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Pham Trinli spense il raggio e tornò indietro lungo la spaccatura più in fretta che poté. E così ci hanno fottuto. Tomas Nau era più furbo di quel che sembrava, e aveva un misterioso vantaggio di qualche genere. Lui aveva visto svolgersi centinaia di operazioni di spionaggio e tattiche, ma mai una così fanatica attenzione ai dettagli come quella che aveva permesso agli Emergenti di accorgersi di quelle comunicazioni cifrate fra i Qeng Ho. O Nau aveva un software magico, o i suoi tecnici erano dei monomaniaci. Con una parte della mente Pham si chiedeva di cosa si trattasse, e come avrebbe potuto trarne un vantaggio.

Ma per il momento la semplice sopravvivenza era ciò che contava. Se Diem avesse rinunciato a salire sulla Tesoro Lontano la trappola di Nau non sarebbe scattata, o non in modo mortale.

La faccia del diamante alla sua sinistra, la più grande gemma di tutti i tempi, stava brillando investita dalla luce del sole. Poco più avanti il telone protettivo sul materiale sfuso ondeggiava, attaccato in tre soli punti.

A un tratto Pham si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Girò su se stesso e si afferrò a una sporgenza. Fu attraverso di essa che sentì la massa montagnosa gemere e scricchiolare. Da tutta la lunghezza della fenditura si staccò una nebbia di polvere… e il gigantesco diamante si mosse. Si stava spostando di appena un centimetro al secondo, ma si spostava. C’erano barbagli di luce nel suo interno vitreo. Pham aveva visto le mappe di quegli asteroidi. Gli ingegneri Emergenti avevano congiunto Diamante Uno e Diamante Due sfruttando una loro superficie piana, usando l’avvallamento che s’era formato fra essi per le materie prime prelevate, da Arachna. Un’idea buona… ma realizzata male. Ora quei gas scivolavano via nell’interstizio fra le due montagne, e dilatandosi le separavano. Quello che era stato uno scudo solido largo centinaia di metri si stava frammentando, e la luce scintillava come su un milione di specchi più brillanti dell’inferno.

— Cento quarantacinque kilowatt al metro quadro.

— Questo dev’essere il picco massimo — disse qualcuno. OnOff stava brillando con un’intensità cento volte superiore al normale. Era ancora nei limiti del previsto, ma più luminosa della maggioranza delle Riaccensioni precedenti. OnOff avrebbe continuato così per altri diecimila secondi, poi sarebbe calata fino a una potenza di emissione doppia del normale e rimasta stabile per alcuni anni.

Ci furono dei mormorii soddisfatti. Nelle ultime centinaia di secondi la gente nel provvisorio era rimasta quasi zitta. Qiwi Lisolet dapprima aveva pensato soltanto alla sua rabbia nel vedersi mandata lì al sicuro. Ma poi s’era calmata, mentre i legami della copertura argentata si rompevano uno dopo l’altro e il ghiaccio entrava a contatto con la luce solare diretta. — Gliel’ho detto a Jimmy che non avrebbero tenuto — mormorò, ma non sembrava più arrabbiata. Il ritorno della luce era spettacolare, ma i danni erano superiori al previsto. Dappertutto sfuggivano nello spazio correnti di gas, e non si vedeva come pochi piccoli jet elettrici potessero controbilanciarne la spinta. Quattrocento secondi dopo la Riaccensione, il telo protettivo si staccò del tutto e fluttuò via nel cielo violetto. Non c’era traccia della squadra che era stata vista rifugiarsi sotto di esso. Ci furono mormorii stupiti. Nau regolò un microfono a colletto e la sua voce si udì in tutta la sala: — Non preoccupatevi. La squadra addetta ai jet ha avuto tutto il tempo di vedere che il telone stava cedendo. Si sono riparati nell’ombra dell’asteroide.

Qiwi annuì, ma sottovoce disse a Ezr: — Il problema è che non stanno manovrando neppure i jet disposti nell’ombra. Non sono là.

Ezr sentì una mano di lei scivolare in una delle sue. Strano gesto da parte della Marmocchia. Ma dopo un momento gliela strinse, per rassicurarla. Fu allora che le inquadrature delle finestra oscillarono, come se qualcosa avesse colpito contemporaneamente tutte le telecamere. E dal basso provenne un suono, un gemito che salì e scese di intensità nell’aria del provvisorio.

— Caponave! — La voce insistente e allarmata non era quella del tecnico che aveva fatto i suoi monotoni rapporti. Era Ritser Brughel. — Diamante Due si muove, si alza… — Nello stesso momento tutti se ne accorsero. L’intero asteroide si stava girando, miliardi di tonnellate, libere.

Il gemito che si udiva nel provvisorio dovevano essere gli ancoraggi sotto tensione.

— Noi non siamo sul suo percorso, signore. — disse Ezr.

L’enorme massa si scostava lentamente, ma in direzione opposta al provvisorio e ad Hammerfest e alle navi ancorate. Tutti i presenti erano andati a cercare delle ringhiere a cui ancorarsi.

Hammerfest era fissato a Diamante Uno, e la grande roccia sembrava ferma. Le navi, più oltre, erano ninnoli al confronto, e oscillavano all’ormeggio dei cavi fissati su Diamante Uno. Era una danza di leviatani, ma una danza che le avrebbe ridotte in rottami se fosse continuata.

— Caponave! — esclamò ancora Brughel. — Ricevo in audio il capoequipaggio Diem.

— Passalo sul canale comune!

Oltre il compartimento stagno era buio. Le luci non s’erano accese, e non c’era atmosfera. Jimmy Diem e gli altri fluttuarono avanti nel tunnel girando qua e là le lampade sui loro caschi. Guardarono dentro locali vuoti, e dentro altri in cui le paratie erano state strappate via lasciando cavi penzoloni dappertutto. Quella avrebbe dovuto essere una nave non danneggiata dalla battaglia. Diem aveva una morsa allo stomaco. Il nemico era entrato lì dentro dopo Io scontro e aveva distrutto o portato via molte attrezzature, riducendola a un guscio vuoto.

Dietro di lui Tsufe disse: — Jimmy, la Tesoro si sta muovendo.

— Sì. Io ho un buon punto d’appoggio, qui. Sembra che i cavi d’ormeggio la tirino da una parte e dall’altra.

Diem appoggiò il casco alla paratia. Sì. Se ci fosse stata atmosfera la nave sarebbe stata piena dei rumori di cose che andavano in pezzi. Dunque la Riaccensione stava causando più sconquasso del previsto. Il giorno prima questo lo avrebbe terrorizzato. Ora… — Non credo che importi molto, Tsufe. Proseguiamo. — E incitò con un gesto Do e Patil. Così Pham Trinli aveva ragione, e il piano era fallito. Ma qualunque ne fosse la causa lui voleva sapere cos’era successo lì dentro.

I compartimenti stagni interni non c’erano più, e il vuoto si estendeva in ogni direzione. La squadra fluttuava attraverso quello che un tempo era stato un cantiere di riparazione, ma non c’era più niente, e al posto degli iniettori d’accensione ram c’erano soltanto degli enormi buchi.

Più avanti, nella ben protetta stiva della Tesoro Lontano, c’erano i contenitori per il sonno freddo. Nel muoversi a contatto della paratia Jimmy e gli altri potevano sentire con le mani le vibrazioni e gli schianti della nave in lento movimento. Fino a quel momento non sembrava che le navi fossero venute in collisione fra loro, anche se Jimmy non era certo di potersene accorgere. Le navi erano così enormi e pesanti che venendo a contatto con una velocità di un solo centimetro al secondo avrebbero potuto schiantarsi una dentro l’altra, data l’enorme inerzia della loro massa.

Erano all’ingresso della stiva. Dove gli Emergenti dichiaravano di aver ricoverato gli armieri superstiti.

Vuoto anche lì. Un’altra bugia?

Jimmy oltrepassò il portellone. Le loro lampade girarono da una parte e dall’altra.

Tsufe Do gridò inorridita.

Non il vuoto. Cadaveri. Jimmy illuminò a destra e a sinistra. I contenitori del sonno freddo erano stati portati via, ma il vasto locale era… pieno di corpi umani. Diem staccò la sua lampada e la fissò a una paratia. Le loro ombre danzavano ancora, sulla paratia opposta, ma adesso poteva vederli meglio.