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— In tal caso perché non lasciare morti anche un paio dei nostri figli? Questo gli avrebbe inoltre resa più rapida la ritirata. — L’osservazione di Victreia Smait fu calma, anche se una delle sua mani nutritive ebbe un fremito.

— Il colonnello Vilunder pensa che siano ancora nella nostra terra, forse addirittura a Principalia.

— Ah. — Lo scetticismo di lei era misto alla speranza. — Va bene. Questa sarà la sua prima operazione interna importante, Rachner, ma voglio che lei la esegua in stretta collaborazione con il Servizio Informazioni Interno. — Il classico anonimato del Servizio Informazioni avrebbe avuto una brutta scossa nei prossimi giorni. — Cercate di essere cortesi con i cittadini e i funzionari stranieri. Potrebbero causare alla Corona non pochi guai, in un periodo già molto delicato come questo.

— Sì, signora. Il colonnello Vilunder e io abbiamo organizzato squadre di ricerca con la polizia cittadina. Quando i telefoni saranno collegati avremo una sorta di posto di comando qui alla casa sulla collina.

— Molto bene… sapevo che lei non avrebbe avuto bisogno delle mie istruzioni, Rachner.

Thract scese dal trespolo con un sorrisetto. — Le riporteremo i suoi ragnetti, capo.

Victreia Smait fece per rispondere, poi vide due piccole teste che sbirciavano dalla fessura della porta. — So che farà del suo meglio, Rachner. Grazie.

Mentre Thract si scostava dal tavolo spruzzi di pioggia entrarono dalla porta che si apriva del tutto. I più giovani dei figli Underhill (forse gli unici ancora vivi) vennero dentro seguiti dalla loro guardia del corpo e da tre militari. Il capitano Douneng aveva un ombrello, ma era chiaro che Rhapsa e Hrunk non ne avevano approfittato. Le loro bluse erano inzuppate, e l’acqua sgocciolava dalla chitina nera della loro schiena.

Victreia Smait non sorrise ai figli. Guardò le loro bluse e l’ombrello chiuso. — Andavate in giro a quest’ora, voi due?

Fu Rhapsa a rispondere, più a disagio di quanto mai Hrunkner Unnerbai l’avesse vista. — No, mamma. Eravamo con Papà, ma lui ha molto da fare, adesso. Allora siamo andati dal capitano Douneng, ma anche lui e gli altri… — E guardò timidamente la sua scorta.

Il giovane capitano si fece avanti con aria imbarazzata. — Mi scusi, signora, ma ho deciso di non usare l’ombrello. Volevo poter vedere in tutte le direzioni.

— D’accordo, Daram, e… ha fatto bene a portarli qui. — Victreia Smait si alzò e guardò i due figli. Rhapsa e Hrunk risposero al suo sguardo, immobili. Poi, come se un interruttore fosse scattato, i due piccoli corsero attraverso la stanza mentre le loro voci si alzavano in un ciangottio incomprensibile. Per qualche momento furono tutti braccia e gambe, arrampicandosi addosso a lei come se fosse un padre. Ora che la diga della loro timidezza era crollata le loro parole si affastellavano concitate. C’erano notizie di Gokna e Viki, Jirlib e Brent? Cosa sarebbe successo ora? E avevano una gran paura di essere rimasti soli.

Dopo un poco si calmarono. Victreia Smait li guardava, e Hrunkner si chiese cosa le passasse per la mente. Aveva ancora due figli. Che fosse stata sfortuna o incompetenza dei rapitori, altri due piccoli erano stati rapiti al posto di quelli. Poi si girò verso di lui. — Hrunkner, ho una richiesta. Trova i Suabisme. Chiedi loro di… offrigli la mia ospitalità. Se volessero abitare qui alla casa sulla collina durante questa attesa, io ne sarei onorata.

Erano molto in alto, in quello che sembrava un pozzo di ventilazione verticale.

— No, non è un pozzo di ventilazione — disse Gokna. — Dentro quei pozzi ci passano anche tutti i cavi e i tubi.

Non c’era il rumore dei ventilatori, solo il continuo fruscio dell’aria che scendeva dall’alto. Viki aguzzò gli occhi nella scarsa luce. In cima al pozzo poteva vedere una griglia verticale, circa venti braccia più in alto. La luce del giorno si rifletteva sulle pareti metalliche. Lì sul fondo c’era penombra, ma bastava per vedere le stuoie dei letti, il cesso chimico e un pavimento metallico. La loro prigione si scaldava, col trascorrere del pomeriggio. Gokna aveva ragione. A casa loro avevano esplorato abbastanza per sapere che aspetto avevano le condutture. Ma cos’altro poteva essere quel posto? — Guardate quanti rattoppi. — Viki indicò i dischi saldati qua e là sulle pareti. — Forse questo è un palazzo abbandonato… no, forse è ancora in costruzione!

— Già — disse Jirlib. — Questo è tutto lavoro recente. Hanno saldato dei dischi dove c’erano delle condutture di accesso. Un lavoro fatto di fretta, in neanche un’ora.

Gokna annuì, e non cercò di avere l’ultima parola. Molte cose erano cambiate da quei mattino. Jirlib non era più distaccato, irritabile quando interveniva per sedare le loro dispute. Era sotto pressione come mai in passato, e Viki sapeva quanto amaramente dovesse sentirsi in colpa. Lui e Brent erano i più anziani… e avevano lasciato che succedesse questo. Ma l’angoscia non si rivelava direttamente; Jirlib era solo più paziente di prima.

— Credo di sapere dove siamo… — disse infatti. Fu interrotto dai piccoli che si agitavano, aggrappati agli appigli della sua schiena. Il pelame di Jirlib non era ancora sufficiente per essere comodo, e inoltre cominciava a puzzare. Alequere e Birbop si lamentavano e volevano i loro genitori, picchiettando coi piedi sulla chitina del povero Jirlib. Viki si fece avanti e prese Alequere fra le braccia.

— E dove? — domandò Gokna, non in tono di sfida.

— Vedete le ragnatele degli attercop? — Jirlib indicò alcuni frammenti semistaccati che la brezza agitava. — Ogni specie ha il suo disegno inimitabile. Questa specie si trova anche nella zona di Principalia, ma solo nei posti più elevati. Ad esempio sulla cima della casa sulla collina. Perciò immagino che siamo ancora in città, ma in un luogo così elevato da essere visibile per chilometri tutto intorno. O siamo sulle colline, o nel nuovo grattacielo del centro.

Viki cullò un poco la piccola Alequere prima di rispondere. — D’accordo. Forse ci hanno portato un po’ in giro per farci perdere l’orientamento dentro quel furgone, ma… nel centro? Io ho sentito passare degli aerei, ma dov’è il rumore del traffico?

— Io lo sento — disse Brent. Fino a quel momento era stato zitto. Forse s’era rotto una gamba e fatto male a un’altra cadendo giù dallo scaffale, ma per orgoglio non aveva voluto parlarne. Per un poco era andato attorno zoppicando, battendo colpi sulle pareti della loro prigione. Poi s’era disteso ventre a terra con tutte le gambe allargate, come se fosse morto o in preda allo sconforto. Quella era la posizione in cui stava anche adesso. — Potete sentirli anche voi — continuò. — Con la pancia.

— Zitti, voi due — disse Viki ai piccoli, che ora stavano ridendo. Si stese al suolo e cercò di concentrarsi. C’erano delle vibrazioni infatti, lontane ma poco riconoscibili… ah, ecco! Il rumore ben noto dei freni di un pesante veicolo che bloccava di colpo le ruote.

— Credo che abbiano fatto tanti giri per evitare il servizio di sicurezza di Mamma — disse Viki. — Quegli aracnidi avevano anche diverse auto oltre ai furgoni. Forse hanno cercato di uscire di città e si sono accorti che non potevano farlo. — Indicò intorno a loro. — Questa sembra una prigione molto improvvisata. Può darsi che il loro progetto non fosse quello di portarci qui. Ma chissà cosa vogliono farci… noi li abbiamo visti e potremmo identificarli. Abbiamo visto anche la femmina che aspettava nel parcheggio del museo, e il conducente di un furgone.