui andò ad assicurarsi su una poltroncina dietro quella di Diem, proprio mentre il propulsore si accendeva a un decimo di G. — Ci fanno spostare su un’orbita più bassa… ma non vedo niente che stia venendo al rendez-vous — disse Diem. Agitò una mano nel campo di identificazione, accanto al display — E va bene. Cercherò di prendere i comandi… spero che Park non se la stia facendo sotto…

Ci fu il rumore di qualcuno che vomitava ancora, dietro di loro. Diem fece per girarsi, ci rinunciò. — Sei tu quello che può muoversi, Vinh. Occupatene tu.

Ezr scivolò lungo il passaggio centrale, lasciando che fosse quel decimo di G a spingerlo avanti. I Qeng Ho vivevano la loro vita in condizioni diverse di accelerazione. Le medicine e una sana dieta rendevano rari anche fra loro i disordini dell’orientamento, ma Tsufe Do e Pham Patil sembravano fuori combattimento, e Benny Wen era piegato in avanti per quanto glielo permetteva la cintura di sicurezza. Girò la testa e deglutì, con sofferenza evidente. — La pressione, la pressione…

Vinh si fermò accanto a Do e Patil, e manovrò l’aspiratore per risucchiare il vomito che galleggiava intorno ai loro indumenti. Tsufe lo guardò, imbarazzata. — Non avevo mai vomitato in transito. Non so cosa mi sta succedendo.

— Non è colpa tua, bambola — disse Ezr, e fece uno sforzo per pensare benché il mal di capo fosse sempre più forte. Stupido, stupido, stupido. Come ho potuto metterci tanto a capire? Non erano i Qeng Ho ad attaccare gli Emergenti; anzi, era decisamente l’opposto.

A un tratto l’esterno fu di nuovo visibile. — Sono sulla rete locale — disse Diem nell’auricolare di Ezr. Il capoequipaggio proseguì con voce mozza, torturata. — Cinque bombe ad alta gravità dalle posizioni degli Emergenti… obiettivo: la nave di Park.

Ezr si appoggiò allo schienale di una poltroncina e guardò il display. I missili erano stati lanciati in direzione opposta alla scialuppa; cinque stelle che si allontanavano nel cielo dirette verso la NQH Pham Nuwen. Le loro traiettorie non erano archi regolari; facevano continue deviazioni repentine.

— I nostri laser li stanno bersagliando. Cercano di farli deviare al punto di…

Una delle piccole luci scomparve. — Ne abbiamo preso uno! Ne abbiamo…

Quattro stelle s’ingrandirono nel cielo. La loro luminosità crebbe, diventando mille volte quella del debole disco del sole.

Poi il display si annebbiò. Le luci della cabina si spensero e si riaccesero vacillando, si spensero ancora. I sistemi d’emergenza entrarono in funzione; apparve una rete di linee rosse che delineava gli scomparti dell’equipaggiamento, il portello del compartimento stagno, la consolle dei comandi manuali. La routine era efficace ma non computerizzata e a basso consumo. Non c’era neppure uno schermo attivo con qualche informazione.

— Capoequipaggio, cos’è successo alla nave di Park? — domandò Ezr. Fuori dagli oblò ci furono quattro lampi di microdetriti in rapida successione. Non si vide nient’altro, ma anche quel poco avrebbe bruciato nella sua memoria per sempre. — Jimmy! — gridò Ezr, voltandosi verso prua. — Cos’è successo allaPham Nuwen? — Le rosse luci d’emergenza danzavano intorno a lui; bastò quel grido a portarlo sull’orlo dello svenimento.

La voce di Diem suonò bassa e rauca. — Io credo che sia… andata. — Disintegrata, bruciata. Neppure quell’eufemismo era meno pesante. — Qui non ho dati, per il momento. Ma quelle quattro esplosioni nucleari… Signore Iddio, erano proprio sulla nave ammiraglia.

Alcune voci si udirono, ancora più deboli di quella di Jimmy Diem. Mentre Ezr si spostava nel passaggio centrale verso di lui, il decimo di G cessò. Senza energia e senza cervello, cos’altro era la navetta se non una bara buia? Per la prima volta in vita sua Ezr Vinh sperimentò il terrore della gente di superficie nello spazio: lo zero-G poteva significare che erano in orbita, oppure che stavano ricadendo su un arco balistico verso la superficie del pianeta…

Ezr respinse il panico e proseguì a tentoni. Potevano usare la consolle d’emergenza. Potevano ascoltare le trasmissioni esterne. Potevano usare l’autopilota per mettersi su una rotta di ritorno verso le forze Qeng Ho superstiti. Il mal di capo si fece più intenso di qualsiasi dolore avesse mai conosciuto. Le piccole luci d’emergenza rosse sembravano indebolirsi. Ezr si accorse che la sua coscienza se ne andava e la paura lo prese alla gola. Non c’era nulla che potesse fare.

E qualche momento prima che tutto svanisse, il fato gli regalò pietosamente un ricordo: Trixia Bonsol non era a bordo della Pham Nuwen.

8

Per più di duecento anni il meccanismo a orologeria sepolto nel lago congelato aveva fedelmente svolto il suo compito, esaurendo la tensione di una molla d’acciaio dopo l’altra. Il meccanismo ticchettò con testarda puntualità fino all’ultima molla della fila, ma prima dello scatto finale una scheggia assassina di ghiaccio d’aria lo bloccò. Avrebbe potuto restare inceppato fino all’avvento del Nuovo Sole, se non fosse stato per un altro evento imprevisto: il settimo giorno del duecentonovesimo anno una serie di scosse telluriche fece vibrare il ghiaccio del lago, la scheggia ne fu spostata e il grilletto scattò. Un pistone spinse una massa di fango organico in una vasca d’aria congelata. Per alcuni minuti non accadde niente. Poi un lucore dilagò nel materiale organico, la temperatura si alzò oltre il punto di vaporizzazione dell’ossigeno e dell’azoto e dell’anidride carbonica. Le esalazioni di trilioni di esotermi in boccio sciolsero il ghiaccio sopra il piccolo veicolo. L’ascesa verso la superficie era cominciata.

Svegliarsi dalla Tenebra non era come uscire da una normale notte di sonno. Mille poeti avevano descritto quel momento e — in epoche più recenti — mille accademici lo avevano studiato. Questa era la seconda volta che Sherkaner Underhill ne faceva esperienza (ma la prima in realtà non contava, poiché il ricordo di quand’era entrato nella Profondità di Monte Reale aggrappato al dorso di suo padre era misto alle vaghe memorie della prima infanzia).