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Buffo che lei sostenga un punto di vista così tradizionale.

Sherkaner: — Sarà come colonizzare un mondo nuovo.

— No! Sarà come ricolonizzare il nostro. Sherkaner, consideriamo il “caso migliore”, quello che secondo te noi militari coi paraocchi ignoriamo sempre. Diciamo che gli scienziati sviluppino la teoria. E diciamo che in dieci anni o entro il 60/10 al massimo la Corona cominci a costruire impianti atomici per le tue ipotetiche città-nella-Tenebra. Anche se il resto del mondo non avesse portato avanti ricerche atomiche, costruzioni sotterranee così estese non potranno essere tenute segrete. Così, anche se non ci fossero altri motivi di guerra, questo basterebbe per farne scoppiare una. E sarebbe molto peggiore della Grande Guerra, e più feroce.

— Ugh! — grugnì Unnerbai. — È così. I primi a colonizzare la Tenebra diventerebbero padroni del mondo.

— Già — annuì Victreia Smait. — Io non giurerei che la Corona rispetterebbe le proprietà altrui, in una situazione simile. Ma sono sicura che la gente si sveglierebbe in schiavitù, e in mezzo a montagne di cadaveri, se a colonizzare la Tenebra fosse qualche popolazione come i Kindred.

Era il genere di incubo che aveva spinto Unnerbai a lasciare l’esercito. — Spero che non le sembri sleale, ma ha pensato a seppellire l’idea dell’energia atomica e delle città nella Tenebra? — domandò a Victreia Smait. Accennò ironicamente a Underhill. — Magari il nostro genio potrebbe inventare qualcos’altro, no?

— Mi sembra che lei abbia perso la mentalità militare insieme all’uniforme, sergente. Comunque, sì, ho pensato a cosa succederebbe sopprimendo l’idea. Forse, dico forse, se il nostro Sherkaner tenesse la bocca chiusa, questo potrebbe bastare. Se nessuno cominciasse fin d’ora le ricerche, nessuno riuscirebbe a realizzare qualcosa di concreto prima della prossima Tenebra. E non escludo che si sia lontani ancora generazioni dal poter mettere la teoria in pratica… questo è ciò che dicono alcuni scienziati.

— Be’, ti rispondo io — disse Underhill. — Questa fonte d’energia sarà esplorata dalla scienza fin troppo presto. Anche se noi non intraprendiamo le ricerche, fra quindici o vent’anni altri capiranno che è un grosso affare economico. Solo che allora sarà troppo tardi per progettare impianti atomici o scavare città sotterranee. Sarà troppo tardi per conquistare la Tenebra… ma non per costruire armi atomiche. Tu parlavi del radium, Hrunkner. Pensa a cosa potrebbero fare grandi quantità di questo materiale usato come veleno mortale. E questo sarebbe solo l’uso più ovvio. In realtà, qualunque cosa si decida ora, la società civile sarà in pericolo. In ogni caso perciò, se ci diamo dentro subito e con impegno, potremo mirare a un obiettivo meraviglioso: la civiltà attraverso la Tenebra.

Victreia Smait annuì con aria infelice. Unnerbai aveva l’impressione che gli altri due si fossero ripetuti le stesse cose decine di altre volte. Victreia Smait si era lasciata vendere il piano di Underhill… e a sua volta l’aveva venduto all’Alto Comando. I prossimi trent’anni sarebbero stati più eccitanti di quanto Hrunkner Unnerbai avrebbe mai pensato.

Giunsero alla piccola parrocchia di montagna quel pomeriggio sul tardi. Nelle ultime tre ore di viaggio avevano coperto appena una trentina di chilometri, sotto la tempesta, ma il tempo s’era rimesso al bello un paio di chilometri prima del villaggio.

A cinque anni dal Nuovo Sole, Profondità Notturne era stato in buona parte ricostruito. Le fondamenta in pietra erano sopravvissute al calore abbagliante e alle inondazioni. Come dopo ogni Tenebra da molte generazioni, gli abitanti del posto avevano usato i tronchi conici corazzati appena ricresciuti nella foresta per costruire il pianterreno delle abitazioni, dei negozi e della scuola elementare. Forse per l’anno 60/10 avrebbero avuto legname adatto ad aggiungere un secondo piano alle case e magari — alla chiesa — anche un terzo. Per il momento tutto era basso e verde, e i brevi tronchi conici davano un aspetto scalare alle costruzioni,

Underhill insisté per non rifornirsi di kerosene alla stazione di servizio sulla strada principale. — Conosco un posto migliore — disse, e guidò Victreia Smait lungo una vecchia strada.

Avevano arrotolato giù i finestrini. Non pioveva più, e spirava un vento secco quasi fresco. Fra le nuvole si aprì un varco, e per qualche minuto videro il sole fare capolino, ma la luce non era più rovente come qualche tempo addietro; il sole si stava calmando. Le nubi tumultuose erano rosse e arancione e color alfa, con sfumature ultra violetto e ultra indaco. La luce violenta sembrava incendiare il territorio. Dio, il surrealista.

Alla fine della strada ghiaiosa c’era un granaio lungo e basso, un recinto, e una singola pompa per il kerosene. — Sarebbe questo il “posto migliore”, Sherkaner? — grugnì Unnerbai.

— Be’, il più interessante, comunque. — L’altro aprì la portiera e scese dal trespolo. — Vediamo se questo artropode si ricorda di me. — Girò intorno all’auto un paio di volte per sgranchirsi. Dopo quella giornata di viaggio il suo tremito era più pronunciato del solito.

Anche Victreia Smait e Unnerbai scesero, e dopo qualche momento il gestore, un tipo robusto con un grosso paniere di utensili, uscì dal granaio. Lo seguivano un paio di piccoli.

— Vuole il pieno, vecchio ragno? — disse l’individuo.

Underhill gli sorrise, incurante di precisargli la sua età. — Questo è sicuro, amico. — Lo seguì alla pompa. Il cielo nello squarcio fra le nubi si stava arrossando. — Si ricorda di me? Passavo spesso di qui prima della Tenebra, su una grossa Relmeitch rossa. Lei faceva il fabbro, a quel tempo.

L’altro si voltò a guardarlo da capo a piedi. — La Relmeitch, quella me la ricordo. — I due piccoli di cinque anni danzavano dietro di lui, guardando incuriositi i nuovi venuti.

— Strano come le cose cambiano, eh?

Il gestore non sapeva a cosa Underhill si riferisse, ma dopo qualche momento i due stavano parlando come vecchi amici. L’individuo disse che stava mettendo su un’officina per le automobili, che secondo lui erano il futuro. Sherkaner gli fece i suoi complimenti e commentò che era un peccato che ci fosse un’altra stazione di servizio sulla strada principale. Disse che secondo lui là non erano altrettanto bravi con le riparazioni, e che gli conveniva piazzare dei cartelli pubblicitari per attirare gli automobilisti di passaggio. Il furgone della scorta arrivò sullo spiazzo, ma il gestore era così occupato in chiacchiere che se ne accorse appena. Era singolare come Underhill trovava sempre qualcosa di cui parlare con chiunque.

Nel frattempo Victreia Smait era andata a parlare col capitano che si occupava della sua sicurezza. Tornò indietro mentre Underhill stava pagando per il kerosene. — Dannazione. Comando Territoriale dice che per mezzanotte si attende una tempesta peggiore dell’altra. È la prima volta che esco in macchina, e si scatena l’inferno. — Si mostrava irritata, il che significava che era irritata con se stessa. Risalirono in auto e lei azionò il motorino d’avviamento, due volte, tre volte. Il motore si accese. — Per stanotte dormiremo all’aperto. — Per un momento tacque, indecisa, o forse stava studiando il cielo a meridione. — Conosco un terreno della Corona, a ovest di questa parrocchia.

Victreia Smait seguì delle stradicciole sconnesse, poi delle piste fangose. Unnerbai avrebbe pensato che s’era persa, se non fosse stato che non esitava mai agli incroci. Dietro di loro il veicolo della scorta era poco appariscente quanto una parata di osprech. L’ultimo sentiero li portò sopra un’altura da cui si vedeva il mare. Un giorno lì sarebbe cresciuta una boscaglia lussureggiante, ma ora neppure quei milioni di alberelli corazzati potevano nascondere la roccia nuda delle scarpate.