Che ironia!, pensava. Joe Quellen, che non ha alcuna specializzazione, è un pezzo grosso della Settima Classe. Ha un appartamento a sua disposizione, nientemeno! E io qui, tante classi più in basso. Il cognato era un funzionario del governo, non dell’Alto Governo, naturalmente, cioè non del gruppo che si occupava di politica, ma pur sempre del governo. Così godeva di una posizione di privilegio. Avevano dovuto promuoverlo a una delle classi superiori, perché potesse far valere la sua autorità. Pomrath si mordicchiò un’unghia già mangiucchiata, chiedendosi perché mai non aveva avuto abbastanza buonsenso da intraprendere una carriera governativa.
Ma trovò subito la risposta: in quel caso le probabilità erano anche più sfavorevoli. Quellen aveva avuto fortuna. Forse è stato anche abile, dovette ammettere Pomrath, benché a malincuore. Se, invece di diventare medico, avessi seguito una carriera governativa, molto probabilmente oggi sarei un impiegato di Quattordicesima Classe, con un lavoro regolare, ma senza vantaggi maggiori di quanti ne abbia oggi. L’universo non è ingiusto, ma qualche volta si dimostra terribilmente logico.
Pomrath era adesso il primo della fila.
Davanti a lui c’era una piastra di alluminio di circa mezzo metro quadrato, al cui centro si apriva il rivelatore di vetro smerigliato. In quel momento mandava una luce verde, e Pomrath, seguendo un ormai ben noto rituale, vi posò sopra la mano.
Non era necessario parlare. La macchina sapeva chi era, e che cosa c’era in serbo per lui. Ma Pomrath preferì chiedere lo stesso con la sua voce profonda, un po’ velata: «Non ci sarebbe del lavoro?» e premette un pulsante.
La risposta arrivò subito.
Sotto la lucida lastra di alluminio si sentì il rumore di un congegno che si metteva in moto. L’uomo era convinto che si trattasse di un rumore senza senso, fatto apposta perché i prolets credessero che la macchina lavorava per loro. Nella lastra si aprì una fessura e ne uscì una minischeda arrotolata. Pomrath l’afferrò, e si mise a esaminarla senza molto interesse.
Recava il suo nome, l’indicazione della professione e il resto dei dati che provavano come lui fosse nato e vissuto. Sotto, in stampatello:
PREVISIONE DI LAVORO ATTUALMENTE SFAVOREVOLE. VI INFORMEREMO NON APPENA SI PRESENTERANNO OCCASIONI DI IMPIEGO BEN RETRIBUITO. PREGHIAMO DI ESSERE PAZIENTI E COMPRENSIVI. CIRCOSTANZE AVVERSE IMPEDISCONO TEMPORANEAMENTE ATTUAZIONE PROGETTO ALTO GOVERNO PIENA OCCUPAZIONE.
«Peccato» mormorò Pomrath. «Mi dispiace tanto per l’Alto Governo.»
Infilò la scheda nella fessura dei rifiuti e si voltò, facendosi largo a gomitate in mezzo a quella folla apatica in attesa della propria razione di brutte notizie. La visita alla macchina del lavoro era finita.
«Che ora è?» chiese.
«Le sedici e trenta» rispose l’orologio da orecchio.
«Credo che farò una capatina alla solita casa dei sogni. Ti pare una buona idea?»
L’orologio da orecchio non era programmato per rispondere a domande di quel genere. Pagando il doppio, avrebbe potuto acquistarne uno capace di sostenere una conversazione, oltre che di dire l’ora. Ma Pomrath non poteva permettersi quel lusso. Non era poi così assetato di compagnia da desiderare la conversazione di un orologio. Tuttavia, sapeva che molti non avevano altra consolazione che quella.
Pomrath uscì nel pallido sole del pomeriggio primaverile.
La casa dei sogni che frequentava di preferenza era a quattro isolati di distanza. Ce n’erano a bizzeffe, ma lui andava sempre nella stessa. Perché avrebbe dovuto cambiare? Dispensavano tutte gli stessi veleni, e l’unica differenza che le distingueva era il servizio. Anche a un disoccupato di Quattordicesima Classe piace venire considerato un cliente abituale, sia pure di una casa dei sogni.
Pomrath si incamminò speditamente. Le vie erano affollate. Era tornato di moda andare a piedi, ma a Pomrath dava fastidio farsi largo nella ressa. Impiegò un quarto d’ora ad arrivare. La casa dei sogni si trovava al quattordicesimo piano sotterraneo di un edificio commerciale. Tutti i locali in cui si vendevano sogni dovevano essere situati sottoterra per legge, in modo che anche i bambini più impressionabili, vedendoli, non fossero corrotti prima del tempo. Pomrath entrò e scese con l’ascensore espresso fino a centottanta metri sottoterra. I piani sotterranei erano ottanta, e poi si aprivano delle gallerie che collegavano quell’edificio ad altri. Pomrath non era mai sceso fin laggiù. Preferiva lasciare quelle avventure ai membri dell’Alto Governo e non aveva il minimo desiderio di trovarsi faccia a faccia con Danton nelle viscere della Terra.
La casa dei sogni era illuminata all’esterno da vivaci luci all’argo. Pomrath la preferiva perché, a differenza di quasi tutte le altre, era gestita da personale umano anziché funzionare meccanicamente. Entrò, e subito dietro la porta c’era il buon vecchio Jerry che lo scrutava con occhi veri, umani.
«Norman. Contento di vedervi.»
«Non ne sono tanto sicuro. Affari?»
«Scarsi. Una maschera?»
«Grazie. E la moglie. È incinta?»
L’uomo grassoccio dietro al banco sorrise. «Vi pare che farei una simile pazzia? Nella Quattordicesima Classe è proprio necessaria una casa piena di bambini? Ho pronunciato il Giuramento di Sterilità, Norm, non lo ricordate?»
«Già, mi pareva. Be’, qualche volta mi pento di non averlo fatto anch’io. Datemi la maschera.»
«Cosa volete aspirare?»
«Mercaptano di butile» gli rispose Pomrath a caso.
«Andiamo! Sapete che non…»
«Allora, acido piruvico, con una spruzzata di deidrogenase cinque lattato per insaporirlo.»
Jerry rise, ma la sua era la tipica risata professionale di chi vuole far divertire un cliente un po’ di malumore. «Su, Norm, smettetela di corrompermi il cervello, e prendete questo. Buoni sogni. È libera la cuccetta nove. Mi dovete un’unità di credito e mezzo.»
Pomrath prese la maschera e mise alcune monete nella mano carnosa di Jerry, prima di avviarsi verso la cuccetta. Si tolse le scarpe e si sdraiò. Si posò la maschera sulla faccia, e aspirò. Un passatempo innocuo, un gas blandamente allucinogeno, una breve illusione per passar meglio un pomeriggio. Mentre perdeva coscienza, Pomrath sentì gli elettrodi che scivolavano a stringergli il cranio. Ufficialmente, gli elettrodi servivano a controllare il suo ritmo alfa; se l’illusione assumeva aspetti di violenza, la direzione poteva svegliarlo prima che si facesse del male. Ma Pomrath aveva sentito dire che usavano gli elettrodi anche per un altro scopo ben più sinistro: servivano cioè a registrare le sue allucinazioni, a beneficio dei miliardari di Seconda Classe che si divertivano così a penetrare nei recessi della mente di un prolet. Pomrath aveva indagato in proposito, parlandone a Jerry, ma l’uomo aveva negato. Del resto, non avrebbe potuto fare diversamente. Ma in fondo non era poi tanto importante se le case dei sogni fornivano ad altri allucinazioni di seconda mano. Se lo desideravano, che controllassero pure i suoi ritmi alfa, purché lo lasciassero in pace a divertirsi per la modica somma di un credito e mezzo.
Era partito.
Apparteneva alla Seconda Classe ed era proprietario di una villa su un’isola artificiale del Mediterraneo. Coperto solo da una striscia di stoffa intorno ai fianchi, riposava in riva al mare su una poltrona pneumatica. Una giovane donna nuotava fra le onde, e la sua pelle abbronzata luccicava al sole. Gli sorrise, e Pomrath rispose con un gesto distratto. Era bella, nell’acqua.