Ezr Vinh aveva conosciuto Qiwi Lin Lisolet durante il periodo pre-Volo, nell’orbita di Triland. A quel tempo era una bambina di otto anni appiccicosa in modo insopportabile, che per qualche motivo aveva scelto lui come oggetto privilegiato delle sue attenzioni. Dopo ogni turno di esercizio fisico in palestra aveva l’abitudine di raggiungerlo alle spalle e mollargli un pugno nelle costole… e più lui imprecava, più lei sembrava godersela. Una sana sculacciata le avrebbe guastato il divertimento. Ma un giovanotto non poteva prendere a sculacciate una bambina di otto anni; a Qiwi ne mancavano nove all’età in cui questo non avrebbe avuto conseguenze legali. Poi Ezr era andato in sonno freddo, come quasi tutti gli altri.
Il posto per i bambini non in sonno freddo era prima di un viaggio e dopo, non durante, insieme all’equipaggio, specialmente se si trattava dell’equipaggio ridotto di turno nel desolato spazio interstellare. Ma la madre di Qiwi possedeva il venti per cento della spedizione. La Famiglia Lisolet.17 era di tipo matriarcale, originaria di Strentmann, dall’altra parte dello spazio percorso dai Qeng Ho. Erano gente insolita sia nell’aspetto fisico che nelle usanze. Dopo la partenza da Triland un sacco di regole dovevano essere siate infrante, ma Qiwi era finita nell’equipaggio. Aveva trascorso sveglia più anni di viaggio di chiunque fra il personale di turno. L’inizio della sua adolescenza era così trascorso fra le stelle, con pochi adulti attorno, e di rado i suoi genitori. Questo solo pensiero bastava a spegnere l’irritazione di Ezr. La povera ragazzina. Comunque non era più tanto piccola. Qiwi ormai doveva essere sui quattordici anni di tempo soggettivo. E adesso i suoi attacchi fisici erano stati sostituiti da quelli verbali… una buona cosa, considerando il fisico ad alta gravità degli Strentmanniani.
Ora i due stavano scendendo lungo l’asse centrale del provvisorio. — Ehi, Raji, come va? — Qiwi salutava con un cenno o un sorriso una persona su due fra quelli che incrociavano. Nei Msec trascorsi dall’arrivo degli Emergenti il comandante Park aveva scongelato quasi metà dell’equipaggio della flotta, abbastanza personale da occuparsi di tutti i veicoli e delle armi, con sostituti pronti a intervenire. Millecinquecento persone non sarebbero state molte nel provvisorio dei suoi genitori. Qui erano una folla, anche se la maggior parte erano a bordo delle navi durante l’orario di lavoro. Con tutta quella gente non si poteva evitare di notare che gli alloggi erano realmente provvisori, date le nuove aree che venivano gonfiate di continuo. L’asse principale era già diventato il punto d’incontro di quattro enormi palloni. La superficie si curvava ogni volta che quattro o cinque persone scivolavano dentro contemporaneamente.
— Io non mi fido degli Emergenti, Ezr. Dopo tutte quelle chiacchiere su quanto gli piace essere generosi, ci taglieranno la gola.
Lui ebbe un grugnito, seccato. — Allora com’è che sei tanto di buonumore?
Fluttuarono accanto a una sezione trasparente, una vera finestra, non stratofoto. Oltre c’era il parco del provvisorio. In realtà era poco più di un grosso bonsai, ma probabilmente conteneva più spazio aperto ed esseri viventi di ogni habitat sterilizzato degli Emergenti. Qiwi si girò a guardare e per un breve momento rimase zitta. Le piante e gli animali erano forse la sola cosa che le facesse quell’effetto. Suo padre, l’ufficiale di supporto-vita della flotta, era un artista bonsai conosciuto nell’intero spazio Qeng Ho.
Ma subito la ragazzina tornò al presente. Il suo sorriso sfolgorò imperturbabile. — Questo perché noi siamo Qeng Ho, se pensi un momento a cosa vuol dire! Abbiamo migliaia di anni di vantaggio su questi nuovi arrivati. “Emergenti” dei miei stivali! Questi sono emersi al punto in cui si trovano perché hanno ascoltato la parte pubblica delle Rete Qeng Ho. Senza la Rete andrebbero ancora in giro con piume di gallina fra i capelli e le pitture di guerra sulla faccia, fra le macerie della loro civiltà crollata.
Il passaggio si restrinse e curvò verso il basso. Dietro e sopra di loro le voci della gente erano attutite dallo spessore delle pareti elastiche. Quella era la sentina del provvisorio. Oltre al sistema fognario e alle pile c’era una delle cose necessarie alla vita del provvisorio: la fossa batterica.
Il lavoro era abbastanza sporco, uno dei più infimi, e consisteva nella pulitura dei filtri batterici delle idroponiche. Lì l’odore delle piante non era più tanto gradevole. In effetti, il buono stato di salute delle coltivazioni era segnalato da un forte odore di marciume. La maggior parte dei lavori potevano essere fatti dalle macchine, ma lì erano necessarie osservazioni e decisioni che esulavano dalle capacità degli automatismi più evoluti, e nessuno aveva ancora realizzato sonde adatte telecomandate. Era, fra l’altro, un lavoro di responsabilità. Un errore poteva causare la fuoriuscita di una catena batterica attraverso le membrane, nello strato superiore e nelle vasche. Così il cibo avrebbe assunto il sapore del vomito e l’odore sarebbe dilagato nel sistema di ventilazione. A ogni modo era improbabile che un errore provocasse dei decessi; c’erano sempre le batteriche delle fogne e dei serbatoi, isolate le une dalle altre.
Così quello era un posto dove si imparavano certe cose basilari, ideale secondo gli standard degli insegnanti più duri. Era sgradevole, fisicamente scomodo, e un errore poteva appiccicare al colpevole una reputazione che l’avrebbe seguito per molto tempo.
Qiwi s’era messa in lista per fare dei turni extra alle batteriche. A sentirla, quel posto le piaceva. — Mio padre dice che bisogna cominciare con le cose viventi più piccole, prima di avere a che fare con quelle grosse. — La ragazzina era un’enciclopedia per ciò che riguardava i batteri, i percorsi metabolici collegati e le catene di microrganismi che sarebbero state danneggiate da ogni contatto umano.
Nel primo Ksec, Ezr rischiò di fare un paio di errori. Rimediò per tempo, naturalmente, ma Qiwi se ne accorse. In un’altra occasione lo avrebbe preso in giro senza pietà. Ma quel giorno la ragazzina era presa dai suoi sospetti sui piani degli Emergenti. — Tu lo sai perché noi non abbiamo portato navette da carico pesanti?
Le loro due navette più grosse potevano trasportare un migliaio di tonnellate dalla superficie all’orbita. Col tempo e la pazienza sarebbero state in grado di portare su tutto il gas e le materie prime di cui c’era bisogno. Ma il tempo era ciò che l’arrivo degli Emergenti aveva tolto loro. Ezr scrollò le spalle e tenne lo sguardo sulla vaschetta che stava svuotando. — Ho sentilo anch’io le voci.
— Bah. Non dovresti confonderti con le voci. Potresti capire la verità, se solo tu facessi due più due. Il comandante di flotta Park già sapeva che avremmo avuto compagnia. Così ha portato un minimo di scialuppe e di habitat. E ha caricato un bel po’ di armi e di roba nucleare.
— Forse. — Senza dubbio.
— Il guaio è che questi dannati Emergenti ci stanno troppo vicino. Hanno portato una quantità di roba più di noi, e sono arrivati alle nostre calcagna.
Ezr non rispose, ma non ce n’era bisogno.
— A ogni modo io ho sentito come la pensa la gente. Dobbiamo stare molto, ma molto attenti. — E Qiwi cominciò a parlare di tattiche militari e a speculare sui sistemi d’arma degli Emergenti. Sua madre era la vice comandante della flotta, ma anche un’armiera. Un’armiera Strentmanniana. Buona parte del tempo in cui la Marmocchia era stata sveglia, in viaggio, l’aveva trascorso studiando matematica, traiettorie e ingegneria. Le batteriche e il bonsai erano opera dell’influenza di suo padre. Poteva passare dall’armiera assetata di sangue alla mercantessa avida e all’artista bonsai, tutto nello spazio di pochi secondi. Come pensavano di poterla maritare, i suoi genitori? Che razza di figlia solitaria e preoccupata avevano tirato su? — Dunque gli Emergenti possiamo batterli, in uno scontro faccia a faccia — disse Qiwi. — E loro lo sanno. Ecco perché fanno tanto i simpaticoni. Di conseguenza dobbiamo giocare su questa situazione: le loro navette pesanti ci servono. Dopo, se loro terranno fede ai patti potranno arricchire, ma noi arricchiremo di più. Se le cose andranno dritte, potremo avere un effettivo controllo di questa operazione,