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Sherkaner non rispose subito. A Unnerbai parve che l’attenzione dell’amico fosse tornata sulla rastrelliera giunglo-ginnica e sui due piccoli.

La sala era una bizzarra combinazione del vecchio caos intellettuale di Underhill e della nuova paternità. Al suolo c’erano tappeti costosi, alle pareti dei lavori artistici, le finestre erano pannelli di quarzo alti dal pavimento al soffitto e l’odore delle felci primaverili entrava attraverso le inferriate. Ovunque c’erano lampade elettriche, in quel momento spente.

La sola luce era quella che filtrava fra le alte felci, ma bastava a Unnerbai per leggere i titoli dei libri più vicini. C’erano testi di psicologia, di matematica, di elettronica, anche uno di astronomia, e molti di storie illustrate per bambini. I libri erano ammucchiati anche sul pavimento fra i giocattoli dei piccoli e sofisticati apparecchi di laboratorio, e non era chiaro se fossero più importanti i primi o i secondi.

Alla fine Underhill disse: — Hai ragione, il denaro da solo non fa il progresso. Occorre tempo per fare le macchine che fanno le macchine e così via. Ma abbiamo ancora venticinque anni, e il generale mi dice che sei un genio nel dirigere un’operazione così complessa.

Unnerbai grugnì scorbutico, per non mostrare quanto contava per lui quell’elogio. — Grazie tante. Ma io ti sto dicendo che tutto questo non basta. Se vuoi che la cosa sia fatta in meno di vent’anni, occorre di più.

— Sì, e cosa?

— Occorri tu, dannazione! Il tuo intuito. Fin dai primi anni del progetto stai rintanato qui a Principalia, facendo solo Dio sa cosa.

— Ah… senti, Hrunkner, mi dispiace. Questa roba atomica non mi interessa più come una volta.

Dopo tutti gli anni dacché conosceva Underhill, Unnerbai non avrebbe dovuto stupirsi di una frase del genere. Invece gli venne l’impulso di mordersi le mani. Ecco qui un individuo che abbandonava un campo di studi ancor prima che gli altri sapessero della sua esistenza. Se fosse stato un pazzoide, Unnerbai avrebbe saputo cosa fare. A volte aveva provato la tentazione di uccidere quel dannato artropode.

— Sì — proseguì Underhill. — Hai bisogno di altra gente in gamba. Io ho lavorato anche su questo, e dovrò mostrarti alcune cose. Ma anche così — disse, buttando altro olio sul fuoco, — secondo me l’energia atomica si rivelerà perfino facile, a confronto di altre sfide.

— Altre sfide. Ah sì? E quali?

Sherkaner rise. — Allevare dei figli, per dirne una. — Indicò l’antico orologio a pendolo contro una parete. — Pensavo che gli altri artropodi sarebbero stati qui, a quest’ora. Be’, forse intanto potrei mostrarti l’istituto. — Scese dal suo trespolo e cominciò a fare gesti, nel ridicolo modo dei genitori quando chiamavano i figlioletti. — Venite giù, avanti. No… Rhapsa, stai lontana dall’orologio! — Troppo tardi: i piccoli erano già scesi dalla giunglo-ginnica balzando sul pendolo, e si lasciarono scivolare fin sul pavimento. — Ho tanta di quella roba, qui, che temo sempre che qualcosa cada loro addosso e li schiacci. — I due attraversarono la sala, s’inerpicarono fino agli appigli sul dorso del padre e scomparvero fra la peluria. Erano poco più grossi delle fate di bosco.

Underhill aveva ottenuto che il suo istituto fosse equiparato a una Scuola Reale. La casa sulla collina conteneva un buon numero di aule, sparse sull’arco del perimetro esterno. E non erano i fondi della Corona a pagare le spese, a sentir lui. Buona parte delle ricerche erano pagate da ditte private, che investivano il loro denaro sulla reputazione di Sherkaner Underhill. — Avrei potuto prendermi i migliori insegnanti delle Scuole Reali, ma ho voluto essere onesto e fare un patto con gli altri istituti: i professori da me assunti possono continuare a insegnare da loro, purché lo facciano nel tempo libero. Qui mi aspetto soltanto lavoro di ricerca.

— Non fanno lezioni in classe?

Quando Sherkaner scrollava le spalle, i due piccoli saltavano su e giù e mandavano striduli miip-miip, che probabilmente significavano “fallo ancora, papà!”.

— Sì, abbiamo delle classi… una specie. La cosa importante è che gli insegnanti di materie diverse possano parlare fra loro durante il lavoro. Per gli studenti un corso cosi informale è un rischio, ma quelli brillanti ne traggono un vantaggio, mentre gli altri dopo un po’ tornano nelle scuole normali.

In molte classi c’erano due o tre persone alla lavagna, e gli altri appollaiati attorno su trespoli bassi. Era difficile capire chi fossero gli insegnanti e gli studenti. In alcuni casi Unnerbai non riuscì neanche a capire di che materia parlassero. Si fermarono davanti a un’aula dove un artropode della generazione attuale stava facendo lezione a un gruppo della generazione precedente. Quando si volsero, Sherkaner sorrise e accennò loro di continuare. — Ricordi l’aurora che abbiamo visto in cielo, nella Tenebra Profonda? Qui ho un giovane che afferma che è stata causata da oggetti nello spazio, cose completamente oscure.

— Non erano oscure quando le abbiamo viste.

— Infatti. Forse hanno qualcosa a che fare con l’innesco del Nuovo Sole. Io ho i miei dubbi. Jaiber non ne sa molto di meccanica celeste. La sua specialità è un’altra; sta lavorando a un apparato che può irradiare onde molto corte.

— Sì? Qualcosa tipo infrarossi o ultravioletti?

— No, si tratta di un rivelatore di tipo singolare. Dice che con il ritorno di rimbalzo di queste onde sarà possibile individuare quelle sue rocce nello spazio.

Mentre proseguivano in un corridoio Unnerbai notò che Underhill taceva, senza dubbio per dargli il tempo di assimilare quell’idea. Hrunkner Unnerbai era un tipo pratico; sospettava che fosse quello il motivo per cui il generale Smait lo voleva a capo di progetti che non sembravano aver molto di pratico. Ma anche lui poteva lasciarsi eccitare da un’idea abbastanza spettacolare. Aveva solo una vaga idea di come si comportavano le onde corte, pur sapendo che dovevano essere molto direzionali. Il valore militare di una scoperta simile poteva essere maggiore di quel che Jaiber immaginava. — Ha già costruito questo apparecchio?

Underhill si accorse del suo interesse ed ebbe un sogghigno. — Sì. E da parte di Jaiber è geniale. Lo chiama oscillatore cavo. Abbiamo montato un’antenna sul tetto. Sembra più uno specchio ustorio che un trasmettitore-ricevitore. Victreia ha fatto installare una serie di ripetitori da qui a Comando Territoriale, e possiamo parlare con lei chiaramente come via cavo. Sto usando questa linea per sperimentare fra l’altro anche le trasmissioni cifrate.

Nel caso che il “rivelatore spaziale” di Jaiber non funzioni. Sherkaner Underhill era più matto che mai, e Unnerbai cominciava a capire a cosa stava mirando e perché aveva smesso di interessarsi all’energia atomica. — Tu pensi davvero che questa scuola produrrà le menti geniali che ci servono a Comando Territoriale?

— Può trovare gente in gamba… e io credo che stiamo tirando fuori il meglio dalle scoperte fatte finora.

Salirono per una scala a spirale che poco più tardi li portò in un atrio, presso la sommità della casa-sul-colle. Intorno a Principalia c’erano colline più alte, ma la vista da lì era spettacolare anche sotto la pioggia. Unnerbai vide un trimotore che stava atterrando all’aeroporto. Sull’altro lato della valle c’erano vaste opere di scavo nel granito delle colline e strisce di asfalto fresco. Lui conosceva la ditta che eseguiva quei lavori. Era gente sicura che ci sarebbe stata energia sufficiente a tenere in vita la città durante la Tenebra. Cosa sarebbe stata Principalia, se questo era vero? Una città sotto le stelle, esposta al vuoto, e tuttavia non addormentata e con tutte le sue profondità vuote. Il rischio maggiore sarebbe stato negli ultimi anni del Sole Calante, quando la gente avrebbe dovuto decidere se prepararsi per una Tenebra convenzionale oppure giocarsi la pelle con le realizzazioni dell’ingegneria moderna. Ciò che dava gli incubi a Unnerbai non era il fallimento, ma il successo soltanto parziale.