Pomrath era viceré delle relazioni interpersonali, nell’Oriente Mussulmano, comoda e redditizia sinecura che richiedeva di tanto in tanto una visita alla Mecca e un paio di conferenze al Cairo, durante l’inverno. Aveva una bella casa vicino a Fargo, nel Nord Dakota, un discreto appartamento a New York, nella zona di Appalachia, e, inoltre, quell’isola nel Mediterraneo. Al prossimo avanzamento di personale dell’Alto Governo, sarebbe stato promosso alla Prima Classe. Danton lo consultava di frequente. Kloofman lo aveva invitato parecchie volte a pranzo, giù, al Piano Cento. Avevano parlato di vini. Kloofman era un conoscitore; lui e Pomrath avevano trascorso una splendida serata analizzando le virtù del Chambertin prodotto per sintesi nel ’74. Ottima annata, il ’74, specie per i vini di Borgogna.
Helaine risalì dall’acqua e rimase splendidamente nuda davanti a lui, col bel corpo pieno che scintillava alla calda luce del sole.
«Caro, perché non vieni a nuotare?» chiese.
«Sto pensando. Progetti delicatissimi.»
«Ma lo sai che poi ti viene il mal di testa! Non c’è il governo che pensa per te?»
«Dovrei fare il tirapiedi come tuo fratello Joe? Non dire sciocchezze, amore. C’è un governo, e c’è l’Alto Governo, e sono due cose ben distinte. Ho delle responsabilità. Devo riflettere.»
«A cosa pensi?»
«Al modo di aiutare Kloofman ad assassinare Danton.»
«Davvero amore? Ma io pensavo che tu fossi dalla parte di Danton!»
Pomrath sorrise. «Lo ero. Ma Kloofman è un intenditore di vini rari. Mi ha tentato. Sai cos’ha macchinato per Danton? Un laser automatico programmato per entrare in funzione proprio mentre…»
«Non me lo dire» lo interruppe Helaine. «Potrei svelare il segreto. Gli voltò la schiena, e gli occhi di Pomrath si bearono alla vista succulenta della sua voluttuosa bellezza. Non era mai stata così bella. Chissà se non avrebbe fatto meglio a svelare a Danton il progetto di Kloofman… Danton avrebbe potuto ricompensarlo. Valeva la pena di pensarci.»
Il maggiordomo automatico uscì dalla villa e si piantò sulle quattro tozze gambe telescopiche accanto alla poltrona. Pomrath guardò con affetto quella grossa scatola grigia. Cosa poteva esserci di meglio di un maggiordomo omeostatico, programmato secondo il consumo d’alcool del suo padrone?
«Un rum filtrato» ordinò Pomrath.
Prese il bicchiere offertogli da un braccio scheletrico di fibre di titanio intrecciate, e lo sorseggiò. A un centinaio di metri dalla spiaggia, il mare cominciò a ribollire come se qualche creatura mostruosa stesse risalendo dalle profondità. Un enorme muso a cavatappi ruppe la superficie. Un mostro marino di metallo venuto a fargli visita. Pomrath fece un gesto e subito le cellule a guardia dell’isola eressero una palizzata di metallo fatta di grossi fili di rame, tesi a intervalli regolari, alta due metri. Tra un filo e l’altro scintillava lo schermo difensivo.
Il mostro avanzò torreggiando verso la spiaggia. Non cercò d’infrangere la barriera. Ergendosi a un’altezza di sei metri sulla superficie del mare, gettava la sua ombra su Pomrath ed Helaine. Aveva enormi occhi gialli. Sul cranio tubolare si aprì una fessura, scivolò un pannello e comparve una figura umana. Dunque, il mostro non era che un mezzo di trasporto. Pomrath guardò attentamente, e dopo aver riconosciuto il visitatore, ordinò allo schermo di riabbassarsi.
Era Danton.
Occhi gelidi, sottile naso aquilino, labbra strette, pelle scura, che tradiva un’ascendenza di sangue misto. Mentre metteva piede sulla spiaggia, il potente di Prima Classe salutò con un cenno la nuda Helaine e tese ambedue le mani al preoccupato Pomrath. Questi premette un pulsante sul quadro comandi del maggiordomo, che si allontanò per andare a prendere un’altra poltrona. Danton vi si sedette, e Pomrath gli offrì da bere. Mentre l’ospite ringraziava, Helaine si stese a prendere il sole.
«E adesso parliamo di Kloofman» cominciò l’ospite. «È venuto il momento…»
Pomrath si svegliò con un sapore amaro in bocca. Proprio quando l’allucinazione si faceva più interessante, ecco che s’interrompeva. Qualche volta, tanto per provare, aveva pagato per una dose doppia, perché il sogno durasse di più. Anche allora, però, si era interrotto a metà.
CONTINUA LA PROSSIMA VOLTA, diceva la maschera, invariabilmente. Ma cosa si era aspettato? Un episodio completo di prologo, scena madre e conclusione? Da quando in qua l’universo funzionava così? Si tirò su a fatica e andò al banco per restituire la maschera.
«È stato bello?» chiese Jerry.
«Terrificante» rispose Pomrath. «Ero stato retrocesso alla Ventesima Classe e messo in isolamento totale. Poi trovavo da lavorare per un robot sanitario in qualità di cavia. Dopodiché, mi ammalavo di cancro all’orecchio interno e…»
«Ehi, non prendetemi in giro. Avete fatto davvero un sogno simile?»
«Certo! Mica male per un’unità di credito e mezzo, no? Divertente!»
«Avete uno strano senso dell’umorismo, Norm. Non so dove trovi la voglia di scherzare, uno come voi.»
«È un dono del cielo» replicò Pomrath, sorridendo a denti stretti. «Sono cose che non si sa come nascano… proprio come il cancro all’orecchio interno. Arrivederci Jerry.»
Prese l’ascensore e risalì al pianoterra. Era tardi, quasi ora di cena. Avrebbe voluto fare una passeggiata, ma sapeva che Helaine avrebbe fatto il diavolo a quattro, se lui avesse tardato a tornare. Si incamminò verso la più vicina rampa di taxiespresso. A un tratto vide un individuo dall’aria malandata che gli si avvicinava rapidamente. Pomrath si irrigidì. Sono pronto a tutto, pensò. Vediamo che intenzioni ha.
«Leggi qui» disse l’uomo infilandogli in mano una scheda sgualcita.
Pomrath svolse la striscia di rigida fibra sintetica gialla. Il messaggio era semplicissimo, stampato a lettere rosse, al centro della scheda.
Interessante, pensò Pomrath. Devo proprio avere la faccia del disoccupato cronico. Disoccupato? Ma certo! Però, chi diavolo è questo Lanoy?
5
Martin Koll si diede un gran daffare a riordinare le carte sparse sulla scrivania. Non voleva certo far trapelare la sua confusione davanti a Quellen. Il Sovrintendente Criminale aveva appena esposto un progetto inquietante e pieno di possibili conseguenze. Koll, da parte sua, avrebbe dovuto riferirlo all’Alto Governo perché desse il suo parere. Avrebbe volentieri infilzato Quellen in un palo arrugginito, per il fastidio che gli arrecava. D’accordo, era una proposta intelligente. Ma da Quellen non ci si aspettavano proposte ingegnose. Era un uomo tenace, metodico, abbastanza abile, ma non c’era motivo perché presentasse al suo superiore un’idea tanto sleale nei suoi confronti.
«Vediamo se ho capito bene» disse Koll, che aveva capito perfettamente. «Nel corso delle ricerche negli elenchi dei saltati, è venuto in luce un certo Mortensen, il quale dovrebbe partire il mese venturo. Secondo voi, bisognerebbe tenerlo d’occhio, risalire alla persona che gli ha proposto il viaggio e, se necessario, impedirgli con la forza di compierlo, arrestando chi è implicato in questa faccenda.»
«Esatto» disse Quellen.
«Vi rendete conto che rappresenterebbe un’interferenza diretta col passato, in un modo mai tentato prima d’ora, per quanto ne sappiamo?»
«Lo so, ed è per questo che sono venuto a chiedere la vostra autorizzazione. Sono dibattuto fra due imperativi: acciuffare l’organizzatore dei viaggi nel tempo e mantenere intatta la struttura della storia. Quel Mortensen è sicuramente in contatto con l’organizzatore, o lo sarà fra poco, dato che partirà il 4 maggio. Quindi, se lo teniamo d’occhio…»