Alla fine della pista Victreia Smait frenò e sì volse verso di loro. — Scusate, io… devo aver sbagliato strada. — Si sporse dal finestrino e accennò di fermarsi al furgone che li seguiva.
Unnerbai guardò il cielo e la distesa dei mare. A volte sbagliare strada non era la peggiore delle cose. — Non si preoccupi. Dio, che panorama si vede da quassù. — Gli squarci fra le nubi erano come profondi canyon, e da essi scendeva la luce rossa del tramonto. Sulle foglie bagnate intorno a loro scintillavano miliardi di rubini. Unnerbai scese dall’auto e s’incamminò verso l’estremità del promontorio. Il tappeto della foresta scricchiolava sotto i suoi piedi. Dopo un momento anche Sherkaner scese e lo seguì.
La brezza che spirava dal mare era molto umida; non c’era bisogno di interrogare il Dipartimento Meteorologico per sapere che stava arrivando una tempesta. Quella zona distava cinque chilometri dai frangenti che squassavano le coste, praticamente la distanza di sicurezza minima in quegli anni. Fin da lì si sentiva il frastuono con cui il mare sgretolava le rocce. Gli iceberg erano dozzine, e si stavano spezzando sui bassi fondali, ma al largo ce n’erano molte centinaia, fino all’orizzonte.
Era l’eterna battaglia: i fuochi del Nuovo Sole contro i ghiacci della buona terra. Nessuno dei due avrebbe vinto. Sarebbero occorsi vent’anni prima che l’ultimo blocco di quel mare che era stato ghiaccio si fosse sciolto. Per allora il sole sarebbe stato già Calante. Perfino Sherkaner sembrava intimidito da quello scenario.
Victreia Smait aveva lasciato la macchina, ma invece di accodarsi a loro tornava indietro, lungo la dorsale del promontorio. Povero generale Smait. Non sa decidere se questo è un viaggio di piacere o di lavoro. A Unnerbai non dispiaceva affatto non essere riusciti a raggiungere Comando Territoriale in una sola tappa.
Lui e Underhill tornarono indietro verso i veicoli. Su un lato del promontorio c’era una piccola valle, e quindi un’altra collina; sopra di essa si scorgeva un piccolo edificio, forse una locanda. Victreia Smait era andata a fermarsi dove la scarpata non era cosi scoscesa, e sembrava transitabile. Un tempo doveva esserci stata una carrareccia che scendeva in fondo alla valle e risaliva sul versante dell’altra collina.
Sherkaner si fermò accanto a sua moglie e le mise le sue braccia sinistre sulle spalle; dopo un momento lei poggiò un paio di braccia sopra le sue, senza dir parola. Unnerbai andò fin sull’orlo della discesa e guardò in basso. Sì, c’era il tracciato di una vecchia strada che scendeva da lì. Ma le tempeste e le inondazioni del Nuovo Sole avevano spazzato via tutto, e la piccola valle appariva spoglia come appena uscita dalle melme della preistoria. — Uh-hu, non c’è modo di scendere da qui, signora. Questa strada è stata ripulita perfino dal terreno, e non restano che rocce.
Victreia Smait annuì pensosamente. — Sì, ripulita è proprio la parola adatta…
— Però — disse Sherkaner, — potremmo scendere a piedi e salire fin lassù. — Indicò l’edificio sulla dorsale oltre la valle. — Potremmo vedere se la signora Encl…
Victreia lo abbracciò brevemente, con forza. — No. Quella casa non può ospitare che tre di noi, del resto. Faremo il campo con quelli della mia squadra.
Sherkaner ridacchiò, annuendo. — Per me va bene. Sono curioso di vedere l’ultimo modello di tende isolanti per le forze armate. — Seguirono Victreia Smait sulla strada. Quando giunsero ai veicoli Sherkaner era di nuovo in gran forma, e delineava il progetto di una tenda speciale capace di sopravvivere anche alle prime tempeste del Nuovo Sole.
15
In piedi davanti alla finestra della sua camera da letto, Tomas Nau guardava lo spazio. In realtà la stanza era cinquanta metri sotto la superficie di Diamante Uno, ma il panorama fornito dalla finestra era ripreso da una delle torri più alte di Hammerfest. Dal tempo della Riaccensione i suoi appartamenti s’erano molto ampliati. Le lastre di diamante tagliate dall’asteroide fornivano ottime pareti interne, e i focalizzati erano sempre lieti di levigare e scolpire quel materiale fornendogli così una dimora molto più lussuosa di quella che aveva avuto in patria.
Il terreno intorno ad Hammerfest era stato spianato, e non distante da lì c’era l’enorme massa di materie prime scavata da Diamante Due. Nau cercava di mantenere quella collinetta fra l’habitat e il sole in modo che soltanto le torri fossero esposte alla luce. Da un anno quella cautela non era più necessaria, ma lì attorno c’era ancora tutto il loro gas congelato ed era bene che restasse allo stato solido. Arachna incombeva in mezzo al firmamento, un disco bianco e azzurro largo mezzo grado. La sua luce illuminava morbidamente i dintorni del castello. C’era una notevole differenza con i primi Msec di permanenza li, il tempo della Riaccensione. Nau aveva lavorato cinque anni per ottenere quell’ambiente pacifico.
Cinque anni. E quanti altri anni sarebbero rimasti inchiodati lì? Da trenta a quaranta, era la stima più ottimistica degli specialisti; tanto sarebbe occorso ai Ragni per sviluppare un’economia industriale. Strano come s’erano evolute le cose. Quello era a tutti gli effetti un Esilio, ma diverso da come lui aveva pianificato le cose su Balacrea. La missione originale doveva essere un altro tipo di rischio calcolato; un paio di secoli lontano dalla politica sgradevole del regime, un’opportunità di sviluppare le sue risorse lontano da pericolosi intrallazzatori… e in più la dorata opportunità di attingere ai segreti di una razza non umana capace di viaggiare fra le stelle. Nau non aveva previsto che i Qeng Ho arrivassero lì per primi.
La conoscenza tecnologica dei Qeng Ho era stata importante per la rinascita della società Emergente di Balacrea. Tomas Nau aveva studiato a lungo i Qeng Ho, ma prima di incontrarli personalmente non s’era resoconto di quanto fossero diversi. Erano ingenui, non organizzati per sfruttare al meglio certi vantaggi. Infettarli col virus mentale era stato facile, e così anche riunirli in modo che ogni loro nave fosse esposta alla sorpresa dell’attacco. La loro ammiraglia era stata distrutta nei primi cento secondi dell’azione. Ma i Mercanti avevano combattuto in modo sorprendente e ottenuto risultati imprevisti, certo grazie ad automatismi preparati in anticipo per colmare le lacune personali degli individui. Quando finalmente il virus mentale li aveva messi a terra, entrambe le parti avevano subito danni gravissimi. E dopo la battaglia c’era stato quello che Nau vedeva come il suo secondo errore. Il virus mentale poteva uccidere i Mercanti, ma pochi di loro erano adatti a essere focalizzati. L’interrogatorio dei prigionieri, che avrebbero dovuto essere indeboliti mentalmente dal virus, era stato inutile. Alla fine, tuttavia, lui aveva trovato l’espediente giusto per trasformare quella vittoria di Pirro in un mezzo per unificare i superstiti.
Svuotando le astronavi danneggiate era stato possibile ammobiliare con lusso Hammerfest, e creare la bella ed efficiente clinica del Focus. L’alta tecnologia recuperata dai relitti era bastata. Il resto sarebbe venuto dalle materie prime trovate in loco e dalla futura società industriale dei Ragni.
Trenta o quarant’anni. Potevano farcela. I contenitori per il sonno freddo erano più che sufficienti. La cosa importante adesso era studiare i Ragni, la loro lingua, la storia e la cultura. Per migliorare l’efficienza il lavoro era stato suddiviso in turni di sonno e di veglia, alternando qualche Msec in servizio e un paio d’anni di sonno freddo. Alcuni, come gli scienziati e i traduttori, avrebbero trascorso più tempo svegli. Altri, i piloti e le squadre tattiche, praticamente inutili nei primi anni della missione, sarebbero tornati in attività solo verso la fine. Nau aveva spiegato quel programma alla sua gente e ai Qeng Ho. E ciò che aveva promesso era sostanzialmente vero. I Qeng Ho avevano una grossa esperienza nelle operazioni spaziali e nei contatto con altre culture. Con un po’ di fortuna, l’individuo medio sarebbe uscito dall’Esilio con una perdita di dieci o dodici anni di tempo soggettivo. Lui ne avrebbe approfittato per esplorare la biblioteca dei Qeng Ho; intendeva sfruttare al massimo la loro conoscenza dello Spazio Umano.