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— Mamma!

Il passato non sentì il suo urlo. Nau continuò a fare quel che stava facendo. Qiwi si piegò in avanti, e un conato di vomito schizzò sulla rastrelliera e oltre. Non poteva più vedere l’immagine, ma i rumori del passato continuavano come se la scena si svolgesse lì in quel momento. Quando dallo stomaco non le uscì più niente, si strappò il visore dalla faccia e lo gettò via. Rantolò stordita, piegata in due, incapace di pensare per l’orrore.

La porta si aprì e un’altra luce si accese. Ci furono delle voci, e stavolta appartenevano al presente. — Sì, eccola qui. Avevi visto giusto, Marli.

— All’inferno, guarda che schifo… che puzza. — Ci furono i rumori di due uomini che fluttuavano dentro. D’istinto lei si spinse via, aggrappandosi a una maniglia a parete. Un uomo le si accostò.

— L’ho presa. Ora tu…

Qiwi avventò una mano di taglio verso la sua gola, in un colpo che avrebbe potuto fratturargli la trachea, ma l’uomo si scostò. La sua mano sbatté contro la paratia, con una fitta di dolore che le paralizzò il braccio fino alla spalla. Poi ci fu lo schiocco di una pistola a dardi e lei si girò, cercando di spingersi lontano dai due aggressori; ma le sue gambe erano già come morte. I due aspettarono prudentemente qualche secondo. Infine quello che aveva sparato, Marli, venne ad afferrare il corpo di lei che fluttuava inerte e la fece girare. Qiwi non poteva muoversi. Riusciva appena a respirare. Sentì che Marli la perquisiva, palpeggiandole il ventre e i seni. — È disarmata, Tung — disse, con un sogghigno. — Però conosce le arti marziali. Per poco non ti rompeva il collo.

— Stupida cagna — ringhiò Tung.

— L’avete presa? Ah, bene. — Era la voce di Tomas Nau, dalla porta. Marli tolse la mano dai seni di lei. La spinse oltre la rastrelliera, nella parte più sgombra della stanza.

Qiwi non poteva girare la testa, ma vide quel che c’era di fronte a lei. Tomas, tranquillo come sempre. Tranquillo come sempre. L’uomo le gettò un’occhiata di passaggio e fece un cenno a Marli. Lei cercò di gridare ma non emise alcun suono. Tomas mi ucciderà, come tutti gli altri… Dio, fa che non mi uccida. Se non mi ucciderà, niente nell’universo potrà salvarlo.

Tomas si girò. Dalla porta era entrato anche Ritser Brughel, mezzo nudo e con l’aria ingrugnita. — Ritser, così non andiamo bene — disse il caponave. — Quando le ho dato la tessera d’accesso era al preciso scopo di rendere nota la sua posizione. Tu sapevi benissimo che stava venendo qui, e non hai fatto niente per impedirglielo.

Brughel scrollò le spalle. — Non ho avuto il tempo. Stavo facendo un’altra cosa, e poi come potevo immaginare che volesse ficcare il naso? Qui non c’era mai venuta.

Tomas guardò il vice caponave. — Che ti abbia colto alla sprovvista posso capirlo, ma avresti potuto bloccarla prima che mettesse piede in questa stanza. — Scrutò Qiwi, e la sua espressione si fece pensosa. — Qualcosa di imprevisto le ha messo in testa dei sospetti. Incarica Kal di sondare tutti quelli con cui ha parlato oggi.

Poi l’uomo fece un gesto a Marli e Tung. — Mettetela in una cassa e portatela giù ad Hammerfest. Dite ad Anne che voglio il solito lavoro.

— Quale fetta di ricordi bisogna amputarle, signore?

— Su questo mi consulterò più tardi con Anne. Prima dobbiamo controllare alcune registrazioni.

Qiwi vide le pareti del corridoio scorrere, mentre due mani la rimorchiavano via. Quante volte questo è successo ad altri? Per quanto si sforzasse disperatamente non riusciva a muovere un muscolo. Dentro di sé stava gridando. Non mi amputeranno la memoria. Io ricorderò. Io ricorderò!

22

Pham Trinli seguiva Trud Silipan su per la torre centrale di Hammerfest, verso l’attico. Quello poteva essere il momento che aveva cercato per molti Msec, aggirandosi nei pressi: una scusa per mettere il naso nel sistema del Focus e nei suoi segreti. Avrebbe potuto riuscirci prima, dato che lo stesso Silipan s’era già offerto altre volte di condurlo lì. Durante i Turni in comune Pham aveva espresso sciocche opinioni a Silipan e a Xin, che non s’erano mostrati contrari a mettere riparo alla sua ignoranza. Ma lui non aveva fretta. Non fare mosse false. Rifilare i localizzatori a Nau ti ha messo in pericolo più di ogni altra cosa, finora,

— Oggi finalmente potrai dare un’occhiata dietro le quinte, Pham, vecchio mio. E poi spero che la smetterai di romperci le tasche con le tue teorie squinternate. — Silipan stava sogghignando, come se avesse pregustato quel momento.

I due fluttuarono avanti in stretti tunnel che si biforcavano ogni pochi metri. Quel posto sembrava un carcere.

Pham si accostò a Silipan. — Cosa c’è di tanto speciale? Voialtri Emergenti potete trasformare la gente in robot. E con ciò? Neppure una testarapida può fare più di una o due moltiplicazioni al secondo. Le macchine sono un miliardo di volte più veloci. Con le vostre testerapide vi prendete la soddisfazione di vedere gente che vi ubbidisce senza discutere… e a che scopo? Per avere i più goffi e lenti robot da quando l’umanità ha imparato a scrivere.

— Sicuro, queste sono le scemenze che dici da anni, e neanche capisci quanto ti sbagli. — Silipan rallentò con un piede contro una parete. — Dentro la sala di gruppo vedi di tenere la voce bassa, d’accordo. — Erano giunti a una vera porta, non uno dei tanti sportelli da nani. Silipan la aprì ed entrarono. La prima impressione di Pham fu odori corporali e umanità affollata in spazi ristretti.

— Sembrano piuttosto macilenti, eh? Sono sani, però. Ci penso io a questo — disse Silipan, con orgoglio professionale.

C’erano file e file, verticali e orizzontali, di sedili a zero-G su una rastrelliera che non sarebbe rimasta in piedi con gravità normale. Quasi tutti erano occupati, da uomini e donne di ogni età in tuta grigia. Davanti alla faccia avevano i visori-premio Qeng Ho a forma di occhiale. Non era quel che Pham si sarebbe aspettato. — Credevo che li teneste isolati. — In minuscole celle, come Ezr Vinh aveva riferito più volte, parlandone al bar.

— Alcuni li isoliamo. Dipende da ciò che fanno. — Silipan indicò i due attendenti della sala, vestiti come infermieri di ospedale. — Questo è il gruppo dei meno importanti. Due uomini possono occuparsi delle loro necessità, e dei litiganti.

— Litiganti?

— Disaccordi professionali. — Silipan ridacchiò. — Semplici battibecchi. Diventano pericolosi solo quanto mettono in pericolo l’equilibrio psichico dei mentecatti.

Fluttuarono su diagonalmente attraverso le file. Molti dei visori erano trasparenti e Pham vide muoversi gli occhi delle testerapide. Ma nessuno parve notare lui e Trud Silipan. La loro attenzione era altrove.

In sala c’era un mormorio di voci. Molti dei presenti stavano parlando, con termini tecnici e parole abbreviate, una versione del nese del tutto incomprensibile. L’effetto globale era ipnotico.

Le mani delle testerapide si muovevano incessantemente su piccole tastiere. Silipan indicò le dita dei più vicini, fieramente. — Vedi le protesi che alcuni hanno al posto delle dita? Sono più pratiche da inserire, in caso di incidente. Quando uno si spezza un dito glielo amputiamo subito, così non deve perdere giorni di lavoro. Ogni tanto ne perdiamo qualcuno, dato che la Reynolt non può fornirli di un controllo completo. Ad esempio, giorni fa uno di loro ha avuto un’appendice perforata, subito dopo un controllo medico che non aveva notato niente. Era uno degli isolati. Le sue prestazioni avevano avuto un calo, ma la cosa non è diventata un problema finché non gli è praticamente scoppiato l’intestino. — E così lo schiavo era morto, troppo occupato nel suo lavoro per gridare di dolore, troppo poco controllato perché qualcuno se ne accorgesse. Silipan non si occupava dei singoli, ma della media.